Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 60, a. 2, ad 3; In 4 Sent., d. 10, q. 2, a. 2, sol. 2; De Virt., q. 3, a. 1, ad 15, 16; In Ioan., c. 8, lect. 1; In Rom., c. 2, lect. 1
Pare che un peccatore sia tenuto a correggere i colpevoli.
1. Nessuno è dispensato dall'osservanza di un precetto per il fatto che ha commesso un peccato.
Ma la correzione fraterna, come si è visto [ a. 2 ], è di precetto.
Quindi pare che uno non debba trascurare questa correzione a motivo di un peccato commesso.
2. L'elemosina spirituale vale più dell'elemosina materiale.
Ma chi è in peccato non deve astenersi dal fare l'elemosina materiale.
Molto meno quindi per il peccato precedente deve astenersi dal correggere i colpevoli.
3. Sta scritto [ 1 Gv 1,8 ]: « Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi ».
Se quindi il peccato impedisse di fare la correzione fraterna, nessuno sarebbe in grado di correggere i peccatori.
Il che è inammissibile.
S. Isidoro [ Sent. 3,32 ] afferma: « Non deve correggere i vizi altrui chi è soggetto ai vizi ».
E S. Paolo [ Rm 2,1 ] osserva: « Mentre giudichi gli altri, condanni te stesso: infatti tu che giudichi fai le medesime cose ».
Come si è già detto [ a. 3, ad 2,3 ], la correzione del peccatore spetta a qualcuno in quanto vige in lui il retto giudizio della ragione.
Ora il peccato, come si è visto [ I-II, q. 85, a. 2 ], non elimina il bene naturale totalmente, in modo che nel peccatore non rimanga nulla del retto giudizio della ragione.
In forza dunque di questa rettitudine egli è in grado di rimproverare il peccato di un altro.
Tuttavia col peccato precedente viene posto un ostacolo a questa correzione per tre motivi.
Primo, perché col peccato uno si rende indegno di correggere gli altri.
E specialmente se egli ha commesso un peccato più grave, non è in grado di correggere un altro di un peccato più piccolo.
Per cui a commento delle parole evangeliche [ Mt 7,3 ]: « Perché osservi la pagliuzza », ecc., S. Girolamo [ In Mt 1 ] afferma: « Il Signore qui parla di coloro i quali, essendo colpevoli di peccati mortali, non ammettono nei loro fratelli peccati più piccoli ».
Secondo, la correzione è resa inopportuna per lo scandalo che la accompagna, se il peccato di chi vuol correggere è conosciuto: perché così egli mostra di correggere non per carità, ma per ostentazione.
Per cui il Crisostomo [ Op. imp. in Mt hom. 17 ] così commenta le parole evangeliche [ Mt 7,4 ]: « Come puoi dire al tuo fratello », ecc.: « Con quale intenzione? Lo fai forse per carità, per salvare il tuo fratello?
No: perché prima salveresti te stesso.
Perciò tu non vuoi salvare gli altri, ma vuoi nascondere con la bontà dell'insegnamento la cattiva condotta, e cercare presso gli uomini la lode della scienza ».
Terzo, per la superbia di chi fa la correzione: perché così uno minimizza i propri peccati, e in cuor suo preferisce se stesso al prossimo giudicandone con severità le colpe come se lui fosse onesto.
Per cui S. Agostino [ De serm. Dom. in monte 2,19.63 ] afferma: « Accusare i vizi è compito dei buoni; e quando lo fanno i cattivi, ne usurpano le parti ».
Perciò, come il Santo [ De serm. Dom. in monte 2,19.63 ] ammonisce, « quando siamo costretti a riprendere qualcuno, pensiamo se si tratta di un vizio che noi non abbiamo mai avuto: e allora riflettiamo che siamo uomini, e avremmo potuto averlo.
E se si tratta di un vizio che abbiamo avuto nel passato e adesso non abbiamo più, allora ricordiamoci della comune fragilità, affinché quella correzione non sia preceduta dall'odio, ma dalla misericordia.
Se poi ci accorgiamo di essere nel medesimo difetto, non rimproveriamo, ma piangiamo insieme e invitiamo gli altri a pentirsi con noi ».
Da queste parole dunque risulta che se il peccatore corregge con umiltà non pecca, e non merita una nuova condanna; sebbene allora egli si mostri condannabile per il peccato commesso o di fronte alla coscienza del proprio fratello, o almeno di fronte alla propria.
Sono così risolte anche le obiezioni.
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