Summa Teologica - II-II |
Supra, a. 2, ad 3; In 4 Sent., d. 19, q. 2, a. 2, sol. 1, ad 5; d. 33, q. 2, a. 2, sol. 2, ad 1; De Virt., q. 3, a. 1, ad 1, 3 sqq.
Pare che uno non debba astenersi dalla correzione per paura che il colpevole diventi peggiore.
1. Il peccato è un'infermità dell'anima, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 6,3 ]: « Pietà di me, Signore: vengo meno ».
Ma chi ha la cura di un infermo non deve abbandonarlo per la sua ribellione o il suo disprezzo: poiché costui allora è in più grave pericolo, come è evidente nel caso dei pazzi furiosi.
Molto più dunque uno deve correggere il colpevole per quanto questo non lo sopporti.
2. Secondo S. Girolamo [ Aless. di Ales, S. Th. 2,862 ], « la verità della vita non va abbandonata per lo scandalo ».
Ora, i precetti di Dio appartengono alla verità della vita.
Essendo quindi la correzione fraterna di precetto, come si è visto [ a. 2 ], è chiaro che non va omessa per lo scandalo di chi la riceve.
3. Secondo l'Apostolo [ Rm 3,8 ] « non si deve fare il male perché ne venga un bene ».
Quindi, per lo stesso motivo, non si deve trascurare un bene perché non ne venga un male.
Ma la correzione fraterna è un bene.
Quindi essa non va tralasciata per paura che colui che la subisce diventi peggiore.
Sta scritto [ Pr 9,8 ]: « Non rimproverare il beffardo, per non farti odiare ».
E la Glossa [ ord. di Greg. ] commenta: « Non devi temere che il beffardo, quando è ripreso, ti copra di ingiurie, ma devi piuttosto evitare che, spinto all'odio, diventi peggiore ».
Perciò si deve lasciare la correzione fraterna quando si teme che il colpevole diventi peggiore.
Esistono due tipi di correzione dei colpevoli, come si è detto [ a. 3 ].
La prima, riservata ai prelati, è ordinata al bene comune, e ha forza coattiva.
E questa correzione non va trascurata per il turbamento di colui che la subisce.
Sia perché, nel caso che questi non voglia emendarsi spontaneamente, bisogna costringerlo con i castighi ad abbandonare il peccato, sia perché, nel caso di incorreggibilità, si provveda al bene comune difendendo l'ordine della giustizia, e intimorendo gli altri con l'esemplare punizione di un individuo.
Per cui un giudice non lascia di proferire la sentenza di condanna contro il colpevole per paura del turbamento suo, o anche dei suoi amici.
La seconda invece è una correzione fraterna del colpevole che non viene esercitata con la coazione, ma con la semplice ammonizione.
Quando perciò si giudica probabile che il peccatore non accetterà l'ammonizione, ma farà peggio, si deve desistere dal correggerlo: poiché le cose ordinate al fine vanno regolate secondo l'esigenza del fine.
1. Il medico usa verso il pazzo furioso, che non vuole le sue cure, una certa coazione.
Per cui il suo trattamento è simile alla correzione dei prelati, che ha forza coattiva, e non alla correzione fraterna.
2. La correzione fraterna viene comandata in quanto è un atto di virtù.
Ma un atto è tale in quanto è proporzionato al fine.
Perciò quando essa dovesse impedire il fine, come nel caso in cui il colpevole divenisse peggiore, allora non appartiene più alla verità della vita, e non è più di precetto.
3. Le cose ordinate al fine hanno natura di bene in ordine al fine.
Perciò la correzione fraterna, quando viene a impedire il fine, cioè l'emendamento del proprio fratello, non ha più natura di bene.
Quindi tralasciando tale correzione non si tralascia il bene perché non ne venga un male.
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