Summa Teologica - II-II |
De Malo, q. 8, a. 1; q. 10, a. 3
Pare che l'invidia non sia un vizio capitale.
1. I vizi capitali sono distinti dalle rispettive figlie.
Ma l'invidia è figlia della vanagloria: poiché il Filosofo [ Reth. 2,10 ] insegna che « quanti amano l'onore e la gloria sono più portati all'invidia ».
Quindi l'invidia non è un vizio capitale.
2. I vizi capitali sono più leggeri di quelli che nascono da essi.
Scrive infatti S. Gregorio [ Mor. 31,45 ]: « I primi vizi si insinuano nell'anima sotto un'apparenza di ragione, ma quelli che seguono, trascinando l'anima a ogni follia, quasi la stordiscono con le loro grida bestiali ».
Ora, l'invidia è un peccato gravissimo: poiché, stando a S. Gregorio [ Mor. 5,46 ], « sebbene con qualsiasi vizio che si radica nel cuore umano venga infuso in questo il veleno dell'antico serpente, tuttavia in questa iniquità il serpente ha spremuto tutte le sue viscere per vomitare la peste della malizia che egli vuole diffondere ».
Perciò l'invidia non è un vizio capitale.
3. Pare che S. Gregorio [ Mor. 31,45 ] non abbia determinato bene le figlie dell'invidia, quando dice che « dall'invidia nascono l'odio, la mormorazione, la detrazione, l'esultanza per le avversità del prossimo e il dolore per i suoi successi ».
Infatti questa esultanza e questo dolore, da quanto abbiamo detto [ nel presente argomento ], pare che si identifichino con l'invidia stessa.
Perciò tali cose non vanno considerate come figlie dell'invidia.
Sta l'autorità di S. Gregorio [ ib. ], il quale mette l'invidia tra i vizi capitali e le assegna le figlie sopra indicate.
Come l'accidia è la tristezza per il bene spirituale divino, così l'invidia è la tristezza per il bene del prossimo.
Ma sopra [ q. 35, a. 4 ] abbiamo dimostrato che l'accidia è un vizio capitale inquantoché da essa l'uomo è spinto a compiere certe cose, o per fuggire la tristezza o per darle uno sfogo.
Quindi per lo stesso motivo anche l'invidia è un vizio capitale.
1. Come dice S. Gregorio [ ib. ], « i vizi capitali sono così connessi tra loro, che nascono l'uno dall'altro.
Infatti la prima figlia della superbia è la vanagloria, che non appena ha corrotto un'anima, subito partorisce l'invidia: poiché nel desiderare la potenza di un gran nome, si duole al pensiero che un altro possa raggiungerla ».
Perciò non è detto che un vizio capitale non possa nascere da un altro vizio: purché esso non manchi di efficacia nel produrre altre specie di peccati.
- Tuttavia, forse per il fatto che l'invidia nasce manifestamente dalla vanagloria, essa non è considerata un vizio capitale né da S. Isidoro, [ Sent. 2,37 ] né da Cassiano [ De instit. coenob. 5,1 ].
2. Da queste parole non si deve desumere che l'invidia sia il più grave dei peccati, ma che quando il demonio riesce a insinuarla induce l'uomo ad accogliere il diavolo nel suo cuore in una maniera speciale: poiché, come aggiunge S. Gregorio, « la morte è entrata nel mondo per l'invidia del diavolo ».
C'è però un'invidia che è ricordata fra i peccati più gravi, cioè l'invidia della grazia altrui, in forza della quale uno si rattrista dell'aumento stesso della grazia di Dio, e non soltanto del bene del prossimo.
Per cui essa viene considerata un peccato contro lo Spirito Santo: poiché con essa uno invidia in qualche modo lo Spirito Santo, il quale viene glorificato nelle sue opere.
3. Il numero delle figlie dell'invidia può essere stabilito nel modo seguente, poiché l'invidia ha nel suo processo un principio, un termine medio e un termine finale.
Si ha un principio nel fatto che uno tenta di sminuire la gloria altrui: o di nascosto, e allora c'è la mormorazione, o apertamente, e allora c'è la detrazione.
Si ha un termine medio nel fatto che uno, nel tentativo di sminuire la gloria altrui, o ci riesce, e allora abbiamo l'esultanza per le avversità, o non ci riesce, e allora abbiamo il dolore per i successi.
Si ha poi il termine finale nello stesso odio: poiché come il bene che piace causa l'amore, così la tristezza produce l'odio, come si è detto [ q. 34, a. 6 ].
In un certo senso però il dolore per il successo altrui si identifica con l'invidia: in quanto cioè uno si addolora dell'altrui successo in quanto questo implica una certa gloria.
Invece in un altro senso esso è figlio dell'invidia: cioè in quanto i successi del prossimo contrastano con gli sforzi dell'invidioso, il quale cerca di impedirli.
- L'esultanza per le avversità, invece, non si identifica direttamente con l'invidia, ma ne è una conseguenza: infatti dalla tristezza per il bene del prossimo, cioè dall'invidia, segue logicamente l'esultanza per le sue disgrazie.
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