Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 95, a. 4, ad 1; In 5 Ethic., lect. 12
Pare che il diritto delle genti si identifichi con il diritto naturale.
1. Tutti gli uomini non concordano tra loro se non in ciò che in essi è naturale.
Ora, tutti gli uomini concordano nel diritto naturale: infatti il Giureconsulto [ Digest. 1,1,1 ] afferma che « il diritto delle genti è quello di cui si servono le nazioni umane ».
Quindi il diritto delle genti non è altro che il diritto naturale.
2. La schiavitù è naturale tra gli uomini: poiché alcuni, come dimostra il Filosofo [ Polit. 1,2 ], sono schiavi per natura.
Ma secondo S. Isidoro [ Etym. 5,6 ] la schiavitù appartiene al diritto delle genti.
Perciò il diritto delle genti si identifica con il diritto naturale.
3. Il diritto, come si è detto [ a. prec. ], si divide in naturale e positivo.
Ma il diritto delle genti non è positivo: poiché le genti non si sono mai radunate tutte insieme per stabilire qualcosa per comune consenso.
Quindi il diritto delle genti è un diritto naturale.
S. Isidoro [ l. cit. ] afferma che « il diritto è o naturale, o civile, o delle genti ».
Perciò il diritto delle genti si distingue dal diritto naturale.
Come si è già notato [ a. prec. ], il diritto o il giusto naturale è ciò che per sua natura è adeguato o proporzionato ad altro.
Ora, questa adeguazione può risultare in due modi.
Primo, in forza di una considerazione immediata: il maschio, come ad es., è proporzionato per se stesso alla femmina in ordine alla generazione, e i genitori sono in stretto rapporto con i figli in ordine alla nutrizione.
- Secondo, una cosa può essere proporzionata naturalmente a un'altra non immediatamente per se stessa, ma per qualche conseguenza che ne deriva: come ad es. la proprietà privata.
Se infatti si considera in modo assoluto un dato terreno, non si vede perché debba appartenere a uno più che a un altro; se però si tiene conto delle esigenze della coltivazione e del suo pacifico uso, allora si vede, stando alla dimostrazione del Filosofo [ Polit. 2,2 ], che esso è fatto per essere posseduto da una persona determinata.
Ora, percepire immediatamente le cose non appartiene soltanto all'uomo, ma anche agli altri animali.
E così il diritto che viene detto naturale in base al primo dei due modi indicati è comune a noi e agli altri animali.
Ora, come dice il Giureconsulto [ l. cit. ], « dal diritto naturale » così inteso « si distingue il diritto delle genti: poiché il primo è comune a tutti gli animali, mentre il secondo solo agli uomini ».
Ma considerare una cosa in rapporto a quanto da essa deriva è proprio della ragione.
E così per l'uomo ciò è pur sempre naturale in forza della ragione naturale che lo suggerisce.
Per cui il Giureconsulto Gaio [ ib. 1,1,9] scriveva: « Quanto la ragione naturale ha stabilito fra tutti gli uomini viene osservato presso tutte le genti, ed è chiamato diritto delle genti ».
1. È così risolta anche la prima obiezioni.
2. Considerando le cose per se stesse non esiste una ragione naturale per cui un dato uomo debba essere schiavo e non invece un altro, ma ciò deriva solo da un vantaggio conseguente, cioè dal fatto che è utile per costui essere governato da un uomo più saggio, e per quest'ultimo essere da lui aiutato.
Perciò la schiavitù, che appartiene al diritto delle genti, è naturale nel secondo modo, non nel primo.
3. Essendo la ragione naturale a dettare le cose che appartengono al diritto delle genti, p. es. in quanto realizzanti il più possibile l'uguaglianza, ne segue che non c'è bisogno di una codificazione speciale, ma è la stessa ragione naturale che le determina, come si è visto nel testo di Gaio sopra riferito.
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