Summa Teologica - II-II |
Pare che la giustizia non sia ben definita dai giuristi [ Digest. 1,1,10 ] come « la volontà costante e perenne di dare a ciascuno il suo ».
1. La giustizia, stando al Filosofo [ Ethic. 5,1 ], è « un abito dal quale derivano certe operazioni dei giusti, e mediante il quale essi operano e vogliono le cose giuste ».
Ora, la volontà sta a indicare una potenza, o un atto.
Quindi non è esatto affermare che la giustizia è una volontà.
2. La rettitudine della volontà non è la volontà: altrimenti nessuna volontà sarebbe perversa.
Ma secondo S. Anselmo [ De verit. 12 ] « la rettitudine equivale alla giustizia ».
Perciò la giustizia non è una volontà.
3. La sola volontà di Dio è perenne.
Se quindi la giustizia fosse una volontà perenne, si troverebbe soltanto in Dio.
4. Tutto ciò che è perenne è costante: poiché è immutabile.
È quindi superfluo mettere nella definizione della giustizia entrambi gli aggettivi: « perpetua » e « costante ».
5. Rendere a ciascuno il suo appartiene a chi comanda.
Se quindi la giustizia consistesse nel dare a ciascuno il suo, ne seguirebbe che essa dovrebbe trovarsi soltanto nei principi.
Il che è inammissibile.
6. S. Agostino [ De mor. Eccl. 1,15.25 ] insegna che « la giustizia è un amore che si assoggetta solo a Dio ».
Essa perciò non è fatta per rendere a ciascuno il suo.
Se bene intesa, la suddetta definizione della giustizia è esatta.
Essendo infatti qualsiasi virtù principio di atti buoni, è necessario definire una virtù mediante gli atti buoni relativi alla materia propria di tale virtù.
Ora, la giustizia ha come materia propria i doveri verso gli altri, come vedremo subito [ aa. 2,8 ].
Perciò con quelle parole « dare a ciascuno il suo » si accenna all'atto della giustizia in rapporto alla materia e all'oggetto proprio: poiché, come scrive S. Isidoro [ Etym. 10 ], « giusto è chi rispetta il diritto ».
Ma perché un atto relativo a qualsiasi materia sia virtuoso si richiede che sia volontario, e che sia stabile e fermo: poiché il Filosofo [ Ethic. 2,4 ] afferma che per l'atto virtuoso si richiede prima di tutto che uno « lo compia coscientemente »; secondo, che lo compia « deliberatamente e per il debito fine »; terzo, che « lo compia stabilmente ».
Ora, il primo di tali requisiti è incluso nel secondo: poiché, stando al Filosofo [ Ethic. 3,1 ], « ciò che si fa per ignoranza lo si fa involontariamente ».
Quindi nella definizione della giustizia si parla di « volontà » per chiarire che l'atto della giustizia deve essere volontario.
Si parla poi di « costanza e di perennità » per indicare la stabilità dell'atto.
Perciò la definizione indicata è una perfetta definizione della giustizia, a eccezione del fatto che in essa l'abito è sostituito dall'atto che lo specifica: infatti gli abiti sono ordinati agli atti.
Se poi uno volesse ridurre l'enunciato a una definizione rigorosa, potrebbe dire così: « La giustizia è l'abito mediante il quale si dà a ciascuno il suo con un volere costante e perenne ».
- E questa definizione coincide con quella che dà il Filosofo nell'Etica [ 5,5 ], quando afferma che « la giustizia è l'abito mediante il quale uno agisce conformemente alla scelta che ha fatto di ciò che è giusto ».
1. La volontà qui sta a indicare l'atto, non la potenza.
È consuetudine infatti presso gli autori [ classici ] definire gli abiti mediante gli atti: come S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 40 ] dice che la fede è « credere ciò che non vedi ».
2. Neppure la giustizia è la rettitudine in maniera essenziale, bensì in maniera causale soltanto: essa infatti è l'abito in forza del quale uno agisce e vuole rettamente.
3. Una volontà può dirsi perenne in due modi.
Primo, in rapporto all'atto medesimo, che dura perennemente.
E in questo senso è perenne la sola volontà di Dio.
- Secondo, in rapporto all'oggetto: cioè nel senso che uno vuole fare sempre una data cosa.
E ciò è quanto è richiesto per la giustizia.
Infatti per avere la giustizia non basta che uno voglia osservare la giustizia per un momento, poiché difficilmente si trova uno che voglia agire ingiustamente in ogni cosa, ma si richiede la volontà di osservare la giustizia continuamente e in tutte le cose.
4. Non è inutile l'aggettivo « costante », poiché perenne qui non è preso per indicare la durata continua dell'atto della volontà: per cui come con l'espressione « volontà perenne » si indica che uno agisce col proposito di osservare sempre la giustizia, così col termine « costante » si indica che egli persevera fermamente in questo proposito.
5. Il giudice rende a ciascuno il suo come imperante e dirigente: poiché, secondo Aristotele [ Ethic. 5, cc. 4,6 ], « il giudice è il diritto animato », e « il principe è il custode del diritto ».
I sudditi invece rendono a ciascuno il suo come esecutori.
6. Come nell'amore di Dio è incluso l'amore del prossimo, stando alle spiegazioni date [ q. 25, a. 1 ], così il fatto che un uomo serve Dio implica la conseguenza di rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto.
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