Summa Teologica - II-II |
De Malo, q. 13, a. 4, ad 13; De Reg. Iud., q. 5
Pare che per il danaro prestato uno possa richiedere qualche altro vantaggio.
1. Chiunque può lecitamente provvedere alla propria indennità.
Ma nel prestare il danaro spesso ci si espone a un danno.
Perciò è lecito richiedere e persino esigere, oltre al danaro prestato, un compenso per il danno affrontato.
2. Secondo il Filosofo [ Ethic. 5,5 ], per un dovere di onestà ciascuno è tenuto a « ricompensare in qualche modo chi gli ha fatto un favore ».
Ora, chi presta il danaro a chi si trova in necessità offre un favore: per cui si esige un ringraziamento.
Quindi chi lo riceve ha il dovere naturale di ricompensare in qualche modo.
Ora, non pare illecito obbligarsi a un dovere a cui si è tenuti per legge naturale.
Quindi non è illecito se uno, nel prestare ad altri del danaro, esige l'obbligazione di un compenso.
3. La Glossa [ interlin. ], nel commento a quel passo di Isaia [ Is 33,15 ]: « Beato chi scuote le mani per non accettare regali », spiega che ci sono donativi di mano, ma ce ne sono anche di parole e di servizi.
Ora, uno può lecitamente ricevere lodi e servizi da parte di colui al quale ha prestato del danaro.
Quindi può riceverne, per lo stesso motivo, qualsiasi altro donativo.
4. Il rapporto tra prestito e prestito appare identico a quello esistente tra offerta e offerta.
Ma percepire del danaro per l'offerta di altro danaro è cosa lecita.
Quindi, per il danaro prestato, è lecito ricevere il compenso di un prestito dal mutuatario.
5. Aliena maggiormente il danaro chi ne trasferisce il dominio col prestito che non colui il quale lo affida a un mercante o a un artigiano.
Eppure percepire un guadagno dal danaro affidato a un mercante o a un artigiano è cosa lecita.
Quindi è lecito anche percepire un guadagno dal danaro prestato.
6. Per il danaro prestato uno può ricevere un pegno il cui uso potrebbe anche essere venduto: come quando si pignora un campo, o una casa d'abitazione.
Perciò è lecito ricevere un guadagno dal danaro prestato.
7. Talora capita che, a motivo di un prestito, uno venda più cara una cosa, o compri a meno la roba altrui, oppure aumenti il prezzo per il ritardo del pagamento, o lo diminuisca perché è pagata in contanti: ma in tutte queste cose è evidente un compenso per il prestito del danaro.
Ora, tutto ciò non pare chiaramente illecito.
Quindi è lecito attendere e persino esigere un compenso per il danaro prestato.
Tra le altre cose richieste dalla Scrittura per un uomo giusto troviamo la seguente [ Ez 18,17 ]: « Non presta a usura né a interesse ».
Come insegna il Filosofo [ Ethic. 4,1 ], è da considerarsi danaro tutto ciò « il cui prezzo può essere valutato in danaro ».
Perciò, come pecca contro la giustizia chi, per il prestito di danaro o di altre cose che vengono consumate con l'uso, riceve dei soldi per un patto tacito o espresso, secondo quanto abbiamo dimostrato [ a. prec. ], così incorre in un peccato consimile chi per un patto tacito o espresso percepisce altre cose valutabili in danaro.
Se però uno riceve di queste cose senza esigerle, e senza obbligazioni tacite o espresse, ma solo come dono gratuito, allora non pecca: poiché anche prima di prestare il danaro egli poteva ricevere doni gratuiti, e il fatto di aver concesso un prestito non lo mette in condizioni più sfavorevoli.
- È lecito inoltre esigere ricompense non misurabili col danaro: come la benevolenza e l'amore di chi ha avuto il prestito, o altre cose del genere.
1. Chi concede il mutuo può, senza peccato, stabilire nei patti col mutuatario un compenso per il danno conseguente alla privazione di ciò che era in suo possesso: infatti questo non è un vendere l'uso del danaro, ma ottenere un indennizzo.
E può darsi che chi riceve il prestito eviti un danno maggiore di quello incorso dal mutuante: per cui il mutuatario ricompensa il danno altrui con un proprio vantaggio.
- Non si può invece fissare nei patti una ricompensa per il danno dovuto al fatto che con quel danaro uno non può guadagnare: egli infatti non ha il diritto di vendere ciò che ancora non ha, e che in più modi potrebbe venirgli a mancare.
2. Il compenso di un beneficio può avvenire in due modi.
Primo, per dovere di giustizia: dovere al quale uno può essere obbligato con un patto preciso.
E questo debito viene misurato dalla grandezza del beneficio ricevuto.
Perciò chi ha ricevuto un prestito in danaro, o in altri beni di consumo, non è tenuto a dare più di quanto ha ricevuto in prestito.
Per cui sarebbe contro la giustizia se venisse obbligato a rendere di più.
- Secondo, uno è tenuto a ricompensare il beneficio ricevuto per un dovere di amicizia: e qui si considera più l'affetto col quale uno ha arrecato il beneficio che la grandezza di ciò che ha fatto.
E questo dovere non può essere oggetto di un'obbligazione civile, la quale impone una certa necessità che distrugge la spontaneità del compenso.
3. Se uno per il danaro prestato attende o esige, come in seguito all'obbligazione di un patto tacito o espresso, il compenso di una prestazione in servizi o in parole, è come se attendesse o esigesse un donativo: poiché sono tutte cose valutabili in danaro, come è evidente nel caso dei salariati che prestano la loro opera con la mano o con la lingua.
Se invece le prestazioni suddette non vengono date per obbligo, ma per un sentimento di benevolenza, che non è valutabile in danaro, allora è lecito riceverle, esigerle e attenderle.
4. Il danaro non può essere venduto a un prezzo superiore a quello del danaro prestato, e che deve essere restituito: e qui non c'è da esigere o da attendere altro che la benevolenza, la quale non è valutabile in danaro, e da cui può derivare in seguito un prestito spontaneo.
Ma l'obbligo di un prestito successivo è inammissibile: poiché anche questo obbligo può essere valutato in danaro.
E così è lecito scambiarsi dei prestiti reciprocamente, ma non è lecito obbligare il mutuatario a un prestito successivo.
5. Chi presta il danaro cede il dominio di esso a chi lo riceve.
Per cui costui lo detiene a suo rischio, ed è tenuto a restituirlo integralmente.
Quindi il mutuante non deve esigere di più.
Invece chi consegna il proprio danaro a un mercante o a un artigiano facendo società con essi, non cede loro il dominio, ma il danaro rimane di sua proprietà: per cui è a suo rischio l'uso che ne fa il mercante o l'artigiano.
Quindi egli può pretendere parte del guadagno, essendo qualcosa che gli appartiene.
6. Se uno per il danaro avuto in prestito dà in pegno una cosa il cui uso può essere valutato in moneta, il mutuante nella restituzione è tenuto a computarne l'uso.
Altrimenti, se pretendesse l'uso gratuito di quella cosa come un sovrappiù, sarebbe come se, da usuraio, ricevesse del danaro in prestito: a meno che non si tratti di cose che si è soliti cedere agli amici senza compenso, come il prestito di un libro.
7. Se uno pretende di vendere la sua merce a un prezzo maggiorato per rifarsi sul compratore della dilazione del pagamento, commette un'usura evidente: poiché questa dilazione di pagamento ha natura di prestito, e quindi tutto ciò che si esige oltre il giusto prezzo a motivo della dilazione è come la paga di un prestito, il che è precisamente usura o interesse.
- Parimenti, se un compratore volesse acquistare a un prezzo inferiore a quello giusto per aver anticipato il danaro prima di avere la merce, commetterebbe un peccato di usura: poiché anche questo anticipo ha l'aspetto di un prestito, di cui la diminuzione del prezzo è un certo compenso.
- Se invece chi vende diminuisce spontaneamente il vero prezzo per avere prima il danaro, allora non c'è peccato di usura.
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