Summa Teologica - II-II |
In 4 Sent., d. 38, q. 1, a. 1, sol. 1
Pare che il voto consista in un semplice proposito della volontà.
1. Secondo alcuni il voto è « il concepimento di un buon proposito, confermato dalla deliberazione dell'animo, con il quale uno si obbliga di fronte a Dio a fare o a non fare una cosa ».
Ma concepire un buon proposito, con gli atteggiamenti connessi, può ridursi a un semplice moto della volontà.
Quindi il voto consiste in un semplice proposito della volontà.
2. La stessa parola « voto » pare che derivi da volontà: infatti le cose che uno fa si dice che le compie secondo i suoi voti.
Ma il proposito è un atto della volontà, mentre la promessa è un atto della ragione.
Quindi il voto consiste in un semplice atto della volontà.
3. Il Signore [ Lc 9,62 ] ha detto: « Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio ».
Ora, uno mette mano all'aratro per il fatto che ha il proposito di fare il bene.
Se quindi guarda indietro, desistendo dal buon proposito, non è adatto per il regno di Dio.
Perciò uno è obbligato dinanzi a Dio per il solo proposito, anche se non ha fatto alcuna promessa.
Quindi il voto consiste nel solo proposito della volontà.
Sta scritto [ Qo 5,3 Vg ]: « Quando hai fatto un voto a Dio, non indugiare a soddisfarlo, poiché a lui dispiace una promessa stolta e infedele ».
Quindi fare voto è promettere, e il voto è una promessa.
Il voto implica l'obbligo di fare o di omettere qualcosa.
Ora, ci si obbliga a qualcosa verso un uomo mediante la promessa, che è un atto della ragione, la quale ha il compito di ordinare: come infatti col comando e la preghiera uno ordina, per così dire, ciò che gli altri devono fare a lui, così con la promessa ordina ciò che lui deve fare per gli altri.
La promessa però che si fa a un uomo non può essere fatta senza parole o altri segni esterni.
A Dio invece si può fare la promessa col solo pensiero interiore: poiché, come dice la Scrittura [ 1 Sam 16,7 ], « l'uomo guarda l'apparenza, ma il Signore guarda il cuore ».
Tuttavia talvolta ci si esprime con parole esterne, o per eccitarsi alla devozione, come si è detto [ q. 83, a. 12 ] a proposito della preghiera, oppure per avere gli altri come testimoni, in modo da desistere dal mancare al voto non solo per il timore di Dio, ma anche per il rispetto verso gli uomini.
Ma la promessa deriva dal proposito di fare una cosa.
E il proposito a sua volta preesige una deliberazione: essendo un atto della volontà deliberata.
Così dunque per il voto si richiedono necessariamente tre elementi:
primo, la deliberazione;
secondo, il proposito della volontà;
terzo, la promessa, che ne è il costitutivo.
Talvolta però vi si aggiungono altre due cose come elementi di conferma, cioè la formulazione orale, di cui si parla in quel testo dei Salmi [ Sal 66,13s ]: « A te scioglierò i miei voti, i voti pronunziati dalle mie labbra », e la testimonianza degli altri.
Per cui il Maestro delle Sentenze [ 4, 38, 1 ] afferma che il voto è « la dichiarazione di una promessa spontanea, da farsi a Dio e riguardante le cose di Dio »; sebbene la dichiarazione possa ridursi propriamente alla formulazione interiore.
1. Il compimento di un buon proposito non viene confermato dalla deliberazione dell'animo se non mediante la promessa che accompagna la deliberazione.
2. È la volontà che muove la ragione a promettere qualcosa nel campo che è di dominio della volontà stessa.
E così il voto prende il nome dal volere come dal suo primo movente.
3. Chi mette mano all'aratro fa già qualcosa, mentre chi propone soltanto non fa ancora nulla.
Quando però uno promette incomincia già a disporsi ad agire, sebbene non compia ancora ciò che promette: come chi mette mano all'aratro non ara ancora, tuttavia già mette mano all'opera.
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