Summa Teologica - II-II

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Articolo 6 - Se l'atto principale della fortezza sia il resistere

Infra, a. 11, ad 1; q. 141, a. 3; In 3 Sent., d. 33, q. 2, a. 3, ad 6; d. 34, q. 3, a. 1, sol. 2; De Virt., q. 1, a. 12; In 3 Ethic., lect. 18

Pare che il resistere non sia l'atto principale della fortezza.

Infatti:

1. « La virtù », come dice il Filosofo [ Ethic. 2,3 ], « ha di mira il difficile e il bene ».

Ma affrontare è più difficile che resistere.

Quindi il resistere non è l'atto principale della fortezza.

2. È indice di maggiore potenza la capacità di agire su di un altro che non la semplice immutabilità di fronte a lui.

Ora, l'aggredire è un agire su altri, mentre il resistere è un rimanere immobili.

Siccome quindi la fortezza indica la potenza allo stato perfetto, è chiaro che la fortezza ha più il compito di aggredire che quello di resistere.

3. È più distante da uno dei contrari il contrario opposto che non la sua semplice negazione.

Ora, chi resiste si limita a non temere.

Invece chi aggredisce fa il contrario di chi teme, poiché affronta il pericolo.

Ora, siccome la fortezza distoglie l'animo dal timore nel modo più perfetto, è evidente che essa ha più il compito di aggredire che quello di resistere.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 3,9 ] insegna che « gli uomini sono denominati forti specialmente quando resistono al dolore ».

Dimostrazione:

Da quanto abbiamo già detto [ a. 3 ] e dalle parole di Aristotele [ l. cit. ] risulta chiaro che la fortezza mira più a reprimere il timore che a moderare l'audacia.

Infatti è più difficile la prima cosa che la seconda: poiché il pericolo, che è l'oggetto del timore e dell'audacia, costituisce di per sé un freno per l'audacia, mentre accresce il timore.

Ora, l'atto dell'aggredire appartiene alla fortezza quale moderatrice dell'audacia, mentre il resistere consegue alla repressione del timore.

Quindi l'atto principale della fortezza non è l'aggredire, ma il resistere, cioè il restare fermi nei pericoli.

Analisi delle obiezioni:

1. Resistere è più difficile che aggredire, per tre motivi.

Primo, perché il resistere si contrappone alla prepotenza di uno più forte, mentre chi aggredisce si mette in una posizione di vantaggio e di forza.

Ora, è più difficile combattere contro i più forti che contro i più deboli.

- Secondo, perché chi resiste sente già i pericoli come imminenti, mentre chi aggredisce li considera come futuri.

Ora, è più difficile non lasciarsi smuovere dalle cose presenti che da quelle future.

- Terzo, perché il resistere implica una certa durata di tempo, mentre uno può aggredire con un moto repentino.

Ora, è più difficile rimanere immobili a lungo che muoversi con un moto repentino verso qualcosa di arduo.

Infatti il Filosofo [ Ethic. 3,7 ] afferma che alcuni « sono temerari prima del pericolo, ma quando questo incombe defezionano; invece i forti agiscono in modo contrario ».

2. La resistenza implica una certa passione del corpo, ma insieme un'azione dell'anima che aderisce al bene con grandissima tenacia: dal che deriva che non si ceda alla sofferenza fisica già imminente.

Ora, nelle virtù ciò che importa non è il corpo, ma l'anima.

3. Chi resiste non teme pur essendo già presente la causa del timore; invece chi aggredisce non ha così presente il pericolo.

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