Summa Teologica - II-II |
Pare che la viltà non sia un peccato mortale.
1. Come sopra [ I-II, q. 23, aa. 1,4 ] si disse, la paura risiede nell'irascibile, che è una potenza dell'appetito sensitivo, o sensualità.
Ma nella sensualità, come si è dimostrato [ I-II, q. 74, a. 3, ad 3; a. 4 ], ci può essere solo il peccato veniale.
Quindi la paura non è un peccato mortale.
2. Tutti i peccati mortali distolgono totalmente il cuore da Dio.
Ma la paura non arriva a questo: infatti a commento di quel passo dei Giudici [ Gdc 7,3 ]: « Chiunque ha paura », ecc., la Glossa [ ord. ] afferma che « è pauroso colui che a prima vista paventa l'attacco, però non è atterrito nell'animo, e può essere confortato e rianimato ».
Quindi la viltà non è un peccato mortale.
3. Il peccato mortale distoglie non solo dalla perfezione, ma anche dall'osservanza dei precetti.
Invece la paura non distoglie dai precetti, bensì solo dalla perfezione: infatti nel commentare quel passo del Deuteronomio [ Dt 20,8 ]: « Se c'è qualcuno che ha paura », ecc., la Glossa [ ord. ] afferma che « nessuno che ancora teme di spogliarsi dei beni terreni può conseguire la perfezione della vita contemplativa, o della milizia spirituale ».
Quindi la paura, o viltà, non è un peccato mortale.
Solo al peccato mortale è dovuta la pena dell'inferno.
Eppure questa è dovuta ai vili, come dice l'Apocalisse [ Ap 21,8 ]: « Per i vili e gli increduli, gli abietti », ecc., « è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte ».
Perciò la viltà è un peccato mortale.
Come si è già detto [ a. 1 ], la paura è un peccato in quanto è disordinata: cioè per il fatto che uno abbandona ciò che secondo la ragione non deve essere abbandonato.
Ora, questo disordine della paura talora si limita all'appetito sensitivo, senza il successivo consenso della volontà: e allora non può essere un peccato mortale, ma solo veniale.
- Talora invece tale disordine scuote anche l'appetito razionale, o volontà, la quale abbandona deliberatamente qualcosa in modo non conforme alla ragione.
E tale disordine è un peccato a volte mortale, a volte veniale.
Se uno infatti per la paura che gli fa fuggire un pericolo di morte, o qualsiasi altro danno temporale, è disposto a compiere cose proibite, o tralascia quanto è comandato dalla legge di Dio, la sua paura è un peccato mortale.
Altrimenti è veniale.
1. L'argomento vale per la paura che si limita alla sola sensualità.
2. Anche questa Glossa può essere intesa della paura che si limita alla sensualità.
Però è meglio rispondere che viene atterrito totalmente solo chi si lascia dominare dalla paura in maniera irreparabile.
Può invece capitare che, anche quando il timore è un peccato mortale, uno non sia atterrito così gravemente da non poter esser corretto con degli ammonimenti: come capita anche talvolta che uno, dopo aver peccato mortalmente acconsentendo alla concupiscenza, si lasci poi distogliere dall'attuare ciò che si era proposto di compiere.
3. Quei testi parlano della paura che distoglie dal bene che non è di precetto, ma di consiglio.
Ora, questa paura non è un peccato mortale, ma talvolta è veniale, anzi, talora non è neppure un peccato: p. es. quando c'è un motivo ragionevole per temere.
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