Summa Teologica - II-II |
Pare che il peccato di timore, o di viltà, non si contrapponga alla fortezza.
1. La fortezza, come si è detto [ q. 123, a. 4 ], ha di mira i pericoli di morte.
Invece il peccato di timore non sempre riguarda i pericoli di morte.
Infatti la Glossa [ ord. ], spiegando quel detto dei Salmi [ Sal 128,1 ]: « Beato l'uomo che teme il Signore », afferma che « il timore umano è quello per cui si teme di soffrire nel corpo, o di perdere i beni del mondo ».
E a commento di quel passo evangelico [ Mt 26,44 ]: « Pregò per la terza volta dicendo le stesse parole », ecc., afferma che ci sono tre timori cattivi, cioè « il timore della morte, il timore dell'abiezione e il timore del dolore ».
Quindi il peccato di timore, o viltà, non si contrappone alla fortezza.
2. La cosa che più viene apprezzata nella fortezza è il fatto che uno si espone alla morte.
Ma alcuni si espongono alla morte per paura della schiavitù o dell'infamia: come S. Agostino [ De civ. Dei 1,24 ] narra di Catone, il quale si diede la morte per non finire sotto il dominio di Cesare.
Quindi il peccato di viltà non è contrario alla fortezza, ma ha con essa piuttosto una certa somiglianza.
3. La disperazione nasce sempre da un qualche timore.
Ma la disperazione non è in contrasto con la fortezza, bensì con la speranza, come sopra [ q. 20, a. 1; I-II, q. 40, a. 4 ] si è visto.
Quindi neppure il peccato di timore, o viltà, si contrappone alla fortezza.
Il Filosofo [ Ethic. 2,7; 3,7 ] considera la viltà contraria alla fortezza.
Come notammo sopra [ q. 19, a. 3; I-II, q. 43, a. 1 ], ogni timore nasce dall'amore: infatti non si teme se non il contrario di ciò che si ama.
Ora, l'amore non si restringe a un determinato genere di virtù o di vizi, ma l'amore ordinato è implicito in ogni virtù, poiché una persona virtuosa ama il bene delle proprie virtù; e l'amore disordinato è implicito in ogni peccato, poiché è dall'amore disordinato che derivano le cupidige disordinate.
Per cui similmente in qualsiasi peccato è implicito un timore disordinato: l'avaro infatti teme la perdita delle ricchezze, il sensuale teme la perdita del piacere, e così via.
Ma il timore più grave è quello dei pericoli di morte, come dice Aristotele [ Ethic. 3,6 ].
Perciò il disordine di tale timore si contrappone alla fortezza, che ha per oggetto appunto i pericoli di morte.
Per questo si dice, per antonomasia, che il timore, o viltà, si contrappone alla fortezza.
1. Quei testi parlano del timore disordinato comunemente detto, il quale può essere in contrasto con diverse virtù.
2. Gli atti umani, come si è notato sopra [ I-II, q. 1, a. 3; q. 18, a. 6 ], vanno giudicati dal fine.
Ora, è proprio del forte, o coraggioso, esporsi ai pericoli di morte per il bene; chi invece si espone alla morte per evitare la schiavitù, o altre cose dolorose, si lascia vincere dal timore, che è il contrario della fortezza.
Per cui il Filosofo [ Ethic. 3,7 ] afferma che « morire per fuggire la miseria, per delusione amorosa o per evitare altre cose tristi non è proprio dei coraggiosi, bensì dei vili: infatti è una debolezza fuggire il dolore ».
3. Notammo già sopra [ I-II, q. 45, a. 2 ] che come la speranza causa l'audacia, così il timore causa la disperazione.
Come dunque nel coraggioso, il quale con moderazione fa uso dell'audacia, è presupposta la speranza, così al contrario nella disperazione è presupposto un timore.
Non è necessario però che qualsiasi disperazione derivi da qualsiasi timore, ma dal timore corrispettivo.
Ora, la disperazione che è l'opposto della virtù della speranza corrisponde alle realtà divine, cioè a un genere di cose diverso da quelle del timore contrapposto alla fortezza, avente per oggetto i pericoli di morte.
Perciò l'argomento non regge.
Indice |