Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 69, a. 2, ad 3; In 3 Sent., d. 34, q. 1, a. 4; In Matth., c. 5
Pare che la quarta beatitudine [ Mt 5,6 ]: « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia », non corrisponda al dono della fortezza.
1. Alla virtù della giustizia non corrisponde il dono della fortezza, ma quello della pietà.
Ora, avere fame e sete della giustizia è un atto della giustizia.
Quindi questa beatitudine appartiene più al dono della pietà che al dono della fortezza.
2. La fame e la sete della giustizia non sono che un desiderio del bene.
Ma questo è proprio della carità, alla quale corrisponde non il dono della fortezza, ma quello della sapienza, come si è visto sopra [ q. 45, introd. ].
Quindi questa beatitudine non corrisponde al dono della fortezza, ma al dono della sapienza.
3. Le beatitudini sono accompagnate dai frutti: poiché la beatitudine implica la gioia, come nota Aristotele [ Ethic. 1,8 ].
Ora, tra i frutti non ce n'è uno che corrisponda alla fortezza.
Quindi ad essa non corrisponde neppure una beatitudine.
S. Agostino [ De serm. Dom. in monte 1,4.11 ] insegna: « La fortezza è necessaria agli affamati di giustizia: poiché essi soffrono nel desiderio di godere i beni veri, e nella brama di distaccare il cuore da quelli terreni ».
Come si è visto sopra [ q. 121, a. 2 ], S. Agostino assegna le beatitudini ai doni secondo l'ordine di enumerazione, tenendo conto di una certa loro affinità.
Perciò egli assegna la quarta beatitudine, cioè quella della fame e della sete di giustizia, al quarto dono, ossia al dono della fortezza.
Esiste però anche una certa affinità.
Poiché la fortezza, come si è visto [ a. prec. ], ha per oggetto le cose ardue.
Ora, è assai arduo che uno non solo compia quelle opere di virtù denominate comunemente opere di giustizia, ma le compia con un desiderio insaziabile, il quale può essere chiamato fame e sete della giustizia.
1. Come dice il Crisostomo [ In Mt hom. 15 ], per giustizia qui si può intendere non solo quella particolare, ma anche quella generale, che si estende secondo l'insegnamento di Aristotele [ Ethic. 5,1 ] agli atti di tutte le virtù.
Tra i quali il dono della fortezza ha di mira quelli più ardui.
2. La carità è la radice di ogni dono e virtù, come si è detto sopra [ q. 23, a. 8, ad 2; I-II, q. 68, a. 4, ad 3 ].
Perciò quanto appartiene alla fortezza può appartenere anche alla carità.
3. Tra i frutti ce ne sono due che corrispondono pienamente al dono della fortezza: cioè la pazienza, che ha di mira la sopportazione del male, e la longanimità, che può riferirsi alla lunga attesa e al prolungato esercizio del bene.
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