Summa Teologica - II-II

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Articolo 9 - Se il religioso pecchi sempre mortalmente nel trasgredire le norme della sua regola

Quodl., 1, q. 9, a. 4

Pare che il religioso pecchi sempre mortalmente nel trasgredire le norme della sua regola.

Infatti:

1. Agire contro il voto è un peccato grave, come risulta evidente da quanto dice l'Apostolo [ 1 Tm 5,11s ] a proposito delle vedove che vogliono risposarsi, « attirandosi un giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede ».

Ora, i religiosi con i voti della perfezione si sono obbligati alla loro regola.

Quindi peccano mortalmente trasgredendone le norme.

2. Al religioso la regola è imposta come una legge.

Ma chi trasgredisce un precetto della legge pecca mortalmente.

Quindi il monaco che trasgredisce ciò che è nella regola pecca mortalmente.

3. Il disprezzo implica un peccato mortale.

Ma chi ripete spesso ciò che non deve fare mostra di peccare per disprezzo.

Se quindi un religioso trasgredisce spesso le norme della sua regola pecca mortalmente.

In contrario:

Lo stato religioso è più sicuro della vita secolare: infatti S. Gregorio [ Epist. ad Leandr. 1 ] paragona la vita secolare a un mare agitato, e la vita religiosa a un porto tranquillo.

Ora, se qualsiasi trasgressione della regola costituisse un peccato mortale, lo stato religioso sarebbe pericolosissimo, per la molteplicità delle osservanze.

Quindi non si può ammettere che qualsiasi trasgressione della regola sia un peccato mortale.

Dimostrazione:

Nella regola, come si è accennato sopra [ a. 2; a. 7, ad 1,2 ], ci sono due tipi di prescrizioni.

Le une sono come il fine della regola stessa: quelle p. es. riguardanti gli atti delle virtù.

E la loro trasgressione, relativamente a quanto è di precetto per tutti, è un peccato mortale.

Relativamente invece a quanto va al di là dell'obbligazione comune, la trasgressione non è un peccato mortale se non interviene il disprezzo: poiché il religioso, come sopra [ a. 2 ] si è visto, non è tenuto a essere perfetto, ma a tendere alla perfezione, il che è incompatibile con il disprezzo della perfezione stessa.

Altre norme sono invece contenute nella regola in riferimento agli esercizi esteriori: come tutte le osservanze esterne.

E tra queste alcune obbligano il religioso in forza dei voti della sua professione.

Ora, tali voti riguardano principalmente la povertà, la castità e l'obbedienza, a cui tutto il resto è ordinato.

Perciò la trasgressione di questi tre voti è un peccato mortale.

La trasgressione invece delle altre norme non è un peccato mortale se non per il disprezzo della regola - poiché ciò è direttamente contro la professione, con la quale uno si è votato alla vita regolare -, oppure per un precetto, o dato oralmente dal prelato o espresso nella regola stessa, poiché ciò sarebbe agire contro il voto di obbedienza.

Analisi delle obiezioni:

1. Chi professa una regola non si obbliga con voto a osservare tutto ciò che essa contiene, ma si vota alla vita regolare, che essenzialmente consiste nei tre voti suddetti.

Per cui in alcuni istituti si ha la precauzione di professare non la regola, ma « di vivere secondo la regola », cioè di applicarsi a conformare la propria condotta alla regola come a un modello.

Ma questo sforzo viene eliminato dal disprezzo.

In altri istituti poi, con una cautela anche maggiore, si professa « l'obbedienza secondo la regola », di modo che non è contro la professione se non ciò che è contro il precetto della regola.

La trasgressione invece o l'omissione degli altri punti è solo peccato veniale.

Si tratta infatti, come si è detto [ a. 7, ad 2 ], di disposizioni alla pratica dei voti principali: e d'altra parte il peccato veniale, come si è visto sopra [ I-II, q. 88, a. 3 ], è una disposizione al mortale, in quanto impedisce ciò che dispone a osservare i precetti principali della legge di Cristo, che sono i precetti della carità.

Esiste tuttavia un istituto, cioè l'Ordine dei Frati Predicatori, in cui tale trasgressione od omissione di per sé non implica un peccato, né mortale né veniale, ma obbliga soltanto a subire una pena determinata: poiché questi religiosi sono obbligati in questo modo a tali osservanze.

Essi tuttavia potrebbero peccare venialmente o mortalmente agendo per negligenza, passione o disprezzo.

2. Non tutto nella legge ha valore di precetto, ma certe norme sono date come ordinazioni, oppure come disposizioni che obbligano a una data pena: come nella legge civile la trasgressione di una disposizione legale non sempre rende degni della pena di morte.

Similmente anche nelle leggi ecclesiastiche non tutte le ordinazioni e le norme obbligano sotto peccato mortale.

E lo stesso si dica per le prescrizioni delle regole monastiche.

3. Uno pecca per disprezzo solo quando la sua volontà si rifiuta di sottomettersi alle prescrizioni della legge o della regola, e per questo agisce contro di esse.

Quando invece uno lo fa per qualche altra causa particolare, ad es. perché è mosso dalla concupiscenza o dall'ira, allora non pecca per disprezzo, ma per qualche altra causa; anche se ricade spesso in peccato per la medesima causa, o per un'altra consimile.

E anche S. Agostino [ De nat. et gratia 29.33 ] afferma che non tutti i peccati sono commessi per il disprezzo della superbia.

Però la frequenza del peccato predispone al disprezzo, poiché si legge nella Scrittura [ Pr 18,3 Vg ]: « L'empio, quando è giunto nel profondo dei peccati, disprezza ».

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