Summa Teologica - II-II |
C. impugn., c. 1
Pare che vi sia una sola forma di vita religiosa.
1. In ciò che è totale e perfetto non ci possono essere delle differenze: ed è per questo che esiste un solo primo e sommo bene, come si è visto nella Prima Parte [ q. 11, a. 3 ].
Ora, secondo S. Gregorio [ In Ez hom. 20 ], « quando uno offre a Dio onnipotente tutti i suoi beni, tutta la sua vita e tutto il suo sapere, si ha un olocausto », senza il quale non si concepisce la vita religiosa.
Quindi non ci sono vari tipi di vita religiosa, ma ne esiste uno soltanto.
2. Quelle cose che coincidono negli elementi essenziali differiscono tra loro solo in modo accidentale.
Ora, nessuna religione manca dei tre voti essenziali allo stato religioso, come si è visto [ q. 186, aa. 6,7 ].
Quindi le religioni non hanno tra loro differenze specifiche, ma solo accidentali.
3. Lo stato di perfezione, come si è visto [ q. 184, a. 5 ], abbraccia sia i vescovi che i religiosi.
Ma l'episcopato è unico dappertutto, senza specie diverse.
Scrive infatti S. Girolamo [ Epist. 146 ]: « Dovunque ci sia un vescovo, sia a Roma che a Gubbio, sia a Costantinopoli che a Reggio, egli ha sempre la medesima dignità e l'identico sacerdozio ».
Quindi per lo stesso motivo si ha un'unica vita religiosa.
4. È dovere della Chiesa eliminare ogni elemento di confusione.
Ora, la varietà degli istituti religiosi può arrecare confusione nel popolo cristiano, come dice una Decretale [ 3,36,9 ].
Perciò pare che non vi debbano essere forme diverse di vita religiosa.
Nei Salmi [ Sal 45,10 Vg ] si legge che contribuisce alla bellezza della regina [ cioè della Chiesa ] l'essere « avvolta in variopinto abbigliamento ».
Abbiamo già detto [ q. 186, a. 7; q. 187, a. 2 ] che lo stato religioso è un esercizio ordinato a raggiungere la perfezione della carità.
Ora, diverse sono le opere di carità alle quali un uomo può dedicarsi; e diverse sono pure le maniere di esercitarvisi.
Perciò le forme della vita religiosa si possono distinguere in due modi.
Primo, secondo la diversità dei fini a cui sono ordinate: come una religione può essere ordinata a ospitare i pellegrini e un'altra a visitare e a redimere i prigionieri.
Secondo, in base alla diversità degli esercizi ascetici: p. es. in una religione il corpo viene castigato con l'astinenza, in un'altra con il lavoro manuale, o con la nudità, o con altre cose del genere.
Siccome però « il fine è quanto vi è di principale in ogni cosa » [ Arist., Topic. 6,8 ], la distinzione derivante dalla diversità dei fini a cui i vari istituti sono ordinati è maggiore di quella impostata sulla diversità delle pratiche ascetiche.
1. La dedizione totale di se stessi al servizio di Dio è comune a tutte le forme di vita religiosa.
E così da questo lato non c'è diversità tra i vari istituti: non avviene cioè che in uno ci si riservi una cosa, e in un altro un'altra.
La diversità deriva invece dai diversi compiti secondo i quali si può servire il Signore, e dai vari modi in cui ci si può a ciò disporre.
2. I tre voti essenziali della vita religiosa rientrano nell'esercizio dello stato religioso come le pratiche principali a cui si riducono tutte le altre, secondo quanto abbiamo visto [ q. 186, a. 7, ad 2 ].
Ma all'osservanza di ognuno di essi ciascuno si può disporre in modo diverso: a osservare p. es. il voto di castità ci si può disporre con la solitudine, con l'astinenza, con la vita di comunità e con molti altri mezzi del genere.
Perciò è evidente che la concordanza nei tre voti essenziali è compatibile con la diversità degli ordini religiosi, sia per la diversità degli esercizi chiamati ad agevolarne la pratica, sia per la diversità dei fini rispettivi, come si è già spiegato [ nel corpo ].
3. Rispetto alla perfezione, come si è visto sopra [ q. 184, a. 7 ], il vescovo funge da elemento attivo, mentre i religiosi sono passivi.
Ora, anche nel mondo fisico più un agente è superiore più tende all'unità, mentre gli elementi passivi sono molteplici e diversi.
È giusto quindi che lo stato episcopale sia unico, e al contrario le forme di vita religiosa siano diverse.
4. La confusione è il contrario della distinzione e dell'ordine.
Dalla molteplicità degli ordini religiosi nascerebbe quindi la confusione se ci fossero diversi ordini per il medesimo fine e con gli stessi mezzi, senza utilità e necessità.
Così dunque, perché ciò non avvenga, è stato ordinato giustamente che non venga fondato un nuovo ordine senza l'autorizzazione del Sommo Pontefice.
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