Summa Teologica - II-II |
C. impugn., c. 1
Pare che non si debba istituire alcun ordine religioso per le opere della vita attiva.
1. Tutti gli ordini religiosi appartengono allo stato di perfezione, come si è visto [ q. 184, a. 5; q. 186, a. 1 ].
Ma la perfezione dello stato religioso consiste nella contemplazione di Dio: poiché, secondo Dionigi [ De eccl. hier. 6 ], « essi [ i religiosi ] devono il loro nome al culto e al servizio di Dio, e alla vita indivisibile e singolare che li unisce alle sante circonvoluzioni », cioè alle contemplazioni, « delle realtà incorruttibili, ossia all'unitarietà di una vita deiforme e alla perfezione dell'amore di Dio ».
Quindi nessun ordine religioso può essere istituito per le opere della vita attiva.
2. A norma dei Canoni [ Decretales 1,37,2; 3,35,5 ], « identica è la condizione dei monaci e dei canonici regolari », « i quali ultimi non vanno considerati distinti dai monaci ».
E lo stesso si dica di tutti gli altri religiosi.
Ora, la vita religiosa dei monaci è istituita per la contemplazione: infatti S. Girolamo scriveva al monaco Paolino [ Epist. 58 ]: « Se vuoi essere monaco, come dice il tuo appellativo, cioè solitario, che cosa fai nelle città? ».
E la stessa cosa viene ripetuta nelle Decretali [ 1,9,10; 3.31.18 ].
Quindi tutti gli ordini religiosi sono ordinati alla vita contemplativa, e nessuno a quella attiva.
3. La vita attiva appartiene al secolo presente.
Ora, tutti i religiosi abbandonano il secolo, per cui S. Gregorio [ In Ez hom. 20 ] scrive: « Chi abbandona il secolo presente e fa il bene che può, offre ormai un sacrificio nel deserto, come dopo aver abbandonato l'Egitto ».
Perciò nessuna religione può essere ordinata alla vita attiva.
Nella Scrittura [ Gc 1,27 ] si legge: « La religione pura e senza macchia, davanti a Dio nostro Padre, è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni ».
Ma ciò appartiene alla vita attiva.
Quindi le religioni possono essere ordinate alla vita attiva.
Lo stato religioso, come si è visto [ q. 187, a. 2 ], è ordinato alla perfezione della carità, che abbraccia l'amore di Dio e quello del prossimo.
Ora, all'amore di Dio è ordinata direttamente la vita contemplativa, che desidera di attendere a Dio soltanto, mentre all'amore del prossimo è ordinata la vita attiva, che soccorre alle necessità di quest'ultimo.
Ma come con la carità si ama il prossimo per amore di Dio, così i favori fatti al prossimo ridondano in ossequio a Dio, come leggiamo nel Vangelo [ Mt 25,40 ]: « Ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me ».
E così questi favori fatti al prossimo sono talora denominati sacrifici, secondo quelle parole [ Eb 13,16 ]: « Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, poiché di tali sacrifici il Signore si compiace ».
E poiché è proprio della religione offrire sacrifici, come sopra [ q. 81, a. 1, ad 1; q. 85, a. 3 ] si è detto, è conveniente che alcune religioni siano ordinate alle opere della vita attiva.
Infatti l'Abate Nesteros [ Coll. Patrum 14,4 ] così distingueva i compiti dei vari istituti religiosi: « Alcuni fissano il loro desiderio nella solitudine dell'eremo e nella purezza del cuore; altri si dedicano alla formazione dei fratelli e alla cura dei monasteri; altri si dilettano nel servizio dell'ospitalità ».
1. « Il culto e il servizio di Dio » si ha anche nelle opere della vita attiva, nelle quali si serve il prossimo per amore di Dio, come si è visto [ nel corpo ].
E lo stesso si dica della « vita singolare »: non in quanto si evita il consorzio umano, ma in quanto si attende in modo singolare alle cose riguardanti l'onore di Dio.
E quando i religiosi si applicano alle opere della vita attiva per amore di Dio, è chiaro che il loro agire deriva dalla contemplazione delle realtà divine.
Per cui non sono privati totalmente dei frutti della vita contemplativa.
2. La condizione dei monaci e di tutti gli altri religiosi è identica rispetto alle cose che sono comuni a tutti gli istituti religiosi: p. es. rispetto alla consacrazione totale al servizio di Dio, all'osservanza dei voti essenziali della vita religiosa e all'astensione dagli affari secolari.
La somiglianza non è invece necessaria rispetto alle altre pratiche che sono proprie della professione monastica, e che sono ordinate in modo speciale alla vita contemplativa.
Perciò nel canone citato non è scritto semplicemente che « è identica la condizione dei monaci e dei canonici regolari », ma che è identica « nelle cose suddette », ossia nel fatto che « nelle cause giudiziali non possono esercitare l'ufficio di avvocati ».
E l'altra Decretale citata, dopo aver detto che « i canonici regolari non vanno considerati distinti dai monaci », aggiunge: « Essi però osservano una regola meno rigida »
Perciò è evidente che non sono tenuti a tutte le osservanze dei monaci.
3. Ci sono due modi di stare nel secolo: primo, con il corpo; secondo, con l'affetto.
Disse infatti il Signore ai suoi discepoli [ Gv 15,19 ]: « Io vi ho scelti dal mondo »; dopo però [ Gv 17,11 ] egli così pregò il Padre per essi: « Io non sono più nel mondo, essi invece sono nel mondo ».
Perciò, sebbene i religiosi occupati nelle opere della vita attiva siano nel mondo con il corpo, non sono però in esso con l'affetto dell'anima: poiché sono occupati nelle opere esteriori non per cercare qualcosa nel mondo, ma a onore di Dio; essi infatti, come dice S. Paolo [ 1 Cor 7,31 ], « usano di questo mondo come se non ne usassero ».
Per cui S. Giacomo [ Gc 1,27 ], dopo aver detto che « la religione pura e senza macchia è soccorrere gli orfani e le vedove », aggiunge: « e conservarsi puri da questo mondo », in modo cioè da non essere trattenuti con l'affetto nelle cose del secolo.
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