Summa Teologica - III |
In 3 Sent., d. 14, q; 1, a. 2, sol. 2; De Verit., q. 8, a. 4; q. 20, aa. 4, 5; Comp. Theol., c. 216
Pare che l'anima di Cristo non conosca nel Verbo tutte le cose.
1. Nel Vangelo [ Mc 13,32 ] Cristo dichiara: « Quanto poi a quel giorno o a quell'ora nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre ».
Egli quindi non conosce nel Verbo tutte le cose.
2. Quanto meglio si conosce un principio, tante più cose si conoscono in esso.
Ma Dio conosce la propria essenza meglio dell'anima di Cristo.
Quindi conosce nel Verbo più cose che l'anima di Cristo.
E così l'anima di Cristo non conosce nel Verbo tutte le cose.
3. La misura di una scienza è data dal numero dei suoi oggetti.
Se dunque l'anima di Cristo conoscesse nel Verbo tutte le cose che conosce il Verbo, la scienza dell'anima di Cristo uguaglierebbe la scienza divina, cioè il creato uguaglierebbe l'increato.
Il che è assurdo.
La Scrittura [ Ap 5,12 ] dichiara: « L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere la divinità e la scienza », e la Glossa [ ord. ] spiega: « cioè la conoscenza di tutte le cose ».
Nel chiederci se Cristo conosca nel Verbo tutte le cose dobbiamo precisare che l'espressione « tutte le cose » può essere intesa in due modi.
Primo, in senso proprio, includendo tutte le cose che in qualunque maniera sono, saranno o sono state; o fatte, o dette, o pensate da chiunque in qualsiasi tempo.
Ora, entro questi limiti l'anima di Cristo conosce nel Verbo tutte le cose.
Infatti ogni intelletto creato può conoscere nel Verbo non tutte le cose in senso assoluto, ma tante più cose quanto più perfettamente vede il Verbo: a nessuno dei beati manca però la conoscenza nel Verbo delle cose che lo riguardano.
Ora, a Cristo e alla sua dignità si riferiscono in certo qual modo tutte le cose, poiché « ogni cosa è stata sottoposta a lui ».
Inoltre, come dice il Vangelo [ Gv 5,27 ], « Dio gli ha dato il potere di giudicare, perché è il Figlio dell'Uomo ».
Perciò l'anima di Cristo conosce nel Verbo tutte le realtà esistenti di qualunque tempo, e anche i pensieri degli uomini di cui è giudice, secondo l'espressione del Vangelo [ Gv 2,25 ]: « Sapeva quello che c'è in ogni uomo »; il che può riferirsi non solo alla scienza divina, ma anche alla scienza che la sua anima ha nel Verbo.
Secondo, l'espressione « tutte le cose » può intendersi in senso più largo, così da abbracciare non solo tutte le cose che sono in atto in qualsiasi tempo, ma anche tutte quelle che sono in potenza e mai verranno attuate.
Di esse poi alcune sono soltanto nel potere di Dio.
E queste l'anima di Cristo non le conosce tutte nel Verbo.
Ciò infatti equivarrebbe a comprendere tutto quello che Dio può fare, vale a dire ad avere la piena comprensione della virtù divina, e quindi dell'essenza divina.
Ogni virtù infatti viene conosciuta in base a ciò che può fare.
- Altre cose invece sono nel potere non solo di Dio, ma anche delle creature.
E queste l'anima di Cristo le conosce tutte nel Verbo.
Comprende infatti nel Verbo l'essenza di ogni creatura, e quindi la potenza, la virtù e tutto ciò che è in potere delle creature.
1. Ario ed Eunomio riferivano quelle parole non alla scienza dell'anima, che non ammettevano in Cristo, come si è detto sopra [ q. 5, a. 3 ], ma alla scienza divina del Figlio, che dicevano inferiore al Padre nella scienza.
Il che è inammissibile.
Poiché « per mezzo del Verbo di Dio sono state create tutte le cose », afferma il Vangelo [ Gv 1,3 ], e fra le altre sono stati fatti per mezzo di lui anche tutti i tempi.
Ora, nulla egli può aver fatto senza averne la conoscenza.
Dice dunque di non sapere il giorno e l'ora del giudizio nel senso che non voleva farlo sapere: interrogato infatti dagli Apostoli su questo, si rifiutò di rivelarlo [ At 1,6s ].
Come in senso contrario si legge nella Genesi [ Gen 22,12 ]: « Ora so che tu temi Dio », cioè « ora l'ho fatto conoscere » [ Agost., De Trin. 1,12.25 ].
Dice dunque che il Padre lo sa proprio perché ha comunicato al Figlio tale conoscenza.
Per cui la stessa precisazione « eccetto il Padre » fa capire che il Figlio conosce, non solo con la natura divina, ma anche con quella umana.
Poiché, come argomenta il Crisostomo [ In Mt hom. 77 ], « se a Cristo uomo fu dato di sapere il più, cioè come dovesse giudicare, a più forte ragione gli fu dato di conoscere il meno, cioè il tempo del giudizio ».
Origene invece [ In Mt 55, su 24, 36 ] riferisce quelle parole al « corpo di Cristo, che è la Chiesa » [ Col 1,24 ], la quale ignora il tempo in questione.
- Altri poi dicono che esse vanno riferite al figlio di Dio adottivo, non a quello naturale.
2. Dio conosce la propria essenza meglio dell'anima di Cristo, poiché la comprende.
Perciò conosce non solo tutte le cose che sono in atto in qualunque momento, con la cosiddetta « scienza di visione », ma anche tutte le cose che egli può fare, e che sono l'oggetto della sua « scienza di semplice intelligenza », come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 14, a. 9 ].
L'anima di Cristo conosce dunque tutte le cose che Dio conosce in se stesso con la scienza di visione, ma non tutte quelle che Dio conosce in se stesso con la scienza di semplice intelligenza.
E così Dio conosce in se stesso più cose dell'anima di Cristo.
3. La grandezza di una scienza non dipende solo dal numero delle cose conosciute, ma anche dalla chiarezza della conoscenza.
Per cui anche se la scienza che l'anima di Cristo ha nel Verbo uguaglia per numero di oggetti la scienza di visione che Dio ha in se stesso, tuttavia quest'ultima la supera all'infinito per chiarezza di conoscenza.
Inoltre il lume increato dell'intelletto divino supera infinitamente qualunque lume creato infuso nell'anima di Cristo non solo quanto al modo di conoscere, ma anche quanto al numero delle realtà conosciute, come si è detto [ nel corpo e ad 2 ].
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