Summa Teologica - III |
In 3 Sent., d. 14, q. 1, a. 1, sol. 2, 3; De Verit., q. 20, a. 2
Pare che in Cristo la scienza infusa non fosse un abito.
1. All'anima di Cristo si addiceva la massima perfezione, come si è detto [ a. 1; q. 9, a. 1 ].
Ma una conoscenza attuale è più perfetta di una conoscenza abituale.
Si addiceva quindi ad essa di sapere tutto in atto.
Quindi l'anima di Cristo non aveva la scienza allo stato di abito.
2. Poiché l'abito serve all'atto, è inutile una scienza abituale che non diventa mai attuale.
Conoscendo dunque Cristo tutte le cose, come si è dimostrato [ a. 1 ], non avrebbe potuto considerarle tutte una dopo l'altra, poiché non si può esaurire l'infinito con l'enumerazione.
Perciò tale scienza abituale sarebbe stata inutile: il che è inammissibile.
Conosceva quindi tutte le cose in modo attuale, e non abituale.
3. La scienza abituale è una perfezione del soggetto.
Ma la perfezione è superiore al perfettibile.
Se dunque nell'anima di Cristo ci fosse stato un abito creato di scienza, qualcosa di creato sarebbe stato superiore all'anima di Cristo.
Perciò nell'anima di Cristo non c'era la scienza abituale.
La scienza di Cristo di cui ora parliamo era specificamente identica alla nostra, come anche la sua anima era della stessa specie della nostra.
Ma la nostra scienza è un abito.
Quindi anche la scienza di Cristo era un abito.
Come si è detto sopra [ a. prec. ], le condizioni della scienza infusa nell'anima di Cristo corrispondevano al soggetto ricevente, poiché la cosa ricevuta si trova nel ricevente alla maniera di questo.
Ma il modo connaturale all'anima umana è di conoscere ora in atto e ora in potenza, e d'altra parte a metà strada fra la pura potenza e l'atto completo c'è l'abito.
Ora, il medio e gli estremi sono della stessa specie.
Perciò il modo connaturale all'anima umana è di ricevere la scienza come abito.
Per cui bisogna dire che la scienza infusa nell'anima di Cristo era allo stato abituale: egli poteva infatti servirsene quando voleva.
1. Nell'anima di Cristo c'era una duplice scienza, l'una e l'altra perfettissima a suo modo.
La prima, con la quale conosceva l'essenza di Dio e tutte le altre cose in essa, era superiore alla natura umana ed era perfettissima in senso assoluto.
E tale scienza non era in abito, ma in atto, rispetto a tutte le cose conosciute in tal modo.
- La seconda invece era proporzionata alla natura umana, e consisteva nel conoscere le cose mediante specie infuse direttamente da Dio: ed è di questa che ora parliamo.
Ora, questa scienza non era perfettissima in tutti i sensi, ma era perfettissima come scienza umana.
Non era quindi necessario che fosse sempre in atto.
2. L'abito passa all'atto sotto il comando della volontà, poiché l'abito è « il mezzo per agire quando si vuole » [ Averroè, De anima 3,18 ].
Ora, la volontà può tendere a infiniti oggetti in maniera indeterminata.
E tuttavia ciò non è inutile, sebbene essa non tenda attualmente a tutti gli oggetti: basta infatti che tenda attualmente a ciò che conviene secondo il tempo e il luogo.
Perciò neppure l'abito è inutile, sebbene non tutte le sue possibilità passino all'atto, purché si attui ciò che la volontà richiede per i suoi debiti fini secondo le esigenze degli impegni e dei tempi.
3. Il bene e l'ente possono essere intesi in due modi.
Primo, in senso assoluto.
E in questo senso il bene e l'ente si dicono della sostanza, che sussiste nel suo essere e nella sua bontà.
Secondo, in senso relativo.
E in questo modo si dice ente anche l'accidente: non perché abbia in se stesso l'essere e la bontà, ma in quanto per suo mezzo il soggetto ha una certa entità e bontà [ accidentale ].
Così dunque la scienza abituale non è superiore e più nobile dell'anima di Cristo in senso assoluto, ma in senso relativo: infatti tutta la perfezione dell'abito della scienza si riduce a una perfezione del soggetto.
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