Summa Teologica - III |
C. G., IV, c. 55, ad 14; Expos. in Symb., a. 4; In 1 Cor., c. 2, lect. 2
Pare che la passione di Cristo debba essere attribuita alla sua divinità.
1. S. Paolo [ 1 Cor 2,8 ] afferma: « Se l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria ».
Ma Cristo è il Signore della gloria secondo la sua divinità.
Quindi la passione gli va attribuita secondo la divinità.
2. Il principio della salvezza umana è la divinità stessa, secondo le parole del Salmo [ Sal 37,39 ]: « La salvezza dei giusti viene dal Signore ».
Se quindi la passione di Cristo non riguardasse la sua divinità, pare che non potrebbe recarci giovamento.
3. I Giudei furono puniti per il peccato dell'uccisione di Cristo come assassini di Dio stesso: e sta a dimostrarlo la gravità del castigo.
Ma ciò non sarebbe se la passione non avesse colpito la divinità.
Quindi la passione di Cristo appartenne alla divinità.
S. Atanasio [ Epist. ad Epict. ] ha scritto: « Il Verbo, rimanendo Dio per natura, è impassibile ».
Ora, l'impassibile non può patire.
Quindi la passione di Cristo non va attribuita alla sua divinità.
Come si è già visto [ q. 2, aa. 1,2,3,6 ], l'unione delle due nature umana e divina avvenne nella persona, ossia nell'ipostasi o supposito, restando la distinzione delle nature: in modo cioè che pur restando salve le proprietà delle nature, identica è la persona o ipostasi della natura umana e di quella divina.
Quindi, secondo le spiegazioni date sopra [ q. 16, a. 4 ], si deve attribuire la passione al supposito di natura divina in ragione non della divinità, che è impassibile, ma della natura umana.
Da cui le parole di S. Cirillo [ Epist. 17 ad Nest. ]: « Se uno si rifiuta di confessare che il Verbo di Dio ha sofferto ed è stato crocifisso nella carne, sia scomunicato ».
Perciò la passione di Cristo va attribuita al supposito di natura divina in forza della natura passibile che assunse, non già in forza della natura divina impassibile.
1. Si dice che il Signore della gloria è stato crocifisso non in quanto è il Signore della gloria, ma in quanto era un uomo passibile.
2. Come si legge negli atti del Concilio di Efeso [ 3,10 ], « la morte di Cristo, quale morte di Dio », data cioè l'unione ipostatica, « ha distrutto la morte: poiché colui che soffriva era Dio e uomo.
Ma non fu la natura di Dio a essere colpita, e le sofferenze non le apportarono alcun mutamento ».
3. Come si dice in quel medesimo testo [ cf. ad 2 ], « i Giudei non crocifissero un puro uomo, ma ingiuriarono Dio stesso.
Supponiamo infatti che un re si esprima a parole e che queste, scritte su una carta e indirizzate alle varie città, vengano lacerate da un ribelle che strappa quella carta.
Costui viene condannato a morte non perché strappa della carta, ma perché tenta di distruggere le parole del re.
Il giudeo quindi non si senta tranquillo per il fatto di avere crocifisso un puro uomo.
Ciò che egli vedeva era infatti come la carta, ma quanto in essa si celava era il Verbo regale, nato [ da Dio ] per natura, non proferito con la lingua ».
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