Summa Teologica - III |
In 3 Sent., d. 22, q. 2, a. 1, sol. 2
Pare che Cristo sia disceso anche nell'inferno dei dannati.
1. La Sapienza divina attesta di se stessa [ Sir 24,45 Vg ]: « Penetrerò tutte le parti inferiori della terra ».
Ma tra le parti inferiori della terra rientra anche l'inferno dei dannati, stando alle parole del Salmo [ Sal 63,10 Vg ]: « Entreranno nei luoghi inferiori della terra ».
Perciò Cristo, che è la Sapienza di Dio [ 1 Cor 1,24 ], discese sino all'inferno dei dannati.
2. S. Pietro [ At 2,24 ] afferma che « Dio ha risuscitato Cristo, liberandolo dai dolori dell'inferno, poiché non era possibile che egli vi fosse trattenuto ».
Ma nell'inferno dei Patriarchi non c'erano i dolori; e neppure c'erano nell'inferno dei bambini, i quali non sono puniti con la pena del senso per il peccato attuale, ma solo con la pena del danno per il peccato originale.
Quindi Cristo discese nell'inferno dei dannati, oppure in purgatorio, dove gli uomini sono puniti con la pena del senso per i peccati attuali.
3. Nella sua prima lettera [ 1 Pt 3,19s ] S. Pietro scrive che « Cristo andò in ispirito a predicare a quelli che erano in carcere e che un tempo erano stati increduli »; parole che S. Atanasio [ Epist. ad Epict. 5 ] riferisce alla discesa di Cristo agli inferi.
Scrive infatti che « il corpo di Cristo fu posto nel sepolcro quando egli andò a predicare agli spiriti che erano prigionieri, come dice S. Pietro ».
Ora, si sa che gli increduli si trovano nell'inferno dei dannati.
Perciò Cristo discese nell'inferno dei dannati.
4. S. Agostino [ Epist. 164,3 ] osserva: « Se la Sacra Scrittura avesse detto che Cristo da morto era venuto nel seno di Abramo, senza nominare l'inferno e i suoi dolori, mi stupirei che si osasse affermare che era disceso agli inferi.
Ma poiché testimonianze evidenti nominano l'inferno e i suoi dolori, non c'è da credere che il Salvatore sia andato là se non per salvare le anime da quei dolori ».
Ma il luogo dei dolori è l'inferno dei dannati.
Quindi Cristo discese nell'inferno dei dannati.
5. Altrove S. Agostino [ Serm. supp. 160 ] afferma « che Cristo, nel discendere all'inferno, prosciolse tutti i giusti che vi si trovavano prigionieri per il peccato originale ».
Ora, tra costoro c'era anche Giobbe, il quale aveva detto di se stesso [ Gb 17,16 Vg ]: «Tutto ciò che mi appartiene scenderà nel più profondo dell'inferno ».
Quindi Cristo discese fino al più profondo dell'inferno.
Parlando dell'inferno dei dannati Giobbe [ Gb 10,21 ] diceva: « Prima che me ne vada, senza ritornare, verso la terra delle tenebre e dell'ombra di morte », ecc.
Ora, secondo S. Paolo [ 2 Cor 6,14 ], non c'è alcuna « unione fra la luce e le tenebre ».
Perciò Cristo, che è la luce, non discese nell'inferno dei dannati.
Uno può trovarsi in un luogo in due modi.
Primo, mediante i suoi effetti.
E in questo modo si può dire che Cristo discese in ogni parte dell'inferno: però con effetti diversi.
Infatti nell'inferno dei dannati egli produsse l'effetto di confondere la loro incredulità e la loro malizia.
A coloro invece che si trovavano in purgatorio diede la speranza di raggiungere la gloria.
Ai santi Patriarchi poi, che erano all'inferno solo per il peccato originale, infuse la luce della gloria eterna.
Secondo, si può dire che uno è in un dato luogo col proprio essere.
E in questo modo l'anima di Cristo discese solo in quella parte dell'inferno in cui erano detenuti i giusti: poiché volle visitare anche localmente con la sua anima coloro che mediante la grazia visitava interiormente con la sua divinità.
Così tuttavia, portandosi in una parte dell'inferno, irradiò in qualche modo la sua azione nell'inferno intero: come soffrendo la sua passione in un solo luogo della terra liberò con essa tutto il mondo.
1. Cristo, che è la Sapienza di Dio, « penetrò tutte le parti inferiori della terra » non percorrendole tutte localmente con la sua anima, ma estendendo in qualche modo a tutte gli effetti della sua potenza.
In modo però da illuminare solo i giusti, poiché nel passo citato seguono le parole: « E illuminerò tutti quelli che sperano nel Signore ».
2. Esistono due specie di dolore.
Il primo è dovuto alla sofferenza della pena, subita dagli uomini per il peccato attuale; e ad essa si riferiscono le parole del Salmo [ Sal 18,6 ]: « I dolori dell'inferno mi hanno circondato ».
- Il secondo è il dolore derivante dalla dilazione della gloria sperata, secondo l'allusione dei Proverbi [ Pr 13,12 ]: « Un'attesa troppo prolungata fa male al cuore ».
E questo dolore era sofferto nell'inferno anche dai santi Patriarchi, per cui S. Agostino [ Serm. supp. 160 ] accennando ad esso afferma che « pregavano Cristo supplicandolo con lacrime ».
Ora Cristo, discendendo agli inferi, mise fine a entrambe le specie di dolore: però in maniera diversa.
Pose infatti fine ai dolori dei castighi preservando da essi: come di un medico si può dire che mette fine a una malattia preservando da essa con l'opportuna medicina.
Mise poi fine sull'istante ai dolori causati dalla dilazione della gloria, donando la gloria.
3. Alcuni riferiscono alla discesa di Cristo all'inferno quelle parole di S. Pietro, dando loro questo significato: « A coloro che erano chiusi in carcere », cioè nell'inferno, « e che un tempo erano stati increduli, Cristo venne a predicare in ispirito », cioè con la sua anima.
Infatti il Damasceno [ De fide orth. 3,29 ] scrive che « come evangelizzò quelli che erano sulla terra, così fece anche con quelli che erano nell'inferno »: non già per convertirli alla fede, ma « per confondere la loro incredulità ».
Poiché in questa predicazione non si può vedere altro che la manifestazione della divinità di Cristo mediante la potenza della sua discesa agli inferi manifestata agli esseri infernali.
Tuttavia S. Agostino [ Epist. 164, cc. 5,6 ] presenta un'esegesi migliore, riferendo le parole suddette non alla discesa di Cristo agli inferi, bensì agli interventi della sua divinità fin dal principio del mondo.
E allora il senso è che egli « venne a predicare », con le ispirazioni interne e le ammonizioni esterne fatte dalla bocca dei giusti, « a coloro che erano in carcere », che cioè vivevano in un corpo mortale, il quale è come il carcere dell'anima, « con lo spirito » della sua divinità: « a coloro », dico, « che erano stati increduli un tempo », cioè alla predicazione di Noè, vale a dire « quando essi facevano assegnamento sulla pazienza di Dio », che differiva il castigo del diluvio.
Infatti nel testo si aggiunge: « ai giorni di Noè, quando si costruiva l'arca ».
4. Il « seno di Abramo » può essere considerato sotto due aspetti.
Primo, dal punto di vista dell'assenza della pena del senso.
E sotto questo aspetto ad esso non si addiceva il nome di inferno, né vi si riscontravano dei dolori.
Secondo, dal punto di vista della privazione della gloria sperata.
E da questo lato esso presentava l'aspetto di inferno e di dolore.
Per questo motivo oggi la sede dei beati viene detta seno di Abramo, ma non può essere detta inferno, né si ammettono oggi dolori nel seno di Abramo.
5. Secondo S. Gregorio [ Mor. 13,4 8], Giobbe chiama « il più profondo dell'inferno » anche le parti meno profonde di esso.
Confrontata infatti con l'altezza del cielo anche la nostra atmosfera è un inferno tenebroso; e a confronto con l'altezza della nostra atmosfera la terra sottostante può essere chiamata un inferno e un luogo profondo.
A confronto poi con l'altezza stessa della terra anche le parti dell'inferno superiori alle altre possono essere designate con le parole « il più profondo dell'inferno ».
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