Summa Teologica - III |
Infra, a. seq.; q. 55, a. 6
Pare che dopo la risurrezione Cristo non avesse un vero corpo.
1. Un vero corpo non può trovarsi simultaneamente nello stesso luogo con un altro corpo.
Ma ciò si verificò per il corpo di Cristo dopo la risurrezione: poiché egli entrò dai discepoli « a porte chiuse », come si legge nel Vangelo [ Gv 20,26 ].
Quindi Cristo dopo la risurrezione non aveva un vero corpo.
2. Un vero corpo non svanisce alla vista di chi lo guarda se non mediante la corruzione.
Ora il corpo di Cristo, come riferisce S. Luca [ Lc 24,31 ], « svanì dagli occhi » dei discepoli che lo guardavano.
Pare quindi che dopo la risurrezione Cristo non abbia avuto un vero corpo.
3. Qualsiasi corpo reale ha una determinata figura.
Invece il corpo di Cristo apparve ai discepoli « sotto altro aspetto », come scrive S. Marco [ Mc 16,12 ].
Perciò Cristo dopo la risurrezione non ebbe un vero corpo umano.
Nel Vangelo [ Lc 24,37 ] si dice che quando Cristo apparve ai discepoli, « essi stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma », cioè come se egli avesse un corpo non reale, ma immaginario.
Per togliere questa idea egli stesso dunque aggiunge [ Lc 24,39 ]: « Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho ».
Quindi egli non aveva un corpo immaginario, ma reale.
Come scrive il Damasceno [ De fide orth. 4,27 ], « risorgere è solo di chi è caduto ».
Ora, a cadere era stato il corpo di Cristo: in quanto cioè da esso si era separata l'anima, che era la sua perfezione formale.
Perché dunque la risurrezione di Cristo fosse reale, era indispensabile che il medesimo corpo si riunisse all'identica anima.
E poiché la realtà o verità di un corpo deriva dalla sua forma, è evidente che il corpo di Cristo dopo la risurrezione era un vero corpo, e dell'identica natura di prima.
Se invece il suo fosse stato un corpo immaginario, la risurrezione non sarebbe stata vera, ma apparente.
1. Il corpo di Cristo risorto, stando all'opinione di alcuni, entrò a porte chiuse dai discepoli, ritrovandosi così con un altro corpo nello stesso luogo, non per un miracolo, bensì grazie alle condizioni della gloria.
Ora, noi discuteremo in seguito [ Suppl., q. 83, a. 2 ], parlando della risurrezione universale, se un corpo glorioso possa coesistere nel medesimo luogo con un altro corpo per una proprietà ad esso inerente.
Per il momento basterà dire che si deve non alla natura del corpo, bensì alla virtù della divinità ad esso unita se il corpo di Cristo, pur essendo reale, entrò dai discepoli a porte chiuse.
Per cui S. Agostino [ Serm. 247 ], rispondendo ad alcuni che si chiedevano: « Se era un corpo, se risuscitò dal sepolcro quello stesso corpo che era stato appeso alla croce, come poté entrare a porte chiuse? », scriveva: « Se puoi comprendere il modo, non è più un miracolo.
La fede inizia là dove la ragione viene a mancare ».
E altrove [ In Ioh. ev. tract. 121 ] scrive: « Alla mole di quel corpo in cui risiedeva la divinità non potevano resistere le porte chiuse: ben poteva entrare senza aprirle chi era potuto nascere senza violare la verginità della madre ».
E lo stesso concetto viene ripreso poi da S. Gregorio in un'omelia dell'ottava di Pasqua [ In Evang. hom. 26 ].
2. Cristo risuscitò alla vita immortale della gloria, come si è già notato [ q. 53, a. 3 ].
Ora, la condizione propria di un corpo glorioso è quella di essere « spirituale », cioè soggetto allo spirito, come insegna l'Apostolo [ 1 Cor 15,44 ].
Ma perché il corpo sia del tutto soggetto allo spirito si richiede che ogni atto del corpo sia sottoposto alla volontà dello spirito.
Ora la visibilità di una cosa, spiega il Filosofo [ De anima 2,7 ], dipende dall'azione di un oggetto visibile sulla vista.
Perciò chi possiede un corpo glorificato ha in suo potere di farsi e non farsi vedere a suo piacimento.
Questo potere però Cristo non l'ebbe soltanto in base alla condizione del suo corpo glorioso, ma anche in virtù della sua divinità, che può rendere invisibili miracolosamente anche i corpi non gloriosi: come si legge [ Leg. aurea 123,1 ] di S. Bartolomeo, a cui fu concesso « di essere visto o non visto a suo piacimento ».
Perciò quando si dice che Cristo disparve dagli occhi dei discepoli, ciò va inteso non nel senso che il suo corpo venisse distrutto o si risolvesse in qualcosa di invisibile, ma nel senso che per sua volontà cessava di essere visibile a loro, o restando lì presente, o anche allontanandosi all'istante mediante l'agilità [ propria dei corpi gloriosi ].
3. Come scrive Severiano [ P. Crisol., Serm. 82 ], « nessuno pensi che Cristo alla sua risurrezione abbia cambiato fisionomia ».
Il che va inteso dei lineamenti: poiché nel corpo di Cristo, concepito per opera dello Spirito Santo, non vi era nulla di deforme che richiedesse di essere rettificato nella risurrezione.
Egli però nella risurrezione ricevette lo splendore della gloria.
Per cui Severiano aggiunge: « Il suo aspetto mutò divenendo da mortale immortale: acquistando cioè l'aspetto della gloria, non già perdendo la sostanza delle proprie fattezze ».
Tuttavia a quei discepoli di cui si parla egli non apparve nel suo aspetto glorioso, ma come era in suo potere di rendere il proprio corpo visibile o invisibile, così era in suo potere di far sì che la propria figura apparisse in forma gloriosa o non gloriosa, oppure in una forma intermedia, o in qualsiasi altro modo.
Ora, basta una piccola differenza perché uno possa apparire sotto un aspetto diverso.
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