Summa Teologica - III |
In 4 Sent., d. 47, q. 1, a. 2, sol. 3; d. 48, q. 1, a. 1, ad 4; Expos. in Symb., a. 7; In Ioan., c. 5, lect. 4
Pare che il potere giudiziario non vada attribuito a Cristo in modo speciale.
1. Il giudizio su una persona spetta al suo signore, come fa notare S. Paolo [ Rm 14,4 ]: « Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? ».
Ora, essere Signore delle creature è comune a tutta la Trinità.
Quindi il potere giudiziario non va attribuito particolarmente a Cristo.
2. In Daniele [ Dn 7,9 ] si legge: « Un vegliardo si assise », e subito dopo [ Dn 7,10 ]: « La corte sedette e i libri furono aperti ».
Ora, il vegliardo sta a indicare il Padre, poiché, secondo S. Ilario [ De Trin. 2,1 ], « nel Padre c'è l'eternità ».
Perciò il potere giudiziario va attribuito più al Padre che a Cristo.
3. Il compito di giudicare spetta a colui che ha anche quello di convincere il reo.
Ma convincere spetta allo Spirito Santo, poiché nel Vangelo [ Gv 16,8 ] sta scritto: « Quando egli », cioè lo Spirito Santo, « verrà, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio ».
Quindi il potere giudiziario va attribuito più allo Spirito Santo che a Cristo.
Negli Atti [ At 10,42 ] si legge di Cristo: « Egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio ».
Per giudicare si richiedono tre cose.
Primo, il potere coercitivo sui sudditi, per cui si legge [ Sir 7,6 ]: « Non cercare di divenire giudice se ti manca la forza di estirpare l'ingiustizia ».
Secondo, si richiede lo zelo della rettitudine, in modo che non si giudichi per odio o per invidia, ma per amore della giustizia, secondo le parole dei Proverbi [ Pr 3,12 ]: « Il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto ».
Terzo, si richiede la sapienza, che deve informare il giudizio: da cui le parole [ Sir 10,1 ]: « Un giudice sapiente giudicherà il suo popolo ».
Ora, i primi due requisiti sono dei presupposti, ma propriamente è il terzo che dà forma al giudizio, poiché la norma del giudizio è la legge di sapienza o di verità con la quale si giudica.
Poiché dunque il Figlio è la Sapienza generata, e la Verità che procede dal Padre e lo rappresenta perfettamente, propriamente il potere giudiziario viene attribuito al Figlio di Dio.
Da cui le parole di S. Agostino [ De vera relig. 31.57 ]: « Questa è quella verità incommutabile che giustamente è considerata la legge di tutte le arti, e l'arte dell'Artefice onnipotente.
E quando noi e tutte le anime ragionevoli giudichiamo con rettitudine e secondo verità delle cose inferiori e di noi stessi, se concordiamo con essa è in definitiva la Verità stessa che giudica.
Di essa invece non giudica neppure il Padre: infatti non è a lui inferiore.
E così ciò che il Padre giudica lo giudica per mezzo di essa.
Per cui il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio ».
1. L'argomento dimostra che il potere giudiziario è una prerogativa comune a tutta la Trinità: il che è vero.
Tuttavia per appropriazione esso viene attribuito al Figlio, come si è spiegato [ nel corpo ].
2. Come dice S. Agostino [ De Trin. 6,10.11 ], al Padre viene attribuita l'eternità per la sua affinità con il concetto di principio, che è implicito in quello di eternità.
Però egli aggiunge che il Figlio è « l'arte del Padre ».
Perciò l'autorità di giudice è attribuita al Padre in quanto questi è il principio del Figlio, ma il giudizio come tale è attribuito al Figlio, che è l'arte e la sapienza del Padre: per cui come il Padre ha fatto tutto per mezzo del Figlio in quanto questi è la sua arte, così giudica tutto per mezzo del Figlio in quanto questi è la sua sapienza e verità.
E questo è appunto il senso di quel passo di Daniele: « Un vegliardo si assise », seguito dall'altro [ Dn 7,13s ]: « Il Figlio dell'Uomo giunse fino al vegliardo, e questi gli diede potere, gloria e regno ».
Dal che si capisce che l'autorità di giudicare è presso il Padre, dal quale il Figlio ha ricevuto il potere di giudicare.
3. Come dice S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 95 ], Cristo predisse che lo Spirito Santo convincerà il mondo quanto al peccato nel senso che « sarà lui a diffondere la carità nei nostri cuori.
Poiché scacciato il timore avremo la libertà di redarguire il mondo e di convincerlo ».
Perciò allo Spirito Santo il giudizio non è attribuito in quanto giudizio, bensì in vista delle disposizioni affettive che il giudizio implica nell'uomo.
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