Summa Teologica - III |
In 4 Sent., d. 47, q. 1, a. 2, sol. 2, ad 4; d. 48, q. 1, a. 1; C. G., IV, c. 96; Comp. Theol., c. 241
Pare che Cristo non abbia acquistato il potere giudiziario con i suoi meriti.
1. Il potere giudiziario accompagna la dignità regale, secondo le parole dei Proverbi [ Pr 20,8 ]: « Il re che siede in tribunale dissipa ogni male con il suo sguardo ».
Ora, Cristo acquistò la dignità regale senza meritarla: poiché essa gli compete per il fatto stesso che è l'Unigenito di Dio.
Nel Vangelo [ Lc 1,32 ] infatti si legge: « Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre, e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe ».
Quindi Cristo non acquistò con i meriti il potere giudiziario.
2. Il potere giudiziario, stando alle cose già dette [ a. 2 ], spetta a Cristo in quanto è il nostro capo.
Ma la grazia capitale non spetta a Cristo per i suoi meriti, bensì è connessa con l'unione ipostatica della natura umana con quella divina, secondo le parole di S. Giovanni [ Gv 1,14.16 ]: « Abbiamo visto la sua gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità, e dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto ».
Parole queste che si riferiscono alla sua condizione di capo.
Perciò Cristo non dovette ai suoi meriti il potere giudiziario.
3. L'Apostolo [ 1 Cor 2,15 ] afferma: « L'uomo spirituale giudica ogni cosa ».
Ma l'uomo diviene spirituale mediante la grazia: e questa non proviene dai meriti, « altrimenti non sarebbe più grazia », nota S. Paolo [ Rm 11,16 ].
Quindi né a Cristo né ad altri il potere giudiziario è dovuto per i meriti, ma solo per grazia.
A lui si riferiscono quelle parole [ Gb 36,17 Vg ]: « La tua causa è stata giudicata come quella di un empio: per questo ti sarà concessa la sentenza e il giudizio ».
E S. Agostino [ Serm. 127,7 ] afferma: « Siederà come giudice colui che fu sottoposto a giudizio; condannerà i veri colpevoli colui che falsamente fu dichiarato in colpa ».
Nulla impedisce che una stessa prerogativa sia dovuta a una persona per motivi diversi: come la gloria del corpo risuscitato era dovuta a Cristo non solo in rapporto alla divinità e alla gloria dell'anima, ma anche « per il merito dovuto all'ignominia della passione » [ Agost., In Ioh. ev. tract. 104 ].
E lo stesso si dica per il potere giudiziario dovuto a Cristo come uomo: esso gli compete sia per la persona divina, sia per la dignità di capo, sia per la pienezza della sua grazia abituale, e tuttavia egli lo ottenne anche per i propri meriti: in modo cioè che secondo la giustizia di Dio fosse costituito giudice colui che per tale giustizia aveva combattuto e vinto, dopo essere stato condannato ingiustamente.
Da cui le sue parole nell'Apocalisse [ Ap 3,21 ]: « Io ho vinto, e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono ».
Ora, il termine trono sta a indicare il potere giudiziario, secondo le altre parole del Salmo [ Sal 9,5 ]: « Siedi in trono giudice giusto ».
1. L'argomento è valido per dimostrare che il potere giudiziario è dovuto a Cristo in forza dell'unione ipostatica con il Verbo di Dio.
2. L'argomento considera il potere suddetto in quanto deriva dalla grazia capitale.
3. L'argomento considera il potere giudiziario come derivante dalla grazia abituale, che sublima l'anima di Cristo.
Ma il fatto che a Cristo tale potere sia dovuto in forza di tali motivi non esclude che gli sia dovuto anche per i suoi meriti.
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