Summa Teologica - III |
In 4 Sent., d. 22, q. 1, a. 2, sol. 3
Pare che dall'ingratitudine del peccato successivo derivi un reato pari a quello dei peccati che erano stati rimessi.
1. Come la grandezza del beneficio con cui viene rimesso il peccato equivale alla grandezza del peccato rimesso, così pure di conseguenza anche l'ingratitudine con cui si disprezza tale beneficio.
Ma la gravità del reato conseguente dipende dalla grandezza dell'ingratitudine.
Quindi dall'ingratitudine del peccato successivo deriva un reato pari a quello di tutti i peccati commessi in precedenza.
2. Chi offende Dio pecca più di chi offende un uomo.
Ora, uno schiavo liberato che si rende colpevole viene condannato a una schiavitù identica a quella da cui era stato liberato, o anche a una più grave.
Molto più quindi sarà soggetto a un reato di pena pari a quello precedente colui che pecca contro Dio dopo la liberazione dal peccato.
3. Nella parabola evangelica [ Mt 18,34 ] si dice di colui al quale vennero addebitati di nuovo i peccati per l'ingratitudine che « il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto ».
Ma ciò non sarebbe avvenuto se dall'ingratitudine non derivasse un reato pari a quello di tutti i peccati precedenti.
Perciò con l'ingratitudine ritorna un reato della stessa gravità.
Nel Deuteronomio [ Dt 25,2 ] si legge: « Secondo la misura del peccato sarà la misura del castigo ».
Dal che risulta evidente che da un piccolo peccato non deriva un grave reato.
Ora, spesso il peccato mortale successivo è molto minore di qualsiasi peccato perdonato in precedenza.
Quindi dal peccato successivo non deriva un reato pari a quello dei peccati che erano stati rimessi.
Alcuni hanno affermato che dal peccato successivo, a motivo dell'ingratitudine, deriva un reato di pena pari a quello di tutti i peccati che erano stati perdonati, oltre al reato proprio di tale nuovo peccato.
- Ma ciò non segue necessariamente.
Abbiamo infatti già spiegato [ a. 1 ] che il reato dei peccati precedenti non torna col peccato successivo in forza degli atti delle colpe precedenti, ma solo come conseguenza dell'atto peccaminoso successivo.
Perciò è indispensabile che la gravità del reato che ritorna sia secondo la gravità del nuovo peccato.
Ora, può anche capitare che la gravità di quest'ultimo sia pari alla gravità di tutti i peccati precedenti; ma ciò non è sempre necessario, sia che si parli della gravità specifica, poiché talora il peccato successivo è una semplice fornicazione mentre quelli precedenti erano forse omicidi, adulteri o sacrilegi, sia che si parli della gravità derivante dall'ingratitudine annessa.
Infatti non è necessario che la misura dell'ingratitudine sia pari alla grandezza del beneficio ricevuto, che viene misurato in base alla gravità dei peccati perdonati.
Capita infatti che rispetto al medesimo beneficio uno sia molto ingrato, o per l'intensità del disprezzo verso di esso, o per la gravità della colpa commessa contro il benefattore, mentre un altro lo sia poco, o perché ha meno disprezzo, o perché agisce meno contro il suo benefattore.
Proporzionalmente però la gravità dell'ingratitudine si adegua alla grandezza del beneficio: supposto cioè l'identico disprezzo per il beneficio ricevuto, o l'identica offesa del benefattore, l'ingratitudine è tanto più grave quanto maggiore è stato il beneficio.
Perciò è evidente che il peccato successivo non sempre implica necessariamente, per l'ingratitudine commessa, un reato pari a quello dei peccati rimessi in precedenza, ma implica proporzionalmente che quanto più numerosi e gravi erano stati i peccati rimessi, tanto maggiore sia il reato che ritorna con qualsiasi peccato mortale successivo.
1. Il beneficio del perdono della colpa riceve la sua grandezza assoluta in base alla gravità dei peccati perdonati, ma il peccato di ingratitudine non riceve la sua grandezza assoluta in base alla grandezza del beneficio, bensì in base a quella del disprezzo o dell'offesa, come si è notato [ nel corpo ].
Quindi la conclusione non segue.
2. Lo schiavo affrancato non viene costretto alla schiavitù di prima per qualsiasi ingratitudine, ma per un'ingratitudine grave.
3. A colui al quale per l'ingratitudine successiva vengono riaddebitati i peccati già rimessi viene accollato « tutto il dovuto » per il fatto che la gravità dei peccati precedenti si riscontra nell'ingratitudine successiva: in maniera però proporzionale, non assoluta, come si è detto [ a. 1 ].
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