Supplemento alla III parte |
Pare che la confessione non sia un atto di virtù.
1. Ogni atto di virtù rientra nella legge naturale, poiché come dice il Filosofo [ Ethic. 2,1 ] « alla virtù siamo inclinati dalla natura ».
Ma la confessione non è di legge naturale.
Quindi non è un atto di virtù.
2. Un atto di virtù si addice più all'innocente che al peccatore.
Ma la confessione dei peccati della quale parliamo non si addice all'innocente.
Quindi non è un atto di virtù.
3. La grazia che si trova nei sacramenti differisce in una certa maniera dalla grazia che si trova nelle virtù e nei doni.
Ma la confessione è parte integrante di un sacramento.
Quindi non è un atto di virtù.
1. I precetti della legge hanno per oggetto gli atti delle virtù [ Ethic. 5,3 ].
Ma la confessione è di precetto.
Quindi è un atto di virtù.
2. Non si merita se non con gli atti delle virtù.
Ma la confessione è meritoria: poiché essa, come dice il Maestro delle Sentenze [ 4,17,1 ], « apre il cielo ».
Perciò è evidente che è un atto di virtù.
Perché una cosa sia un atto di virtù basta, come si è detto sopra [ In 4 Sent., d. 15, q. 2, a. 1, sol. 3; d. 15, q. 3, a. 1, sol. 2 ], che implichi nel suo concetto una condizione propria della virtù.
Ora la confessione, sebbene non implichi tutto ciò che la virtù richiede, tuttavia implica nel suo nome stesso la manifestazione di un segreto della propria coscienza: in modo che vi sia concordanza tra il cuore e la bocca.
Se infatti uno dice con la bocca ciò che non tiene nel cuore non si ha una confessione, ma una finzione.
Ora, questa coincidenza tra il cuore e la bocca è una condizione che appartiene alla virtù.
Perciò la confessione è un atto buono nel suo genere, ed è un atto di virtù.
- Tuttavia può essere fatta male, se non è rivestita di tutte le altre debite circostanze.
1. A confessare la verità nel debito modo, quando si deve e a chi si deve inclina in generale la stessa ragione naturale.
E da questo lato la confessione è di legge naturale.
Ma la determinazione delle circostanze, cioè quando, come, di che cosa e a chi ci si deve confessare, deriva dall'istituzione della legge divina nella confessione di cui parliamo.
È evidente quindi che la legge naturale inclina alla confessione mediante la legge divina, che determina le circostanze: come capita anche in tutte le norme che sono di legge positiva.
2. L'innocente, sebbene possa avere l'abito di quelle virtù che hanno per oggetto il peccato commesso, tuttavia non può averne l'atto, finché l'innocenza rimane.
E così la confessione dei peccati della quale parliamo non si addice all'innocente, sebbene sia un atto di virtù.
3. Sebbene la grazia sacramentale e quella delle virtù siano distinte, non sono tuttavia contrarie, ma disparate.
Quindi nulla impedisce che l'identico atto sia un atto di virtù in quanto è compiuto dal libero arbitrio informato dalla grazia, e sia un sacramento, o parte integrante di un sacramento, in quanto è una medicina ordinata a riparare il peccato.
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