Supplemento alla III parte |
Pare che le espressioni di consenso, anche verbali, costituiscano il matrimonio pur mancando il consenso interiore.
1. A norma del diritto [ Decretales 1,3, cc. 15,16; 4,11,2 ] « la frode e l'inganno non devono mai favorire chi li commette ».
Ma chi esprime a parole un consenso che non ha nel cuore commette un inganno.
Perciò questo non deve servirgli per liberarlo dal vincolo coniugale.
2. Il consenso interiore di un altro non può essere conosciuto se non mediante le parole che lo esprimono.
Se quindi tali espressioni non bastassero, e si richiedesse il consenso interiore, allora nessuno dei due coniugi potrebbe sapere se l'altro è il suo vero coniuge.
E così egli commetterebbe fornicazione ogni volta che usa del matrimonio.
3. Quando è provato che uno si è sposato con una donna esprimendosi al presente, costui è costretto sotto pena di scomunica a considerarla come moglie, sebbene dica di non aver dato il consenso interiore, anche se poi avesse contratto matrimonio con un'altra esprimendo a parole il consenso interiore [ ib. 4,4,3 ].
Ma ciò non avverrebbe se nel matrimonio si richiedesse il consenso interiore.
Quindi esso non è richiesto.
1. Innocenzo III, parlando in una decretale [ cf. ib. 4,1,26 ] di questo problema, afferma: « Senza il consenso tutte le altre cose non bastano a produrre il vincolo coniugale ».
2. L'intenzione è richiesta in tutti i sacramenti [ cf. III, q. 64, a. 8 ].
Ma chi non acconsente col cuore non ha l'intenzione di contrarre il matrimonio.
Quindi il matrimonio non sussiste.
Come si è già notato [ a. 2 ], l'assenso verbale sta a questo sacramento come l'abluzione esterna sta al battesimo.
Come dunque non è battezzato chi riceve l'abluzione esterna non con l'intenzione di ricevere il sacramento, ma per gioco o per inganno [ III, q. 64, a. 10, ad 2 ], così non contrae matrimonio chi nell'esprimerlo a parole non dà il consenso interiore.
1. Nel caso si devono distinguere due cose: il difetto di consenso, che in coscienza vale per considerarsi liberi dal vincolo matrimoniale, sebbene non valga in foro esterno di fronte alla Chiesa, dove si giudica secondo le testimonianze allegate, e l'inganno espresso con le parole, che non viene scusato né in foro interno né in foro esterno, poiché in entrambi viene giudicato degno di punizione.
2. Se da parte di un contraente manca il consenso interiore, il matrimonio non esiste neppure dall'altra parte: poiché il matrimonio risulta dall'unione reciproca, come si è detto [ q. 44, a. 1 ].
Tuttavia si deve credere che non ci sia inganno se non appaiono dei segni evidenti: poiché di chiunque si deve presumere l'onestà se non ci sono prove in contrario.
Perciò la parte che ha agito senza inganno viene per l'ignoranza scusata dal peccato.
3. Nel caso indicato la Chiesa costringe il contraente doloso a stare con la prima moglie poiché giudica « dalle apparenze esterne » [ cf. 1 Sam 16,7 ], e in ciò non si ha un errore di diritto, ma solo di fatto.
Però il responsabile deve piuttosto affrontare la scomunica che avere rapporti coniugali con la prima moglie [ Decretales 5,39,44 ]; oppure fuggire in terre lontane.
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