Supplemento alla III parte |
Pare che tra gli infedeli non ci sia un vero matrimonio.
1. Il matrimonio è un sacramento della Chiesa [ q. 42, a. 1 ].
Ma « la porta dei sacramenti » è il battesimo [ cf. III, q. 63, a. 6; q. 73, a. 3 ].
Perciò gli infedeli, che non sono battezzati, non possono contrarre matrimonio, come non possono ricevere nemmeno gli altri sacramenti.
2. Due mali impediscono il bene più di uno solo.
Ora, la mancanza di fede da parte di un coniuge solo impedisce quel bene che è il matrimonio [ a. prec. ].
Perciò a maggior ragione lo impedisce tale mancanza in entrambi.
Quindi tra gli infedeli non ci può essere un vero matrimonio.
3. Come c'è disparità di culto tra un infedele e un fedele, così ce ne può essere tra due infedeli: come quando uno è pagano e l'altro giudeo.
Ma la disparità di culto, come si è visto sopra [ a. prec. ], impedisce il matrimonio.
Quindi almeno tra gli infedeli di religione diversa non ci può essere un vero matrimonio.
4. Nel matrimonio non manca la vera pudicizia.
Invece, secondo S. Agostino [ De adult. coniug. 1,18 ], « non c'è vera pudicizia tra un infedele e sua moglie ».
Quindi non c'è un vero matrimonio.
5. Nel vero matrimonio il rapporto sessuale è scusato dal peccato [ q. 49, a. 4 ].
Ma il matrimonio degli infedeli non può avere tale effetto: poiché, come dice la Glossa [ ord. su Rm 14,23 ], « tutta la vita degli infedeli è peccato ».
Perciò tra gli infedeli non ci può essere un vero matrimonio.
1. S. Paolo [ 1 Cor 7,12 ] scrive: « Se un fratello ha in moglie un'infedele », ecc.
Ma una donna non può essere moglie che per il matrimonio.
Quindi il matrimonio degli infedeli è un vero matrimonio.
2. Gli elementi precedenti non dipendono da quelli successivi.
Ora, il matrimonio è un compito della natura, la quale precede lo stato della grazia, il cui principio è la fede.
Perciò la mancanza di fede non può impedire che il matrimonio tra gli infedeli sia un vero matrimonio.
Il matrimonio fu istituito principalmente per il bene della prole; e non solo per generarla, poiché ciò potrebbe ottenersi anche senza il matrimonio, ma per il suo completo sviluppo: poiché qualsiasi essere tende per natura a condurre a compimento il proprio effetto.
Ora, nella prole si devono distinguere due perfezioni: la perfezione della natura, sia rispetto al corpo che rispetto all'anima, secondo le norme della legge naturale, e la perfezione della grazia.
Ma la prima è una perfezione materiale e imperfetta rispetto alla seconda.
Essendo quindi le cose ordinate a un fine proporzionate al fine stesso, il matrimonio che tende al primo tipo di perfezione è qualcosa di imperfetto e materiale rispetto a quello che tende al secondo.
E siccome la prima perfezione è comune ai fedeli e agli infedeli, mentre la seconda è soltanto dei fedeli, di conseguenza anche quello degli infedeli è un vero matrimonio, però senza quell'ultima perfezione che si riscontra in quello dei fedeli.
1. Il matrimonio [ q. 42, a. 2 ] non fu istituito soltanto come sacramento, ma anche come compito naturale.
Sebbene quindi gli infedeli non lo abbiano come un sacramento amministrato dai ministri della Chiesa, lo hanno però come compito naturale.
- E tuttavia anche questo matrimonio è in qualche modo virtualmente un sacramento: sebbene non in maniera attuale, non essendo stato attualmente contratto nella fede della Chiesa.
2. La disparità di culto impedisce il matrimonio non per la carenza della fede, ma per la diversità delle credenze.
Poiché la disparità di culto impedisce non solo la perfezione soprannaturale della prole, ma anche quella naturale, cercando i genitori di volgere i figli verso mete diverse.
Il che non avviene quando entrambi sono infedeli.
3. Il matrimonio tra infedeli è un compito naturale.
Ora, quanto rientra nella legge naturale è determinabile dalle leggi positive.
Se dunque una legge positiva proibisce agli infedeli di religione diversa di contrarre matrimonio fra di loro, la disparità di culto è anche per essi un impedimento matrimoniale.
Ma nella legge divina non ci sono proibizioni: poiché a Dio non importa in che modo uno devii dalla fede, quando è privo della grazia.
E neppure c'è proibizione da parte della Chiesa, la quale « non ha il compito di giudicare quelli di fuori » [ 1 Cor 5,12 ].
4. Si dice che la pudicizia e le altre virtù degli infedeli non sono vere virtù perché non possono raggiungere il fine della vera virtù, che è la vera felicità: come si dice che non è vero vino quello che non ha l'effetto del vino.
5. Un infedele non pecca nel rapporto coniugale se lo fa per il bene della prole, o per rendere il debito in forza della fedeltà che lo lega al coniuge: poiché questo è un atto di giustizia e di temperanza che osserva le debite circostanze nei piaceri del tatto; come non pecca nel compiere gli altri atti delle virtù politiche.
E si dice che « tutta la vita degli infedeli è peccato » non nel senso che pecchino in ogni loro atto, ma perché con le loro azioni non sono in grado di liberarsi dalla schiavitù del peccato.
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