Supplemento alla III parte |
Pare che avere più mogli non sia contro la legge naturale.
1. La consuetudine non può prevalere sulla legge naturale.
Ora, stando alle parole di S. Agostino [ Contra Faustum 22,47 ], riferite nelle Sentenze [ 4,33,1 ], « la poligamia non era peccato quando era in uso ».
Perciò avere più mogli non è contro la legge naturale.
2. Chi agisce contro la legge naturale viola un precetto: poiché come ha i suoi precetti la legge scritta, così li ha pure la legge naturale.
Ora, S. Agostino [ De bono coniug. 25; Contra Faustum 22,47 ] afferma che avere più mogli « non era contro un precetto, poiché nessuna legge lo proibiva ».
Quindi avere più mogli non è contro la legge naturale.
3. Il matrimonio è ordinato principalmente alla procreazione della prole.
Ora, un uomo può avere della prole da molte donne, mediante la loro fecondazione.
Quindi avere più mogli non è contro la legge di natura.
4. Come si legge all'inizio del Digesto [ 1,1,1 ], « la legge naturale è quella che la natura ha insegnato a tutti gli animali ».
Ma la natura non a tutti gli anim ali ha insegnato la monogamia: poiché in molti animali il maschio si accoppia con più femmine.
Quindi non è contro natura avere più mogli.
5. Secondo il Filosofo [ De gen. animal. 1,21 ], nel generare la prole il maschio sta alla femmina come l'agente al paziente, o come l'artigiano alla materia grezza.
Ora, non è contro l'ordine della natura che un agente agisca su molteplici pazienti, o che un artigiano operi su varie materie.
Perciò non è contro la legge naturale che un uomo abbia più mogli.
1. Sembra essere di legge naturale soprattutto ciò che è stato inculcato all'uomo nella sua creazione.
Ora, la monogamia fu inculcata all'uomo fin nella creazione della natura umana, come risulta da quelle parole della Genesi [ Gen 2,24; cf. Mt 19,4s ]: « I due saranno una sola carne ».
Si tratta dunque di una legge naturale.
2. È contro natura che un uomo si obblighi all'impossibile, e che offra a un'altra persona ciò che ha dato ad altri.
Ma chi sposa una donna le dà il potere sul proprio corpo, così da essere costretto a renderle il debito coniugale quando essa lo chiede.
Quindi agisce contro la legge naturale se poi dà il potere sul proprio corpo a un'altra donna: poiché non potrebbe rendere il debito coniugale a entrambe, se lo chiedessero simultaneamente.
3. Questa norma: « Non fare agli altri quanto non vuoi che gli altri facciano a te » [ Tb 4,16; Mt 7,12 ], è di legge naturale [ Decr. di Graz., Prol. ].
Ora, il marito in nessun modo vorrebbe che la moglie avesse un secondo marito.
Perciò è contro natura aggiungere alla prima una seconda moglie.
4. Ciò che contrasta col desiderio naturale è contro la legge di natura.
Ma la gelosia del marito per la moglie e della moglie per il marito è naturale: poiché si riscontra in tutti.
Siccome dunque la gelosia è « un amore che non tollera alcun condominio nel possesso dell'amato » [ In 3 Sent., d. 26, q. 1, a. 3 ], è chiaramente contro la legge naturale che più mogli abbiano un solo marito.
Tutti gli esseri naturali sono dotati di certi princìpi non solo per compiere le operazioni proprie, ma anche per compierle nel modo conveniente al proprio fine: sia che si tratti di funzioni proporzionate alla natura del loro genere, sia che si tratti di funzioni dovute alla loro natura specifica.
Come il magnete per la natura del suo genere tende verso il basso, e per la sua natura specifica attrae a sé il ferro.
Ora, come negli esseri che agiscono per necessità fisica o di natura i princìpi operativi sono le forme stesse, da cui scaturiscono le operazioni proprie proporzionate al fine, così negli esseri dotati di conoscenza i princìpi operativi sono la conoscenza e l'appetito.
Quindi nella facoltà conoscitiva deve riscontrarsi una percezione naturale, e in quella appetitiva un'inclinazione naturale, che rendano proporzionati al fine gli atti corrispondenti al genere o alla specie.
Siccome però fra tutti gli animali l'uomo ha la nozione del fine come tale e del rapporto dell'operazione con il fine, in lui la conoscenza naturale che lo dirige nell'agire viene giustamente detta legge o diritto naturale.
Invece per gli altri animali si parla di estimativa naturale: infatti le bestie sono spinte a compiere le azioni loro convenienti dalla forza della natura, piuttosto che essere regolate quasi agendo di proprio arbitrio.
Perciò la legge naturale non è altro che la conoscenza innata nell'uomo che lo dirige convenientemente nell'agire, cioè nel compimento delle sue azioni proprie: sia quelle dovute alla natura del genere, come generare, mangiare, ecc., sia quelle dovute alla natura della specie, come ragionare e altre funzioni consimili.
Ora, tutto ciò che rende un'azione inadatta al fine inteso dalla natura va ritenuto come contrario alla legge naturale.
Ma un'azione può non essere proporzionata o al fine principale o a quello secondario: e in entrambi i casi ciò può avvenire in due modi.
Primo, in modo che venga impedito del tutto il raggiungimento del fine: come l'eccesso sproporzionato del cibo, oppure la sua carenza, impedisce la salute del corpo, che è il fine principale della nutrizione, e impedisce la buona disposizione nel compiere le proprie mansioni, che ne è il fine secondario.
Secondo, in modo che venga reso difficile, o meno conveniente, il raggiungimento del fine principale o di quello secondario: come ad es. nel caso di un pasto disordinato perché preso fuori del tempo.
Se quindi un atto è talmente sproporzionato al fine da impedire il fine principale, allora è proibito dalla legge naturale in forza dei suoi precetti primari, che nel campo operativo sono come i primi princìpi nel campo speculativo.
Se invece si tratta di un'azione sproporzionata in qualsiasi modo a un fine secondario, oppure inadatta al fine principale nel senso che ne rende difficile o meno agevole il conseguimento, allora essa è proibita non dai precetti primari della legge naturale, bensì da quelli secondari che da essi derivano: come in campo speculativo le conclusioni derivano dai primi princìpi per sé noti.
Ed è in questo senso che tale azione deve dirsi contraria alla legge naturale.
Il matrimonio, dunque, ha per fine principale la procreazione e l'educazione della prole: fine che compete all'uomo in forza della natura del suo genere; per cui, come dice Aristotele [ Ethic. 8,12 ], « esso è comune anche agli altri animali ».
E da questo lato al matrimonio corrisponde il bene della prole.
Ma come fine secondario il Filosofo stesso [ ib. ] dichiara che per gli uomini il matrimonio offre lo scambio dei servizi necessari alla vita.
E da quest'altro lato i coniugi si devono reciprocamente la fedeltà, che è uno dei beni del matrimonio. Inoltre nel caso dei credenti si deve raggiungere un altro fine, cioè la significazione dell'unione di Cristo con la Chiesa [ Ef 5,32 ].
E allora tra i beni del matrimonio abbiamo il sacramento.
Perciò al primo di questi fini del matrimonio l'uomo è ordinato in quanto animale; al secondo in quanto uomo; al terzo in quanto cristiano.
Ora, la poligamia non esclude e neppure impedisce in qualche modo il primo di questi fini: bastando un uomo solo a fecondare più mogli, e a educare i figli nati da esse.
- Il secondo invece, anche se non lo esclude completamente, tuttavia lo ostacola gravemente: poiché non può essere facile la pace in una famiglia dove molte mogli sono unite a un solo marito, non potendo uno solo soddisfare più mogli secondo i loro desideri; e anche perché la concorrenza di più persone in un dato ufficio causa litigi: come infatti « litigano fra di loro i vasai » [ Arist., Rhet. 2,4; Polit. 5,10 ], così litigano anche le varie mogli di un unico marito.
- Il terzo fine poi è escluso del tutto dalla poligamia: poiché come è unico Cristo, così è unica la Chiesa.
Da ciò si conclude che la poligamia è contro la legge naturale sotto certi aspetti, mentre non lo è sotto altri.
1. La consuetudine non può prevalere sulla legge naturale per quanto riguarda i precetti primari di essa, che equivalgono ai primi princìpi in campo speculativo.
Invece le norme che ne derivano come conclusioni la consuetudine è in grado sia di potenziarle che di menomarle, come rileva Cicerone [ De invent. 2,54 ].
E tale è appunto anche il precetto della legge naturale relativo alla monogamia.
2. Secondo il detto di Cicerone [ ib., c. 53 ], « il timore delle leggi e la religione hanno sancito le cose stabilite dalla natura e confermate dalla consuetudine ».
Dal che si rileva che le norme che la legge naturale deriva dai suoi primi princìpi non hanno per se stesse forza coattiva di precetto se non quando sono sancite dalla legge divina o umana.
Per questo S. Agostino può dire che [ i Patriarchi ] non agivano contro alcun precetto della legge, « poiché ciò non era proibito da alcuna legge ».
3. La obiezioni è stata risolta nel corpo dell'articolo.
4. Una legge può dirsi naturale in vari sensi.
Primo, in rapporto al suo principio, o causa, cioè nel senso che è stabilita dalla natura.
Da cui la definizione di Cicerone [ De invent. 2,53 ]: « La legge naturale è quella che non è frutto di opinioni, ma è impressa in noi da una virtù innata ».
E poiché anche negli esseri corporei si dice che alcuni moti sono naturali non perché prodotti da un principio intrinseco, ma perché derivati da una causa superiore che è il loro motore - cosicché i moti dei quattro elementi derivanti dall'influsso dei corpi celesti, secondo Averroè [ De caelo 3, comm. 20 ], sono detti naturali -, così anche le norme della legge divina possono essere dette di legge naturale in quanto derivanti dall'influsso e dall'ispirazione della causa superiore, cioè di Dio.
E in questo senso si esprime S. Isidoro [ Decr. di Graz., Prol. ] dove dice che « è diritto naturale quanto è contenuto nella Legge e nel Vangelo ».
Terzo, una legge può essere detta naturale non solo in base alla sua causa, ma in base alla natura stessa, cioè perché riguarda realtà naturali.
E poiché la natura si contrappone alla ragione, per cui l'uomo è uomo, in senso strettissimo vanno escluse dalla legge naturale le cose che riguardano soltanto l'uomo, sebbene derivino dal dettame della ragione naturale, per limitarsi a quelle norme che tale ragione detta a proposito di cose che l'uomo ha in comune con altri esseri.
E in questo senso vale la definizione indicata [ nell'ob. ]: « La legge naturale è quella che la natura ha insegnato a tutti gli animali ».
Sebbene dunque la poligamia non sia contro la legge naturale presa nella terza accezione, è però contro la legge naturale presa nella seconda accezione: poiché è proibita dalla legge di Dio.
Ed è pure contro la legge naturale presa nel primo significato, come risulta dalle cose già dette [ nel corpo ]: poiché la natura detta a ciascun animale di comportarsi come conviene alla sua specie.
E così alcuni animali, in cui per l'educazione della prole si richiede l'opera del maschio e della femmina, per istinto naturale conservano l'unione monogamica: come è evidente nel caso delle tortore, delle colombe e di altri animali simili [ Arist., De hist. animal. 9,7 ].
Siccome però gli argomenti addotti in contrario sembrano provare che la poligamia è contro i princìpi primi della legge naturale, bisogna rispondere anche ad essi.
5. [ S. c. 1 ]. La natura umana fu creata senza alcun difetto.
Perciò allora vennero infuse nell'uomo non soltanto le norme indispensabili per raggiungere il fine primario del matrimonio, ma anche quelle richieste per raggiungere senza obiezioni i fini secondari.
Per questo bastò che l'uomo avesse un'unica moglie nel momento della sua creazione, come si é detto.
6. [ S. c. 2 ]. Nel matrimonio il marito non dà alla moglie sul proprio corpo un potere universale, ma solo relativo a quegli atti che sono richiesti dal matrimonio.
Ora il matrimonio, per raggiungere il bene della prole, che è il suo fine principale, non richiede che il marito renda alla moglie il debito coniugale in ogni momento, ma solo nella misura richiesta per la fecondazione.
Ciò invece è richiesto dal matrimonio considerato come rimedio alla concupiscenza, che è il suo fine secondario: cioè che in qualsiasi momento si renda il debito coniugale al coniuge che lo domanda.
Da cui risulta che chi prende più mogli non si obbliga all'impossibile, se si considera il fine principale del matrimonio.
Perciò la poligamia non è contro i primi precetti della legge naturale.
7. [ S. c. 3 ]. Il precetto della legge naturale: « Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te », va inteso con la clausola: « a parità di condizioni »; poiché non è detto che un superiore non debba resistere ai sudditi per il fatto che non vuole ricevere resistenza da parte loro.
Perciò in forza di tale precetto non si può esigere che l'uomo non abbia altre mogli per il fatto che non tollera che la moglie abbia altri mariti: poiché la poligamia non è contro i primi precetti della legge naturale, come si è spiegato [ ad 6 ], mentre la poliandria è contro tali precetti; poiché quest'ultima per un verso impedisce e per un altro verso compromette il bene della prole, che è il fine principale del matrimonio.
Infatti il bene della prole non implica soltanto la procreazione, ma anche l'educazione.
Ora, sebbene la poliandria non elimini del tutto la procreazione della prole, poiché secondo Aristotele [ De hist. animal. 7,4 ] dopo la prima fecondazione la donna può essere fecondata di nuovo, tuttavia è di grave ostacolo, poiché è difficile che in tal modo non ci sia la corruzione o di entrambi i germi, o di almeno uno di essi.
L'educazione poi viene del tutto compromessa: poiché dalla poliandria segue l'incertezza della paternità, mentre invece la cura del padre è indispensabile per l'educazione.
E così non è stato concesso da alcuna legge o consuetudine che una donna potesse avere più mariti, come invece è accaduto per la poligamia.
8. [ S. c. 4 ]. L'inclinazione naturale delle facoltà appetitive segue la percezione naturale della conoscenza.
E poiché la poligamia non si presenta all'intelletto così assurda come la poliandria, al sentimento della moglie il fatto di avere il marito in comune con altre donne non ripugna tanto quanto la situazione inversa ripugna al marito.
E così tanto negli uomini quanto negli animali è più forte la gelosia del maschio per la femmina che viceversa.
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