Contro Fausto manicheo |
Il motivo per cui agli stranieri resta nascosto di chi la Chiesa è la sposa, mentre non si tace di chi è la sorella, è facilmente comprensibile: perché è nascosto e difficile da capire in che modo l'anima umana si unisca, o si mescoli, o cosa di meglio e di più adeguato si possa dire, al Verbo di Dio, essendo egli Dio ed essa una creatura.
È in questo senso infatti che Cristo e la Chiesa sono definiti sposo e sposa, marito e moglie.
È invece più semplice a dirsi e più comprensibile a udirsi per quale parentela Cristo e tutti i santi siano fratelli in virtù della grazia divina e non della consanguineità terrena: cioè per parte di padre e non per parte di madre.
Infatti per la medesima grazia anche tutti i santi sono tra loro fratelli; ma nessuno è sposo dell'insieme di tutti gli altri.
Per questo, benché Cristo fosse eccezionale per giustizia e saggezza, tuttavia gli stranieri credettero con più propensione e facilità che egli fosse un uomo.
Non certo a torto, poiché era un uomo: però non riconobbero che era anche Dio.
Dal che anche Geremia dice: È un uomo, e chi lo riconosce? ( Ger 17,9 )
È un uomo, perché viene rivelato che è un fratello; E chi lo riconosce?, perché resta nascosto che è lo sposo.
Con ciò abbiamo detto abbastanza sul padre Abramo, contro le affermazioni sommamente impudenti, maldestre e calunniose di Fausto.
Suo fratello Lot, giusto e ospitale a Sodoma, puro e intatto da ogni contaminazione dei Sodomiti, meritò di sfuggire incolume a quell'incendio che era figura del giudizio futuro, rappresentando in figura il corpo di Cristo, che in tutti i santi geme anche ora in mezzo agli iniqui e agli empi, le cui azioni non approva e dalla cui commistione sarà liberato alla fine dei tempi, quando essi saranno condannati al supplizio del fuoco eterno.
Parimenti, nella moglie di lui è raffigurato un altro tipo di uomini, quelli cioè che, chiamati dalla grazia di Dio, si voltano a guardare indietro, a differenza di Paolo che dimentica ciò che ha alle spalle e si protende verso ciò che gli sta davanti. ( Fil 3,13 )
E il Signore stesso dice: Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno dei cieli. ( Lc 9,62 )
E non tacque quell'esempio, quasi a volerci condire col suo sale, affinché non cadiamo in questo male per leggerezza, ma lo evitiamo con prudenza.
È per nostro ammonimento, infatti, che ella fu mutata in una statua di sale.
Infatti, nel comandare che ciascuno, fissando con sguardo irremovibile ciò che ha davanti, si strappi da ciò che gli sta alle spalle, disse: Ricordatevi della moglie di Lot. ( Lc 17,32 )
Nello stesso Lot, quando le figlie giacquero con lui, fu prefigurato qualcosa di diverso rispetto a quando fu liberato da Sodoma.
Infatti ora egli sembra aver rappresentato la figura della legge futura: infatti alcuni, nati da essa e ad essa sottomessi, mal comprendendola in qualche modo la ubriacano e usando di essa non legittimamente partoriscono opere di infedeltà.
Infatti La legge è buona, dice l'Apostolo, se uno ne usa legalmente. ( 1 Tm 1,8 )
Tuttavia non giustifichiamo certo né l'azione di Lot né quella delle sue figlie, per il fatto che ebbero un significato che preannunziava la futura perversità di alcuni.
Una era infatti l'intenzione di quelle nel compiere l'azione, un'altra l'intenzione di Dio, che la permise per dimostrare qualcosa anche da lì: mantenendo il suo retto giudizio sul peccato degli uomini di allora, e vigilando con la sua provvidenza per prefigurare quelli che sarebbero venuti.
Dunque quell'azione, in quanto narrata nella sacra Scrittura, è una profezia; quando invece la si considera nella vita di chi la commise, è una vergogna.
Né del resto questa azione è degna di un biasimo e di un'accusa tali quali li vomita Fausto, nemico e cieco.
Infatti, se si consulta quella legge eterna che ordina di mantenere l'ordine naturale e proibisce di turbarlo, in merito a quest'azione essa non giudica come se Lot avesse bruciato di libidine proibita verso le figlie al punto da godere incestuosamente del loro corpo o da prenderle come mogli, né circa quelle donne come se avessero arso di passione abominevole per la carne del proprio padre.
Il criterio della giustizia non guarda soltanto al fatto che è stato compiuto, ma anche al motivo per cui esso è stato compiuto, per esaminare con la bilancia dell'equità il peso dei fatti a partire dalle loro cause.
Ora quelle, poiché aspiravano a una discendenza per conservare la stirpe ( desiderio in esse del tutto umano e naturale ), e credevano di non poter trovare nessun altro uomo, come se in quell'incendio fosse andato bruciato il mondo intero ( infatti non avevano potuto rendersi conto sino a che punto il fuoco avesse infierito ), vollero giacere con il padre.
Certamente, non avrebbero mai dovuto essere madri, piuttosto che usare così di loro padre.
Tuttavia, c'è una grande differenza tra l'averne usato per quel motivo e il volerne usare per la brama di un tanto funesto piacere.
Tuttavia esse sentivano che il padre aborriva così tanto quell'azione che ritennero di non poterla condurre a termine se non rendendolo inconsapevole.
Infatti, come sta scritto, lo ubriacarono e si unirono a lui mentre era incosciente. ( Gen 19 )
Quindi Lot dev'essere certo ritenuto colpevole, ma non tanto di incesto, quanto piuttosto di ubriachezza.
Anche l'ubriachezza, infatti, è condannata della legge eterna, che secondo l'ordine naturale ammette cibo e bevanda soltanto allo scopo del mantenimento della salute.
Sebbene ci sia grande differenza tra un ubriacone e un ubriaco ( infatti l'ubriacone non è sempre ubriaco, e chi qualche volta è ubriaco non è di conseguenza un ubriacone ), tuttavia nel caso di un uomo giusto bisogna indagare la causa, se non dell'ubriachezza, certo però dell'ubriacatura.
Cosa dunque lo costringeva ad acconsentire o a fidarsi delle figlie, che ripetutamente gli versavano vino mescolato o forse glielo offrivano ripetutamente senza neppure mescolarlo?
In tal modo voleva forse consolare le figlie, la cui grande tristezza era invece una finzione, così da scacciare dalla loro mente ebbra il dolore per quell'abbandono e per la morte della madre, pensando che bevessero altrettanto anch'esse, che invece ricorrevano a qualche inganno per non bere?
Però non vediamo come potesse essere decoroso per un uomo giusto offrire alle proprie figlie afflitte una simile consolazione.
O forse per mezzo di qualche pessimo espediente dei Sodomiti esse riuscirono a ubriacare il padre anche con pochi bicchieri, così da poter commettere quel peccato con lui, anzi piuttosto su di lui, che non ne era consapevole?
Ma è strano che la Divina Scrittura abbia taciuto su una cosa simile, o che Dio abbia permesso che il suo servo, senza mancanza alcuna della volontà, avesse a subirlo.
Certo noi difendiamo le sacre Scritture, non i peccati degli uomini; però non pretendiamo di giustificare questo fatto, quasi che il Signore nostro Dio avesse ordinato che accadesse, o una volta accaduto l'avesse approvato, oppure che in quei libri gli uomini siano chiamati giusti nel senso che, se anche volevano peccare, non potevano.
Poiché dunque, nelle Scritture che costoro criticano, Dio non ha reso alcuna testimonianza alla rettitudine di questa azione, con quale folle temerarietà essi tentano, partendo di qui, di accusare le Scritture, quando in altri passi codeste azioni si trovano proibite con assoluta chiarezza dai precetti divini?
Pertanto, negli avvenimenti relativi al comportamento delle figlie di Lot, queste azioni sono narrate, e non elogiate.
Era opportuno che alcune cose venissero narrate esprimendo il giudizio di Dio, altre invece tacendolo: in modo che, quando si manifesta ciò che Dio giudica al riguardo, venga istruita la nostra ignoranza, e quando invece lo si tace, si eserciti la nostra capacità, affinché ricordiamo quel che abbiamo appreso in un altro punto, o sia scossa la nostra pigrizia, affinché cerchiamo quel che ancora non conosciamo.
Dunque Dio, che sa trarre il bene anche dalle azioni malvagie degli uomini, propagò da quel seme le genti che volle e non condannò certo le sue Scritture a motivo dei peccati degli uomini.
Egli ci ha manifestato tali azioni, non le ha compiute; ci ha ammonito a guardarci da esse, non ce le ha proposte perché le imitiamo.
Con impudenza sorprendente Fausto incrimina anche Isacco, figlio di Abramo, per aver finto che Rebecca, che era sua moglie, fosse sua sorella. ( Gen 26,7 )
L'origine di Rebecca non è stata taciuta, ed è chiaro che era sua sorella per una parentela assai ben nota. ( Gen 24 )
Quanto al tacere che fosse sua moglie, che c'è di strano o di inconveniente se egli imitò il padre, avendo per difesa la stessa giustizia nella quale fu trovato suo padre, accusato dello stesso fatto?
Le cose che a questo proposito abbiamo detto a favore di Abramo contro le accuse di Fausto, valgono anche per suo figlio Isacco. ( Gen 12; Gen 20 )
Non è difficile riproporle; a meno che qualche studioso non domandi quale mistero di prefigurazione si debba cogliere nel fatto che il re straniero si accorse che Rebecca era la moglie di suo marito quando vide questi scherzare con lei: non se ne sarebbe accorto, se egli non avesse scherzato con lei in un modo che sarebbe stato indecoroso se essa non fosse stata sua moglie.
Quando i mariti santi fanno questo, non lo fanno invano, ma per prudenza.
Si adattano in qualche modo alla debolezza del sesso femminile, così da dire o fare qualcosa con ilare dolcezza, non snervando bensì temperando il vigore virile: cose che sarebbe vergognoso dire o fare a una donna che non è la propria moglie.
Ho voluto notare questo, che rientra nell'usuale comportamento degli uomini, perché nessuno, duro e senza sensibilità, rinfacci come crimine a quell'uomo santo di aver scherzato con la moglie.
Questi uomini disumani, infatti, se vedono un uomo serio cinguettare qualcosa di giocoso a dei bambini per giunta piccoli, allo scopo di blandire la loro sensibilità di lattanti con un nutrimento semplice e gradevole, lo rimproverano come se delirasse, dimentichi di come sono cresciuti o ingrati di esserlo.
Ora, che cosa significhi, in riferimento al mistero di Cristo e della Chiesa, il fatto che un così grande patriarca abbia scherzato con sua moglie e che di lì si riconobbe che erano sposati, lo vede bene colui che, per non peccare per errore contro la Chiesa, scruta con attenzione nelle sacre Scritture il mistero del suo sposo e trova che questi ha nascosto per un po' la propria maestà, per la quale nella forma di Dio è uguale al Padre, sotto la forma di servo, ( Fil 2,6-7 ) affinché l'umana debolezza potesse sostenerla ed egli in tal modo adattarsi convenientemente alla sposa.
Che c'è dunque di assurdo, o di incongruente con l'annunzio dei fatti futuri, se un profeta di Dio ha compiuto qualche gioco amoroso per ottenere l'affetto di sua moglie, quando il Verbo stesso di Dio si è fatto carne per abitare in mezzo a noi? ( Gv 1,14 )
Il fatto che a Giacobbe, figlio di Isacco, vengano imputate come crimine enorme le sue quattro mogli, ( Gen 29; Gen 30 ) si confuta con un argomento di ordine generale.
Infatti, quando questa usanza esisteva, non era un crimine; ora invece è un crimine, poiché non è più un'usanza.
Orbene, fra i peccati ci sono quelli contro la natura, quelli contro i costumi, quelli contro i comandamenti.
Se le cose stanno così, che tipo di crimine è mai quello di avere avuto contemporaneamente quattro mogli, imputato a Giacobbe, uomo santo?
Se consulti la natura, egli non usava di quelle mogli per lascivia, ma per procreare; se consulti il costume, era quella la prassi a quel tempo e in quei paesi; se consulti i comandamenti, non c'era legge alcuna che vietasse ciò.
E oggi, perché mai agire così costituisce un crimine, se non perché non è lecito secondo le leggi e i costumi?
Chiunque violi questi due, sebbene possa usare di molte donne solamente per generare, pecca comunque e offende la stessa società umana alla quale è necessaria la procreazione di figli.
Ma poiché ormai gli uomini, sotto altre leggi e altri costumi, prendono piacere da donne in quantità soltanto per la smisuratezza della loro libidine, costoro si confondono e pensano che mai si siano potute possedere molte donne se non per la fiamma della concupiscenza carnale e di un piacere vergognoso.
Infatti, paragonandosi non con altri, la cui forza d'animo non sono affatto in grado di capire, bensì, come dice l'Apostolo, tra di loro stessi, non comprendono. ( 2 Cor 10,12 )
Pur avendo un'unica moglie, non le si accostano soltanto guidati virilmente dal dovere di procreare, ma si lasciano spesso trascinare mollemente, vinti dallo stimolo della copula: così, credono di essere nel vero quando immaginano che altri, nell'usare di molte mogli, siano dominati da un morbo analogo e ben più grande, poiché vedono di non essere essi stessi capaci di osservare la continenza con una sola.
Noi però non dobbiamo affidare il giudizio in merito ai costumi degli uomini santi a coloro che non possiedono tale virtù, così come non lasciamo giudicare ai febbricitanti della bontà e della salubrità dei cibi, ma prepariamo loro gli alimenti in base al gusto dei sani e alla prescrizione medica, piuttosto che in base alla tendenza della malattia.
Pertanto, se costoro vogliono acquistare la sanità della purezza ( non la purezza falsa e simulata ma quella autentica e solida ), diano credito alla divina Scrittura come a un trattato di medicina: un così grande onore di santità non è stato tributato invano ad uomini che pure avevano più mogli, se non perché può accadere che l'animo, dominatore della carne, si imponga con una temperanza così forte da non permettere che il movimento del piacere sessuale, insito nella natura dei mortali, ecceda le leggi ad esso assegnate in vista della generazione.
Altrimenti costoro, calunniatori maldicenti piuttosto che giudici veritieri, possono accusare anche i santi apostoli di aver predicato il Vangelo a tanti popoli non per desiderio amoroso di generare figli alla vita eterna, ma per brama della lode umana; a quei padri evangelici, infatti, non mancava la fama della notorietà presso tutte le chiese di Cristo, procurata dalla lode di tante lingue; anzi, essa era così grande che degli uomini non potrebbero ricevere da altri uomini un onore e una gloria maggiori.
È questa gloria nella Chiesa che lo scellerato Simone bramava con volontà perversa quando, accecato, volle comprare da loro ciò che essi avevano meritato dalla grazia divina, essa stessa gratuita. ( At 8,18-20 )
Di questa gloria si capisce che, nel Vangelo, era avido quel tale che volendo seguire il Signore fu da lui respinto così: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il suo capo. ( Mt 8,20 )
Vedeva infatti che in lui, ottenebrato dalla frode della simulazione e gonfio di boriosa vanità, non c'era lo spazio della fede ove poter ospitare e far posare il capo al dottore dell'umiltà, poiché offrendosi come discepolo di Cristo non cercava la grazia sua, ma la gloria propria.
Da questo desiderio di gloria erano stati corrotti quelli che l'apostolo Paolo rimprovera perché annunziavano Cristo senza rettitudine, per invidia e spirito di contesa.
Anche di tali predicatori, tuttavia, l'Apostolo gioisce, ( Fil 1,15-18 ) sapendo che poteva accadere che, mentre quelli andavano dietro al piacere della gloria umana, dall'ascoltarli nascessero ugualmente dei fedeli: generati non dalla loro gelosa ambizione, con la quale volevano equipararsi o anteporsi alla gloria degli apostoli, ma dal Vangelo, che essi comunque annunziavano sebbene privi di rettitudine, cosicché Dio operava un bene a partire dal loro male.
Allo stesso modo può accadere che un uomo non si appresti all'atto sessuale per desiderio di generare, ma vi sia trascinato da passione lussuriosa, e tuttavia nasca un uomo, opera buona di Dio, tratta dalla fecondità del seme e non dalla vergogna del vizio.
Come dunque i santi apostoli si rallegravano dell'ammirazione degli ascoltatori verso la loro dottrina non per la brama di ottenere la lode ma per l'amoroso desiderio di seminare la verità, allo stesso modo i santi patriarchi giacevano con le loro mogli, che ne accoglievano il seme non per l'avidità di godere del piacere ma in previsione di procurarsi una discendenza.
Per conseguenza, né la moltitudine dei popoli rendeva quelli ambiziosi, né la moltitudine di mogli rendeva questi lussuriosi.
Ma che potrei dire io di uomini ai quali la voce divina rende la più splendida testimonianza, se è chiaro a sufficienza che le loro mogli null'altro desideravano nell'unione carnale se non i figli?
Infatti, quando videro che non potevano assolutamente partorire, dettero al marito le proprie schiave, per rendere quelle madri nella carne e divenirlo esse stesse nella volontà.
Quanto poi a quel che Fausto obietta con accusa sommamente menzognera, che cioè quattro prostitute disputavano tra loro una sorta di gara su chi dovesse portare Giacobbe a giacere con sé, non so proprio dove lo abbia letto: forse nel suo cuore simile a un libro di indicibili falsità, dove è lui stesso a prostituirsi, ma con quel serpente a causa del quale l'Apostolo era in pena per la Chiesa, che desiderava presentare come vergine casta a Cristo, suo unico sposo: temendo che, come aveva ingannato Eva con la sua astuzia, allo stesso modo corrompesse le menti distogliendole dalla castità. ( 2 Cor 11,2-3 )
I Manichei infatti sono amici del serpente a tal punto da sostenere che fu più utile che nocivo.
Evidentemente è lui che, infondendogli nell'animo già guasto i semi della menzogna, ha convinto Fausto a partorire con bocca immondissima queste calunnie mal concepite e anche ad affidarle alla memoria con una penna sommamente spudorata.
Nessuna infatti delle schiave strappò all'altra il marito Giacobbe, nessuna litigò con l'altra sul giacere con lui.
Al contrario, c'era piuttosto ordine, poiché non c'era libidine: e tanto più con fermezza si salvaguardavano i giusti diritti della potestà coniugale, quanto più con castità si evitava l'ingiustizia della concupiscenza carnale.
Quanto al fatto che egli venga acquistato da una moglie, è proprio qui che si rivela la giustezza della nostra affermazione, è proprio qui che la verità grida a suo favore contro le menzogne dei Manichei!
Che bisogno c'era, infatti, che se lo acquistasse l'altra, se non perché toccasse a quest'altra che come marito egli entrasse da lei?
Giammai egli si sarebbe avvicinato all'altra, se quella non lo avesse acquistato; ma certamente si accostava, tutte le volte che veniva il suo turno, a quella da cui aveva procreato tanti figli e alla quale aveva obbedito sino al punto da procreare anche da una schiava di lei, e dalla quale in seguito procreò senza che essa lo acquistasse.
Ma quella volta toccava a Rachele di giacere la notte con il marito: era in lei quella potestà della quale, per mezzo dell'Apostolo, la voce del Nuovo Testamento non tacque quando disse: Allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie.
Dunque Rachele aveva già pattuito con la sorella di passarla, per assolvere al debito con lei contratto, al proprio debitore.
Così infatti chiama la cosa l'Apostolo: Il marito paghi il debito a sua moglie. ( 1 Cor 7,3-4 )
Quella verso cui il marito era debitore, aveva già ricevuto dalla sorella, per cederle ciò che aveva in sua potestà, il prezzo che di sua volontà si era scelta.
Ma se costui, che Fausto ad occhi chiusi o meglio spenti denigra come impudico, fosse stato schiavo della concupiscenza anziché della giustizia, forse che non avrebbe bruciato tutto il giorno per il desiderio della notte in cui avrebbe giaciuto con la più bella?
Era certo lei che amava di più, lei per la quale aveva pagato due volte sette anni di lavoro gratuito.
Quando dunque al cader del giorno si dirigeva verso i suoi abbracci, come avrebbe potuto distogliersene se fosse stato tale quale lo reputano i Manichei, che non capiscono nulla?
Forse che, disprezzato l'accordo tra le mogli, non sarebbe piuttosto entrato dalla sua bella, che gli doveva quella notte non solo per il costume coniugale ma anche per il diritto del turno?
Avrebbe piuttosto usato della sua potestà di marito, giacché La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito, e aveva in quel momento a proprio vantaggio l'avvicendamento delle mogli nel servirlo.
Avrebbe dunque usato della sua potestà di marito molto più vittoriosamente se fosse stato vinto dal desiderio della bellezza.
Ma allora risulterebbero migliori di lui le donne, che avrebbero gareggiato per concepire dei figli, mentre lui lo avrebbe fatto per il piacere dell'unione carnale.
In tal modo, quest'uomo dalla continenza estrema, un vero uomo, usando delle mogli così virilmente da non sottomettersi al piacere carnale bensì da dominarlo, si preoccupò maggiormente di ciò che lui stesso doveva che non di quello che gli era dovuto, né volle abusare della propria potestà per il proprio piacere, ma preferì pagare quel debito piuttosto che riscuoterlo.
Conseguenza fu che, a pagare il debito, fosse colei che quella, a cui esso era dovuto, aveva scelto perché lo riscuotesse al suo posto: quando scoprì l'accordo e il patto stipulato tra loro e all'improvviso e inopinatamente fu allontanato dalla moglie più bella e chiamato dalla meno bella, Giacobbe non s'infiammò d'ira, non fu oscurato dalla tristezza né, con snervate blandizie, si affannò con ambedue perché fosse piuttosto Rachele a concedergli la notte.
Invece, come marito giusto e padre previdente, vedendo che quelle avevano a cuore la discendenza, e lui stesso null'altro chiedendo all'unione carnale, ritenne di dover obbedire alla loro volontà, dal momento che esse desideravano ciascuna dei figli, e di non essere sminuito nella propria, visto che ambedue glieli partorivano.
Come a dire: " Fatevi pure a vicenda le cessioni e le concessioni che volete, per vedere chi di voi diventerà madre; io che ho da contendere, dal momento che il nascituro dall'una o dall'altra non avrà altro padre che me? ".
Ora Fausto, che era intelligente, in tali narrazioni avrebbe certo compreso ed elogiato questa modestia, questa padronanza della concupiscenza e la ricerca unica, nell'amplesso corporale dei coniugi, dell'umana discendenza, se il suo ingegno non fosse stato pervertito da quella setta esecrabile, se non fosse sempre alla ricerca di qualcosa da condannare, se non considerasse un crimine enorme l'unica cosa che rende onesta l'unione coniugale, con la quale maschi e femmine si congiungono per procreare dei figli.
Ora, dopo aver difeso i costumi del patriarca e confutata l'accusa intentata da un errore scellerato, con piena libertà e per quanto ci è possibile scrutiamo i misteri segreti e bussiamo con la pietà della fede affinché il Signore ci riveli che cosa prefiguravano queste quattro mogli di Giacobbe, delle quali due erano libere e due schiave.
Vediamo infatti che l'Apostolo, nella libera e nella schiava possedute da Abramo, riconosce i due Testamenti. ( Gal 4,22-24 )
Lì però la cosa appare più chiara, perché si parla di una e una; qui invece sono due e due. Inoltre lì è il figlio della schiava a ricevere l'eredità, mentre qui i figli delle schiave ricevono la terra della promessa insieme ai figli delle libere: pertanto, non v'è dubbio che qui si intenda qualcosa di diverso.
Sebbene io ritenga che le due mogli libere di Giacobbe si riferiscano al Nuovo Testamento, nel quale siamo stati chiamati alla libertà, tuttavia non invano esse sono due; forse perché - cosa che si può capire e trovare nelle Scritture - due vite ci vengono annunciate nel corpo del Signore: una temporale, nella quale fatichiamo, l'altra eterna, nella quale contempleremo la gioia di Dio.
Il Signore manifestò quella con la sua passione, questa con la sua resurrezione.
Ci invitano a intendere così anche i nomi di quelle donne.
Dicono infatti che Lia significhi " Che si affatica ", e Rachele " Principio visto", oppure " Parola dalla quale si vede il principio ".
L'agire della vita umana e mortale, nella quale viviamo compiendo per la fede molte opere faticose, incerti su quale esito di utilità esse ottengano per coloro cui vogliamo giovare, è Lia, prima moglie di Giacobbe; per questo si ricorda anche che aveva gli occhi malati.
Infatti i ragionamenti dei mortali sono timidi, e incerte le nostre riflessioni. ( Sap 9,14 )
Invece, la speranza dell'eterna contemplazione di Dio, che possiede una sicura e gioiosa intelligenza della verità, è Rachele.
Perciò viene detta anche gradevole di viso e bella di aspetto.
È lei infatti che ogni uomo zelante di ardore ama, è per ottenere lei che si fa servo della grazia di Dio, in virtù della quale i nostri peccati, anche se fossero come scarlatto, diverrebbero bianchi come la neve. ( Is 1,18 )
Ebbene Labano significa " Sbiancare ", e a lui servì Giacobbe per avere Rachele. ( Gen 29, 17.30 )
Nessuno infatti si converte a servire la giustizia sotto la grazia della remissione dei peccati, se non per trovare quiete nella parola dalla quale si vede il principio, che è Dio.
Dunque per avere Rachele, non Lia.
Infatti, chi mai amerà, nelle opere della giustizia, la fatica delle azioni e delle sofferenze?
Chi desidererà questa vita per se stessa?
Allo stesso modo Giacobbe non amò Lia, tuttavia quando di notte gliela condussero sostituendola con l'inganno sperimentò i suoi amplessi e la sua fecondità allo scopo di generare.
Poiché non poteva essere amata per se stessa, dapprima il Signore fece sì che egli la sopportasse per arrivare a Rachele, poi gliela rese gradita per i figli.
Ma parimenti ogni utile servo di Dio, costituito sotto la grazia della purificazione dei peccati, a che cos'altro mai volse l'animo, che cos'altro portò nel cuore, che cos'altro amò appassionatamente se non gli insegnamenti della sapienza?
Questa sapienza, i più ritengono di acquistarla e di raggiungerla tosto che si siano esercitati nei sette comandamenti della legge che riguardano l'amore per il prossimo e vietano che si nuoccia ad alcuno, e cioè: Onora tuo padre e tua madre, non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non pronunciare falsa testimonianza, non desiderare la moglie del tuo prossimo, non desiderare alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo. ( Es 20,12-17 )
Una volta osservati al meglio delle possibilità questi comandamenti, dopo che attraverso diverse prove lungo la notte di questo secolo si sarà a lui unita, anziché la bramata, sperata e bellissima gioia della dottrina, la sopportazione della fatica ( come al posto di Rachele inaspettatamente si unì Lia ), l'uomo sopporta anche questa per giungere all'altra, se ama con perseveranza, accettando altri sette comandamenti ( come se gli si dicesse: Servi altri sette anni per Rachele ): essere povero di spirito, mite, nel pianto, affamato e assetato di giustizia, misericordioso, puro di cuore, pacifico. ( Mt 5,3-9 )
L'uomo vorrebbe, se fosse possibile, giungere subito alle delizie della bella e perfetta sapienza, senza dover tollerare alcuna delle fatiche che si devono abbracciare quando si agisce e si soffre: ma ciò non è possibile nella terra dei mortali.
Questo infatti sembra il significato di ciò che viene detto a Giacobbe: Non si usa nel nostro paese che la minore sia data in sposa prima della maggiore, ( Gen 29, 26.27 ) giacché non è inopportuno chiamare maggiore quella che viene prima in ordine di tempo.
Orbene, nella retta educazione dell'uomo, la fatica di compiere ciò che è giusto viene prima del piacere di comprendere ciò che è vero.
A ciò si applica quel che è scritto: Se desideri la sapienza, osserva i comandamenti e il Signore te la concederà. ( Sir 1,23 )
I comandamenti sono quelli pertinenti alla giustizia.
La giustizia, poi, è quella che viene dalla fede e che si muove in mezzo alle incertezze delle prove, al fine di conseguire, credendo piamente in ciò che ancora non comprende, anche il merito della comprensione.
Il senso del passo della Scrittura che ho appena ricordato: Se desideri la sapienza, osserva i comandamenti e il Signore te la concederà, penso sia il medesimo di quest'altro: Se non crederete, non comprenderete, ( Is 7,9b ) perché ci sia mostrato che la giustizia appartiene alla fede, mentre l'intelligenza alla sapienza.
Pertanto, a coloro che bruciano di amore ardente per la limpida verità non si deve rimproverare questo desiderio: esso però va richiamato all'ordine, affinché cominci dalla fede e si sforzi di pervenire ai buoni costumi a cui tende.
La virtù, in ragione dell'ambito in cui si muove, è travagliata: la sapienza, in ragione di ciò a cui tende, è luminosa.
" Che bisogno c'è di credere - dice - a ciò che non mi si mostra chiaro?
Proferisci una qualche parola, per la quale io possa vedere il principio di tutte le cose!
È questo infatti ciò per cui l'animo razionale, se è desideroso del vero, massimamente e soprattutto si infiamma ".
Si dovrebbe rispondere: ciò che desideri è bello, e degno in sommo grado di essere amato, ma la prima a sposarsi è Lia, poi Rachele.
Questo ardore ti valga non a rifiutare l'ordine, ma piuttosto ad accettarlo, ché senza di esso non si può giungere a ciò che con tanto ardore si ama.
Quando si sarà giunti lì, allo stesso tempo si possiederà in questo mondo non solo la bella intelligenza, ma anche la faticosa giustizia.
Per quanto infatti i mortali ricerchino con acume e sincerità il bene immutabile, ancora il corpo che si corrompe appesantisce l'anima e l'abitazione terrena opprime lo spirito che è pieno di pensieri ". ( Sap 9,15 )
Si deve dunque tendere ad un'unica cosa, ma sono molte quelle che per essa si devono sopportare.
Due sono dunque le mogli libere di Giacobbe; ambedue sono figlie della remissione dei peccati, cioè dello " Sbiancare ", ovvero di Labano.
Tuttavia una è amata e l'altra sopportata.
Ma quella che è sopportata, è la prima e la più ricca in fecondità cosicché, se non per se stessa, è certamente amata per i figli.
Infatti la fatica dei giusti ottiene il massimo frutto in quelli che, nel regno di Dio, generano in mezzo a molte prove e tribolazioni predicando il Vangelo, e costoro chiamano loro gioia e corona quelli per i quali si trovano maggiormente nelle sofferenze, in calamità oltre misura, spesso vicini alla morte, ( 2 Cor 11,23 ) e per i quali sostengono lotte esterne e timori interiori. ( 2 Cor 7,5 )
Nascono loro con più facilità e abbondanza da quel discorso di fede ( Fil 4,1 ) con cui predicano Cristo crocifisso ( 1 Cor 1,23 ) e tutto ciò che della sua umanità viene più rapidamente compreso dal pensiero umano e che non turba neppure gli occhi infermi di Lia.
Rachele invece, con il suo sguardo chiaro, esce di mente verso Dio ( 2 Cor 5,13 ) e vede in principio il Verbo che è Dio presso Dio ( Gv 1,1 ) e vuole partorire e non può, poiché chi narrerà la sua generazione? ( Is 53,8 )
Pertanto la vita che si dedica al desiderio della contemplazione, con lo scopo di vedere con gli occhi non malati della mente, attraverso le realtà create, le cose invisibili alla carne e di scorgere in maniera ineffabile il potere sempiterno ( Rm 1,20 ) e la divinità di Dio, vuole rimanere libera da ogni occupazione ed è dunque sterile.
Effettivamente essa, aspirando all'ozio, nel quale si accendono gli ardori della contemplazione, non si adatta alla debolezza degli uomini che desiderano essere sostenuti nelle loro tante preoccupazioni; ma poiché anch'essa arde del desiderio di generare - vuole infatti insegnare ciò che conosce e non accompagnarsi con l'invidia che consuma ( Sap 6,25 ) - vede che sua sorella, nella fatica dell'azione e della sofferenza, è ricca di figli, e si duole che gli uomini corrano a quella potenza che soccorre alle loro infermità e necessità piuttosto che a quella da cui si apprende qualcosa di divino e immutabile.
Questo dolore sembra rappresentato quando è scritto: E Rachele divenne gelosa di sua sorella. ( Gen 30,1 )
Pertanto, poiché l'intelligenza chiara e pura di quella sostanza che non è corpo e che perciò non pertiene al senso carnale non può essere espressa con parole che escono dalla carne, la dottrina della sapienza sceglie di suggerire le cose divine in qualche modo pensabili mediante alcune immagini e similitudini corporee, piuttosto che ritrarsi dal compito di insegnarle: così come Rachele scelse di procurarsi figli da suo marito e da una schiava piuttosto che rimanerne priva del tutto.
Si dice che Bila significa " Vecchia ", ed essa fu la schiava di Rachele: è infatti dalla vecchia vita, dedita ai sensi della carne, che sono pensate le immagini corporee, anche quando si ascolta qualcosa in merito alla sostanza spirituale e immutabile della divinità.
Anche Lia, ardente dal desiderio di avere una prole più numerosa, ebbe figli dalla sua schiava.
Troviamo che Zilpa, la sua schiava, significa " Bocca che va ".
Pertanto, quando troveremo nella Scrittura che la bocca di alcuni va a predicare la fede evangelica, ma non il loro cuore, dobbiamo pensare alla schiava di Lia.
È scritto infatti di alcuni: Questo popolo mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me. ( Is 29,13 )
E a uomini simili l'Apostolo dice: Tu che predichi di non rubare, rubi?; tu che proibisci adulterio, sei adultero 148? ( Rm 2,21-22 )
Tuttavia, affinché anche per mezzo di questa serva la moglie libera ma affranta di Giacobbe ottenga dei figli eredi del regno, ecco che il Signore dice: Quanto vi dicono, fatelo: ma non fate ciò che fanno. ( Mt 23,3 )
Per questo la Vita apostolica, in mezzo alla fatica delle catene, dice: Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene, ( Fil 1,18 ) come rallegrandosi per la prole più numerosa, giacché anche la schiava ha partorito.
Lia ebbe dunque un figlio, nato in seguito alla concessione di Rachele: questa, avendo ricevuto delle mandragore dal figlio di Lia, permise che suo marito, il quale doveva giacere con lei nella notte che le spettava di diritto, giacesse invece con la sorella.
Di questo frutto so che alcuni ritengono che, preso come cibo da donne sterili, procuri la fecondità; e pensano quindi che Rachele insistette tanto a ottenerne dal figlio di Lia perché desiderava ardentemente dei figli.
Ma io non potrei essere d'accordo, neppure se essa avesse concepito in quell'istante.
Poiché invece il Signore le donò dei figli da quella notte dopo altri due parti di Lia, non c'è alcun motivo di attribuire alla mandragora un potere che non abbiamo mai constatato per nessuna donna.
Dirò dunque quello che penso: altri, più sapienti, diranno forse di meglio.
Quando ho visto io stesso questi frutti - e mi sono rallegrato che mi sia accaduto proprio per questo passo della sacra Scrittura: è infatti cosa rara - ne ho indagato la natura con tutta l'attenzione possibile, sulla base non di una qualche scienza lontana dal senso comune che insegni le virtù delle radici e i poteri delle erbe, ma di ciò che a me e a un qualunque altro uomo indicavano la vista, l'olfatto e il gusto.
Ho dunque scoperto un frutto bello e profumato, ma dal gusto insipido; e quindi confesso di ignorare perché una donna potrebbe desiderarlo così tanto, se non forse a causa della sua rarità e del gradevole odore.
Ma allora per quale motivo la sacra Scrittura non ha voluto tacere questo fatto, essa che certo non si preoccuperebbe di indicarci come importanti simili desideri da donnicciole, se non per esortarci a cercare in essi qualcosa di grande?
Non saprei addurre un'ipotesi migliore di quella che mi è suggerita appunto dal senso comune: cioè che il frutto della mandragora rappresenta la buona reputazione, non quella che si ottiene quando un uomo viene lodato da pochi giusti e saggi, bensì quella popolare, che procura una notorietà più vasta e rinomata, la quale, se non deve ricercata per se stessa, è tuttavia oltremodo necessaria alla sollecitudine con cui i buoni provvedono al genere umano.
Per questo l'Apostolo dice: È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori: ( 1 Tm 3,7 ) i quali, sebbene poco saggi, tuttavia di solito procurano all'impegno di coloro che li custodiscono il lustro della lode e il profumo della buona fama.
Fra quanti sono dentro la Chiesa, giungono per primi a questa reputazione popolare solo quelli che vivono nei pericoli e nella fatica dell'azione.
Per questo il figlio di Lia trovò delle mandragore uscendo in campagna, cioè recandosi con onestà presso quelli che sono fuori; invece quella dottrina di sapienza che, lontanissima dal clamore della folla, sta fissa nel dolce godimento della contemplazione della verità, non otterrebbe neppure un poco di questa gloria popolare se non attraverso coloro che, agendo in mezzo alle masse e persuadendo i popoli, governano non per capeggiare ma per servire.
Infatti, quando questi uomini attivi e laboriosi, che cercano l'utilità delle moltitudini e la cui autorità è amata dai popoli, rendono testimonianza anche a questa vita col desiderio che hanno di conquistare e contemplare la verità nell'ozio, in qualche modo le mandragore attraverso Lia giungono a Rachele; a Lia attraverso il figlio primogenito, cioè attraverso l'onore della sua fecondità, nella quale risiede tutto il frutto di un'attività che fatica e rischia in mezzo alle incertezze delle prove: attività che, a causa delle sue occupazioni turbolenti, gli uomini dotati di buona intelligenza e infiammati per lo studio per lo più evitano, sebbene potrebbero essere adatti a governare i popoli, volgendosi con tutto il cuore all'ozio della dottrina come all'abbraccio della bella Rachele.
È bene che anche questa vita, facendosi più ampiamente conoscere, meriti la gloria popolare, ma è ingiusto che la consegua, se trattiene il suo amante nell'ozio quando egli è adatto e idoneo ad amministrare gli affari della Chiesa e non lo spinge ad occuparsi dell'utilità comune.
Per questo Lia dice a sua sorella: È forse poco che tu mi abbia portato via il marito, perché voglia portar via anche le mandragore di mio figlio?
L'unico marito sta a significare tutti quelli che, pur essendo in grado di agire e degni che si affidi loro il governo della Chiesa perché dispensino il sacramento della fede, vogliono invece, infiammati dal desiderio della dottrina e della ricerca e contemplazione della sapienza, allontanarsi da tutte le molestie dell'azione e nascondersi nell'ozio dell'apprendimento e dell'insegnamento.
Pertanto si dice: È forse poco che tu mi abbia portato via il marito, perché voglia portar via anche le mandragore di mio figlio? come se si dicesse: " Ti pare poco che la vita degli studi tenga nell'ozio uomini necessari all'onerosa gestione delle attività pubbliche, e cerchi anche la gloria popolare? ".
Pertanto, per procurarsi tale gloria giustamente, Rachele cede il marito alla sorella per quella notte: affinché coloro che per laboriosa virtù sono adatti al governo dei popoli, sebbene abbiano scelto di dedicarsi alla scienza, accettino di sperimentare il peso delle prove e delle preoccupazioni per l'utilità comune, perché la stessa dottrina della saggezza a cui hanno scelto di dedicarsi non venga oltraggiata e rischi di non ottenere da parte dei popoli ignoranti la buona fama, che quei frutti simboleggiano, e quanto è necessario a esortare chi la apprende.
È tuttavia chiaro che, per accettare tale peso, essi vengono forzati.
Ciò è indicato a sufficienza dal fatto che, mentre Giacobbe sta tornando dal campo, Lia gli corre incontro e lo trattiene dicendo: Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio, ( Gen 30,14-16 ) come a dire: " Vuoi che la dottrina che ami ottenga una buona reputazione?
Allora non sfuggire alla doverosa fatica ".
Chiunque faccia attenzione, si accorge che ciò è quanto accade nella Chiesa.
Sperimentiamo negli esempi ciò che comprendiamo nei libri.
Chi non vede che ovunque nel mondo tutti si allontanano dalle opere del secolo e si volgono all'ozio della conoscenza e della contemplazione della verità come all'abbraccio di Rachele, e che all'improvviso sono afferrati dalle necessità della Chiesa e messi al lavoro come se Lia dicesse loro: Da me devi venire?
Quando essi dispensano castamente i misteri di Dio, per generare figli alla fede nella notte di questo secolo, vengono lodati dai popoli anche per quella vita il cui amore, una volta convertiti, li indusse ad abbandonare la speranza di questo secolo, e alla cui professione sono stati sottratti per l'opera misericordiosa di governare il popolo.
Con tutte le loro fatiche, infatti, ottengono che quella professione cui si erano volti riceva una gloria più diffusa e più ampia, per il fatto di aver fornito ai popoli simili capi, come Giacobbe che non rifiutò la notte a Lia perché Rachele entrasse in possesso di quei frutti tanto profumati e splendidi; anche questa professione, qualche volta, grazie alla misericordia di Dio, partorisce da sola, e tuttavia con fatica, giacché è rarissimo che: In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio, ( Gv 1,1 ) e tutto ciò che di questo si dice con pietà e sapienza, venga compreso senza i fantasmi del pensiero carnale e, almeno in parte, in maniera giovevole alla salvezza.
Sui tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, dei quali Dio ha voluto chiamarsi il Dio e che la Chiesa cattolica onora, contro le calunnie di Fausto basterà quanto detto.
Dei meriti di questi tre uomini, della loro pietà e della profondità profetica remotissima dal giudizio degli uomini carnali, non è ora il momento di discutere: in questa nostra opera bisognava difenderli soltanto dalle accuse loro rivolte da una lingua maldicente e nemica della verità, affinché non credano di affermare qualcosa contro le Scritture sante e salvifiche quelli che le hanno lette con mente perversa e avversa, quando aggrediscono con insulti sfacciati coloro che in esse sono presentati con tanto grande onore.
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