Supplemento alla III parte |
Pare che non tutti dopo la risurrezione verranno a conoscere tutti i loro peccati.
1. Tutto ciò che conosciamo, o lo riceviamo come conoscenza nuova dal senso, o lo estraiamo dal tesoro della memoria.
Ma dopo la risurrezione gli uomini non potranno percepire i loro peccati con i sensi, poiché sono cose passate, mentre la sensazione si limita alle cose presenti [ In 4 Sent., d. 49, q. 3, a. 1, sol. 4 ].
Inoltre molti peccati saranno svaniti dalla memoria del peccatore, e quindi questi non potrà estrarli dal tesoro della memoria.
Perciò i resuscitati non potranno avere la conoscenza di tutti i peccati da loro commessi.
2. Come si legge nel testo delle Sentenze [ 4,43,3 ], esistono dei « libri della coscienza », nei quali si possono leggere i meriti di ciascuno.
Ma nei libri non si può leggere nulla se in essi non si riscontrano dei segni.
Ora, stando alla Glossa [ P. Lomb. su Rm 2,15 ], nella coscienza rimangono « alcuni segni » dei peccati: i quali però non possono essere altro che il reato o la macchia.
Poiché dunque in molti la macchia e il reato dei peccati saranno stati cancellati dalla grazia, sembra che alcuni non potranno leggere i propri peccati nella loro coscienza.
Si torna così alla conclusione precedente.
3. L'effetto aumenta in proporzione della causa.
Ora, la causa che ci spinge a dolerci dei peccati rievocati dalla memoria è la carità.
Siccome dunque nei santi che risorgono la carità sarà perfetta, essi dovranno dolersi sommamente dei peccati, se li ricorderanno.
Ma ciò non può essere: poiché, come dice l'Apocalisse [ Ap 21,4; Is 35,10 ], da essi « fuggiranno tristezza e pianto ».
Quindi essi non ricorderanno i loro peccati.
4. I risorti beati staranno ai peccati da loro commessi in passato come i risorti dannati staranno al bene compiuto da loro qualche volta.
Ma non pare che i dannati avranno allora la conoscenza del bene talora da essi compiuto: poiché ciò allevierebbe molto la loro pena.
Quindi neppure i beati avranno più la conoscenza dei peccati commessi.
1. S. Agostino [ De civ. Dei 20,14 ] afferma che « ci sarà una virtù divina che farà tornare alla memoria tutti i peccati ».
2. Come il giudizio umano si fonda sulle testimonianze esterne, così il giudizio di Dio si fonda sulla testimonianza della coscienza, secondo le parole della Scrittura [ 1 Sam 16,7 ]: « Mentre l'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore ».
Ora, il giudizio umano su una persona non potrebbe essere perfetto se i testimoni non facessero la loro deposizione su tutte le cose da giudicare.
Essendo quindi il giudizio di Dio perfettissimo, è necessario che la coscienza ritenga tutto ciò di cui deve giudicare.
Ma il giudizio abbraccerà tutte le opere, buone e cattive, secondo l'affermazione dell'Apostolo [ 2 Cor 5,10 ]: « Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo », ecc.
È quindi necessario che la coscienza di ciascuno abbia presenti tutte le opere compiute, sia buone che cattive.
Come dice S. Paolo [ Rm 2,15s ], « in quel giorno, quando il Signore giudicherà, ciascuno avrà la testimonianza della propria coscienza, e i pensieri saranno là ad accusare e a difendere ».
Poiché dunque in ogni giudizio i testimoni, gli accusatori e i difensori sono a conoscenza di quanto viene dibattuto, e nel giudizio universale verranno giudicate tutte le opere compiute dagli uomini, è necessario che allora ciascuno abbia coscienza di tutte le proprie azioni.
E così le coscienze dei singoli saranno come dei libri in cui sono descritte le cose compiute, e dai quali procederà il giudizio: esattamente come nel giudizio umano si ricorre ai registri.
E questi sono i libri di cui si legge nell'Apocalisse [ Ap 20,12 ]: « Furono aperti dei libri, e fu aperto anche un altro libro, quello della vita.
I morti furono giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere ».
Ora, « i libri così aperti », spiega S. Agostino [ De civ. Dei 20,14 ], « stanno a indicare i santi del nuovo e dell'antico Testamento, nei quali Dio mostrerà quali comandamenti egli aveva dati »; ( per cui Riccardo di S. Vittore [ De iudic. potest. ] scrive che « i loro cuori saranno come i canoni di un codice » ); « il libro della vita » invece indica le coscienze dei singoli, e di esso si parla al singolare perché mediante l'unica virtù di Dio tutti ricorderanno le opere da essi compiute; e questa virtù è detta appunto « libro della vita » in quanto farà ricordare a ciascun uomo le proprie azioni.
- Oppure si può ritenere che i libri nominati per primi siano quelli della coscienza, e quello ricordato dopo stia a indicare la sentenza già pronunciata dal Giudice divino nella sua provvidenza.
1. Sebbene molti meriti e demeriti possano svanire dalla memoria, di essi tuttavia non ce n'è uno che non rimanga in qualche modo nei suoi effetti.
Poiché i meriti che non sono andati perduti col peccato resteranno nel premio corrispettivo, mentre quelli che sono andati perduti rimangono nel reato d'ingratitudine, il quale aumenta per il fatto che uno ha peccato dopo aver ricevuto la grazia.
E così pure i demeriti che non sono stati cancellati dalla penitenza rimangono nel reato della pena ad essi dovuta, mentre quelli cancellati dalla penitenza rimangono nel ricordo della penitenza stessa, assieme agli altri meriti.
E così in ciascun uomo ci sarà qualcosa da cui è possibile ricavare la memoria delle opere da lui compiute.
Tuttavia, come dice S. Agostino [ De civ. Dei 20,14 ], ciò sarà dovuto principalmente alla « virtù di Dio ».
2. Da quanto abbiamo già detto [ ad 1 ] risulta evidente che nella coscienza di ognuno resteranno dei segni delle opere compiute.
E non è necessario che tali segni siano soltanto il reato, stando alle spiegazioni date [ ad 1 ].
3. Sebbene adesso la carità produca il dolore dei peccati, tuttavia allora i santi saranno nella patria beata così colmi di gioia da non ammettere il dolore.
Perciò essi non si dorranno dei peccati, ma piuttosto godranno della misericordia di Dio che li ha perdonati.
Esattamente come fin da ora gli angeli godono della giustizia di Dio, la quale ha disposto che abbandonati dalla grazia cadano in peccato coloro di cui sono i custodi, e dei quali tuttavia essi si prendono cura con sollecitudine.
4. I malvagi conosceranno tutte le opere buone da essi compiute, ma ciò non allevierà il loro dolore, bensì lo accrescerà, poiché il dolore più grande è quello di aver perduto molti beni.
Per cui Boezio [ De consol. 2, pr. 4 ] afferma che « la più grande infelicità è quella di ricordare di essere stati felici ».
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