Supplemento alla III parte |
Pare che le diverse dimore non si distinguano secondo i diversi gradi di carità.
1. Nel Vangelo [ Mt 25,15 ] si legge: « Diede a ciascuno secondo la propria virtù ».
Ora, la virtù propria di ciascuno è la sua capacità naturale.
Perciò i doni della grazia e della gloria vengono distribuiti secondo i diversi gradi della virtù naturale.
2. Il Salmo [ Sal 62,13 ] afferma: « Secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo ».
Ora, ciò che viene dato come ricompensa è la misura della beatitudine.
Quindi i gradi della beatitudine si distingueranno secondo la diversità delle opere, non secondo il diverso grado di carità.
3. Il premio è dovuto all'atto e non all'abito: per cui, secondo Aristotele [ Ethic. 1,8 ], « non sono coronati i più forti, ma i lottatori »; e S. Paolo [ 2 Tm 2,5 ] afferma: « Non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole ».
Ma la beatitudine è un premio.
Quindi i diversi gradi della beatitudine saranno secondo il diverso valore delle opere compiute, non secondo il grado di carità.
1. Più uno è unito a Dio, più sarà beato.
Ma la misura dell'unione con Dio è secondo la misura della carità.
Quindi secondo la differenza nella carità ci sarà anche la diversità nella beatitudine.
2. Come l'assoluto segue all'assoluto, così il più sta al più.
Ora, l'avere la beatitudine segue all'avere la carità.
Perciò anche l'avere una maggiore beatitudine segue all'avere una maggiore carità.
I princìpi distintivi delle dimore o gradi della beatitudine sono due: quello prossimo e quello remoto.
Il principio prossimo è la diversa disposizione esistente nei beati, dalla quale dipende in tutti la diversità di perfezione nell'atto proprio della beatitudine, ma il principio remoto è il merito, con il quale essi hanno conseguito tale beatitudine.
Ora, nel primo modo vengono distinte le dimore secondo la carità della patria: la quale quanto più sarà perfetta, tanto più renderà chi la possiede capace della luce divina, secondo il cui aumento aumenterà la perfezione della visione di Dio.
Nel secondo modo invece vengono distinte le dimore secondo la carità della via.
Infatti i nostri atti non sono meritori per la sostanza stessa dell'atto, ma solo per l'abito della virtù da cui sono informati.
Ora la capacità di meritare, in tutte le virtù, deriva dalla carità, che ha per oggetto il fine stesso [ cf. II-II, q. 23, a. 7 ].
Perciò la diversità nel meritare risale interamente al diverso grado di carità.
E così la carità della via distinguerà le varie dimore secondo il merito.
1. La virtù di cui parla quel testo non è la sola capacità naturale, ma la capacità naturale unita allo sforzo di conseguire la grazia.
E allora la virtù così concepita è come la disposizione materiale alla misura della grazia e della gloria da riceversi; ma la carità costituisce formalmente l'elemento completivo del merito alla gloria.
Perciò la distinzione dei gradi nella gloria viene desunta dai gradi della carità più che dai gradi della virtù suddetta.
2. Le opere non meritano la retribuzione della gloria se non in quanto sono informate dalla carità.
Perciò i diversi gradi di gloria saranno secondo i diversi gradi di carità.
3. Sebbene l'abito della carità, o di qualsiasi altra virtù, non sia il merito a cui è dovuto il premio, è tuttavia il principio e la ragione unica per cui si merita nell'atto.
Così dunque i premi si distinguono in base alle sue diversità.
- Sebbene anche nel genere stesso dell'atto si possa considerare un certo grado di merito, non già rispetto al premio essenziale, che è il godimento di Dio, ma rispetto a un certo premio accidentale, che è il godimento di qualche bene creato.
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