Francesco Fonti |
Fare la storia della ditta Fonti significa abbozzare, in scala minore, la grande epopea dei piccoli imprenditori piemontesi che, tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, passo dopo passo, costruirono il più grande polmone industriale d'Italia.
Ma è una storia esemplare anche per capire come questa imprenditoria avesse spesso e volentieri delle solidissime radici nella fede cristiana.
L'abbiamo detto in altre sedi e lo ripetiamo: cosa rese forti, costanti e virtuosi questi piccoli e coraggiosissimi pionieri dell'industria, sempre esposti a rischi e debiti di ogni sorta, se non un ambiente familiare sorretto da una gagliarda fede nell'aiuto della Provvidenza?
L'idea di fondare una ditta a conduzione familiare risale al nonno Giovanni, uomo energico e risoluto, che spinse il figlio Luigi a tralasciare il lavoro dipendente per concentrarsi sulla libera impresa.
Giovanni Fonti aveva acquisito una discreta preparazione professionale frequentando la Scuola d'Artiglieria di Torino ( il nipote Pietro Fonti lo deduce dall'intestazione dell'album sul quale, intorno al 1880, il nonno era solito tracciare i bozzetti a china per la soluzione dei "problemi grafici di geometria" ), per poi lavorare nell'Arsenale di Borgo Dora, in quello di San Carlo Canavese ( poligono di tiro per cannoni ), nelle officine del campo militare di Lombardore: la sua specialità, poi trasmessa al figlio, erano i modelli di fusione realizzati in legno, che servivano appunto per costruire gli stampi in cui versare il metallo fuso.
Avevo solo 11 anni quando è morto mio nonno ( 1924 ), ma ero già in grado di capire che nei lunghi decenni di lavoro trascorsi come modellatore meccanico, aveva dovuto sopportare non pochi dispiaceri.
Questo fatto lo stimolava fortemente ad avviare il figlio verso quella carriera da libero imprenditore che per sé aveva solo potuto sognare. ( P. Fonti )
Anche altri fattori incideranno sulla maturazione di Luigi Fonti.
Il giovane, dopo aver frequentato l'Istituto Commerciale "Valperga di Caluso", aveva iniziato la sua carriera professionale come apprendista in una segheria di Ciriè.
Poi, per un certo periodo, aveva lavorato come cameriere e scrivano al servizio di Luigi Cantù, un ricco e affermato notaio che divideva il suo tempo tra la villa di San Carlo Canavese e l'appartamento-studio di Piazza Solferino, a Torino.
Nel 1899 Cantù si era fatto un nome stilando l'atto di fondazione della Fabbrica Italiana Automobìli Torino ( FIAT ), che sarebbe presto divenuta la principale industria nazionale.
Questo la dice lunga sui contatti che questo signore poteva vantare negli ambienti della grande impresa; è ovvio che Luigi Fonti, un artigiano privo di titoli altisonanti, ma pure dotato di una grande abilità manuale e di un certo spirito d'avventura, non potesse restare indifferente all'atmosfera da "capitani d'industria" che sì respirava nei salotti della "Torino bene".
Forse fu proprio allora che concepì l'idea di creare un'azienda tutta sua.
Mio padre non recepiva alcuno stipendio da Cantù, ma aveva il vitto assicurato.
Inoltre gli veniva offerta l'occasione di assimilare molte notizie su codici e leggi, confrontandosi con un mondo signorile e benestante, a lui assolutamente sconosciuto.
Presenziava a cene "importanti", incontrava le persone che frequentavano l'ufficio del notaio e così si apriva a nuove prospettive di lavoro. ( P. Fonti )
In seguito, il giovane si fece un buon nome nel campo dei "modelli in legno", tanto che arrivarono ad offrirgli un posto nell'azienda oggi nota come "Alenia", che già allora sorgeva in Corso Marche.
I dirigenti cercavano una figura professionale piuttosto qualificata, poiché incontravano molte difficoltà a trovare il personale ( competente anche nel disegno ) necessario alla realizzazione delle eliche richieste dalla neonata aviazione.
Chiunque, al suo posto, avrebbe accettato quella proposta di lavoro, considerando anche il fatto che lo stipendio dei dipendenti di Corso Marche era per i tempi ( 1907, circa ) davvero molto alto.
Luigi Fonti, al contrario, rifiutò l'invito: aveva deciso, con grande determinazione, di fondare un'azienda familiare e non voleva desistere dall'obiettivo.
Di lì a poco, insieme ad un socio di nome Perette, aprì un laboratorio per la costruzione di barche presso i "Murazzi".
Il colloquio di lavoro avuto con i responsabili delle Officine Aviazione di Corso Marche ( oggi Alenia ), gli aveva dato la misura delle sue capacità.
In quell'occasione rinunciò ad uno stipendio molto sostanzioso, proprio perché vedeva il futuro dei suoi figli legato a quella piccola impresa che aveva in animo di creare con le sue sole forze.
Mio padre aveva l'istinto dell'imprenditore ed una grande forza di volontà, ma non possedeva alle spalle alcuna sicurezza economica: perciò cominciò col mettersi in società con questo signor Peretta.
Conservo ancora da qualche parte le carte intestate a suo nome.
Mio nonno, da parte sua, insisteva sulla convenienza di una ditta a conduzione familiare e, d'accordo con nonna Adele, spronava mio padre a superare i momenti di crisi.
Dopo la chiusura del laboratorio dei Murazzi, Peretta si ritirò dagli affari, ma mio padre non si diede per vinto. ( P. Fonti )
Il primo tentativo fallì per la cronica mancanza di clienti; evidentemente già allora il trasporto su fiume, a differenza di quanto succedeva in Germania, non riscuoteva grande successo; ma Luigi Fonti non era certo persona da scoraggiarsi tanto facilmente.
Cosi, lasciato il socio, affittò in via Barolo 20 un negozio che ospitava nel retrobottega una modesta officina artigianale.
Luigi Fonti la trasformò nel "Laboratorio Elettrico per lavori in legno di qualsiasi genere" ed il 5 giugno 1911 fondò una ditta intestata a suo nome.
Il figlio Pietro conserva ancora un biglietto da visita dell'epoca, scritto con gli inconfondibili caratteri liberty del primo '900, che riporta le seguenti diciture: "Modelli per fonderie, Lavori al tornio, Celle ed Armadi frigoriferi, Stipetteria, Disegni e Preventivi a richiesta".
Come si vede, in cima alla lista dei prodotti, appaiono quei modelli per fonderie che sicuramente avevano costituito l'oggetto principale della professione praticata dal nonno Giovanni.
La tradizione artigianale di famiglia proseguiva arricchendosi di nuove competenze.
Luigi Fonti non poteva investire grandi capitali nella tecnologia, eppure anche lì, nella sua piccola bottega, era all'avanguardia, in quanto disponeva di un motore elettrico.
Dunque, oltre ai "banchi" da lavoro, poteva permettersi anche le "macchine", cosa per nulla scontata in quegli anni.
Quando mio nonno mi accompagnava nel laboratorio, mi mostrava con orgoglio questo motore e io, che ero solo un "pulcino" di tre anni, restavo incantato a guardare le "stelline", cioè le scintille rilasciate dal circuito a corrente continua, la prima forma di alimentazione elettrica.
Il motore a corrente alternata di Galileo Ferraris era già stato messo a punto, ma la sua diffusione era appena agli inizi.
Certo, i nostri erano motori d'occasione importati dall'estero - poiché mio padre, che non era un magnate, doveva limitare le spese - però denotavano lo sforzo di pensare "avanti" e zona Valdocco ( un'area ancora poco edificata, ma disseminata di orti e poderi ) dove costruì un edificio a due piani comprendente, tra le altre cose, la nuova casa ( piano superiore ), l'officina ( piano inferiore ) e la tettoia per ospitare il legname.
C'era anche un vasto cortile, parte del quale fungeva da orto.
Dal 1925 al 1950 la famiglia Fonti venne a risiedere nel nuovo complesso, situato in via Pesaro 20.
In questi stessi anni la ditta Fonti cominciò a rinnovare radicalmente la sua produzione, accostandosi ad un "segmento di mercato" ancora inesplorato: l'attrezzatura ginnica.
Il campo dell'educazione fisica in Italia era poco battuto: quella di mio padre assomigliava molto ad una scommessa.
All'epoca frequentavo la seconda elementare e spesso lo sorprendevo mentre esaminava dei grossi volumi e mi chiedevo: "ma cosa fa? Alla sua età si rimette a studiare? ".
In verità, cercava lumi per un 'attività che affrontava da pioniere.
In tutta Torino c'erano appena due professori di ginnastica, gli altri istruttori erano dei dilettanti; per definire modelli e dimensioni degli attrezzi bisognava rivolgersi all'estero.
Così dalla Svizzera fece pervenire alcuni testi utili alla bisogna, mentre da New York, grazie alla mediazione del fratello sacerdote che assisteva gli emigranti in viaggio per le Americhe,1 ottenne il catalogo di una grossa fabbrica di attrezzi ginnici. ( P. Fonti )
Negli anni trenta pertiche, cavalli ed assi d'equilibrio cominciarono ad essere rafforzati con staffe e supporti in metallo.
Ciò richiese, accanto all'officina meccanica ( tornio, trapano ecc. ) posta sotto l'appartamento, la costruzione, nel cortile, di una nuova ala per la lavorazione dei metalli ( 1° piano ) e per la verniciatura ( 2° piano ).
A questa si aggiunse un montacarichi per portare il materiale al 2° piano, dove si verniciavano gli attrezzi.
Fu anche edificata una piccola rimessa che ospitava il trasformatore, mentre la fonderia ( per bronzo e alluminio ) venne allestita nell'area del vecchio orto.
In genere si forgiavano solo pezzi sussidiari, quali mensole e staffe in bronzo.
I forni erano due: uno per fucinare ( scaldare il pezzo per modellarlo col martello ), l'altro per fondere ( sciogliere il metallo per versarlo negli stampi ).
Luigi Fonti aveva una concezione autarchica della produzione: voleva evitare le commesse a fornitori esterni per concentrare tutto il ciclo della lavorazione in loco.
I tempi sono cambiati: basti pensare che oggi la ditta Fonti svolge appena un decimo del vecchio processo di lavorazione, il resto è commissionato a terzi.
Indice |
1 | Lo zio di Francesco apparteneva alla comunità di Mons. Scalabrino e prestava la sua opera sui piroscafi. Successivamente si trasferì in Brasile, dove morì prematuramente senza poter rivedere la famiglia. |