Aspetti del messaggio di Fr. Teodoreto |
Proprio in questi tempi di utilitarismo dominante, di divorzio e i lotta tra i valori, Fratel Teodoreto ci riconduce a comprendere e ad apprezzare la bellezza di una religiosità dominante e disinteressata, ed anche le benefiche, costruttive risonanze che questa opera negli altri settori della vita.
Ci ricorda, insomma, che il dinamismo caratteristico della vita religiosa trae con sé e salva tutto l'uomo.
Proprio perché l'uomo è un essere che intrinsecamente dipende ( e più che mai là dove egli è autonomo, perché "dono" questo più grande ) e solo è libero quando vuole e asseconda la dipendenza che dall'intimo lo costituisce e lo fa essere.
L'intonazione che lo spirito di fede assume in Fratel Teodoreto, fedele figlio di S. Giovanni Battista de La Salle, è marcatamente religiosa e si concreta nell'obbedienza come a virtù madre, come sintetica preparazione ed ulteriorità ad un tempo, di quella vigilia di fede che è lo studiarsi di rimanere continuamente alla presenza di Dio.
Ritornando ai summenzionati effetti dello spirito di fede, non tanto considerandoli quali prescrizioni, ma come sintesi di aspetti salienti della vita del Nostro, quel tanto meditato "nulla riguardare se non …", quel "nulla fare se non …" ed infine quell'"attribuire tutto a …" appaiono dettati da un fermo proposito di non voler essere che di Dio, e soprattutto di servirlo fedelmente ad ogni costo.
Vi si palesa una volontà penitente, un clima di olocausto.
Vi si delinea l'ascesi dell'anima che, attraverso l'orazione e il raccoglimento, la mortificazione e l'abnegazione, si porta alla presenza di Dio, cercato e voluto in tutto, affinché Dio ammaestri e consenta di ammaestrare altri in fui, riflettendolo, comunicandolo in qualche modo.
Una simile prospettiva interiore può essere fraintesa, quando ci si indugi a considerare e ad esercitarsi nell'ascetismo che conduce a Dio, nel servizio da rendere a Lui, che ci si studi insomma intorno al modo di presentarsi a Dio, sino a ridurre troppo implicita l'amorevole considerazione di Dio, a cui essere presenti e a cui servire; oppure che non ci si disponga a sufficienza nella corrente redentrice, nell'iniziativa di Dio che sola può consentire, sostenere l'elevazione dell'anima, elevazione che di fatto è anche un riscatto ed una guarigione.
Comunque, i temi più schietti della rinuncia, dell'abnegazione, specialmente attraverso la povertà, la castità e l'ubbidienza, furono di Fratel Teodoreto, fin dall'esordio della sua vita religiosa.
Tuttavia bisogna tentare, proprio per rendere intelligibile il suo messaggio di vita e di opere.
Fra tutti si distinse per la pietà profonda e riverente.
Intendeva vivere senza indugi la sua vocazione e perciò l'osservanza della Regola che aveva abbracciato ( regola che se non è fatta di sensazionale, analizza e disciplina minutamente, con profondità introspettiva tutta la giornata modesta ed intensa di un laico e maestro ) fu persino nella lettera, piena ed indiscussa.
Senza caparbietà, senza durezze od ostentazioni; mai molesto ad alcuno, sempre apparendo uguale di tono e di condotta.
Certo gl'inizi sono inizi, e non è a credere che anche per i Santi non si diano sviluppo e maturazione.
Pronunciarsi a questo proposito, nei confronti di Fr. Teodoreto, non è facile: intanto per la scarsità di testimonianze ( quelle che si posseggono indurrebbero, a pensare che perfezione ci fu sin dall'inizio ), eppoi per la riservatezza che gli fu propria.
Tuttavia bisogna tentare, proprio per rendere intelligibile il suo messaggio di vita e di opere.
Ci pare ( attraverso a considerazione che accenneremo ) che sviluppo e maturazione interiori ci siano stati, netti e significativi.
Nei primi tempi egli, probabilmente, non ebbe esperienza matura di quanto, poco fosse capace la volontà pressoché sola dell'uomo, né intendeva, forse, fino a che estremo limite era necessario purificarsi e salire.
L'ideale lo attraeva: che cosa impediva di raggiungerlo?
Una lucida autocritica, lo stimolo ad essere "pratico", non gli davano tregua: bisognava salire nella virtù "ogni giorno" passando di proposito in proposito, di esercizio in esercizio, sino a quella perfezione tanto agognata.
Pur non odiando alcuno, né cosa alcuna, si comportò subito come se odio avesse per tutti e per tutto.
Teso nella ferma decisione di voler vivere "solo per Iddio", quel "solo", agli esordi, fu soprattutto esclusione di altro e chiusura al mondo.
Parco di parole, ritirato, riservato, raccolto, mortificato, non preoccupato d'altro che del servizio di Dio: forse a qualcuno apparve insensibile nella sua "ostinazione" per la perfezione.
Sia pure sostenuto da un'intensa orazione, si ha l'impressione che dapprima rimettesse assai largamente alla volontà tenace il compito della santificazione.
La rettitudine, la serietà con cui prendeva specialmente le cose dello spirito, lo stimolano sul terreno dell'ascesi; l'atteggiamento abituale è guardingo, il controllo di sé incessante; la volontà è tesa con intransigenza.
Niente ridondanze né interiori né esteriori, nessun attaccamento a persona o a cose, riservatezza, ritegno mortificato, fedeltà, senso spiccato della trascendente maestà e santità di Dio onnipresente.
Probabilmente fu così che venne a migliore conoscenza di quanto l'uomo sia "refrattario" al bene e "corruttore" di esso ( le espressioni sono sue ).
La lotta contro il muro che così avvertiva di fronte, e contro l'insidia dello scoraggiamento che s'insinuava alle spalle, fu forse più lunga e dolorosa di quanto si potrebbe pensare.
Tanto più che s'aggiunsero presto le incomprensioni, le difficoltà, i timori per le opere che aveva pur con tanta prudenza e zelo intrapreso.
Sta di fatto che l'ultimo invito del Signore ad essergli trasmesso da Fra Leopoldo.
Così suona: "Dirai al Fratello Teodoreto che io, Gesù, padrone di tutti i Santi e delle santificazioni affermo che se si sente di fare il sacrificio di tenersi come corpo morto, questo sarà il compimento della sua santificazione".9
Tuttavia Fratel Teodoreto subito non comprese appieno il senso di quanto Fra Leopoldo gli aveva trasmesso.10
Intanto, contrasti profondi facevano naufragare i primi tentativi, di alcuni Fratelli delle Scuole Cristiane, di realizzare la Casa di Carità .
L'Unione, poi, sollevava dubbi e difficoltà: alcuni la giudicavano troppo severa, troppo "alta", troppo "chiusa"; altri la ritenevano inadeguata ai tempi, legata a formule di pietà e di ascetismo ormai sorpassate.
Qualcuno giunse, per tempo, a qualificare ironicamente "i crocifissi" i giovani che vi appartenevano.
Altri ancora, invece, premevano affinché si bruciassero le tappe onde diffondere con energia l' "Unione" presso ogni Casa della Congregazione.
Si sviluppa così un lungo periodo in cui, oltre alle summenzionate difficoltà di progresso interiore, entrarono come in conflitto da un lato quello che Fr. Teodoreto riteneva fosse desiderio del Signore, e dall'altra l'anelito a non assumere atteggiamenti d'urto coi Confratelli, a sacrificare piuttosto ogni cosa alla distensione degli animi, alla concordia comune.
Non solo, ma incominciano a prodursi i primi giudizi sfavorevoli su Fra Leopoldo e sul suo "messaggio": chi ne nega la consistenza, il valore intrinseco ( sia pure da attribuirsi sempre e solo con fede puramente umana ), chi ne rigetta l'attendibilità, chi ne proclama la estraneità alla "lasallianità".
Come se non bastasse, nei momenti più critici in Fratel Teodoreto emergeva, tentando di travolgere ogni cosa, un angoscioso senso di limite e d'impotenza, congiunto volta volta all'affanno per le gravi responsabilità di cui si sentiva investito.
Pur non escludendo apporti autorevoli, anzi cercandoli come riprova e convalida, è principalmente attraverso la "Divozione a Gesù Crocifisso", attraverso lo sforzo di caratterizzare e diffondere l'Unione e di formare i Catechisti, è attraverso il continuo ripensamento dei detti di Fra Leopoldo, alla luce che gli veniva dal suo Santo Fondatore, che Fratel Teodoreto raccoglie una risposta ai bisogni della sua anima, e poi un conforto e un aiuto per le opere intraprese.
È il "Santissimo Crocifisso" che diventa per lui sempre meglio il "gran libro" della vita e della santificazione.
Penso si debba ripetere per Fratel Teodoreto quel breve ma eloquente commento che egli aggiunge al "ricordati di ciò che ha sofferto mio Figlio" rivolto
alla Vergine addolorata a Fra Leopoldo: "… Fu per lui come una luce del cielo che illuminò la sua mente e riscaldò il suo cuore in modo così efficace da produrre in lui un nuovo slancio di vita soprannaturale, con facilità di addentrarsi nell'abisso di misericordia, di amore e di dolore che fu necessario per l'umana redenzione".11
Per chi ha conosciuto la semplicità e la conseguente sobrietà dell'eloquio di Fratel Teodoreto, non può non rimaner colpito da quell'abisso col quale egli dà risalto all'immensità ineffabile di misericordia, di amore e di dolore che costò il riscatto dell'umanità peccatrice.
Quell'abisso esprime la commozione indicibile, lo sbigottimento quasi, l'attrazione irresistibile subita dall'anima che giunge a sollevare un lembo del mistero della Croce, di fronte al quale ne prova, appunto, come la vertigine sull'orlo dell'abisso, una suggestione potente che la conquista e la spinge ad addentravisi, a sprofondarvisi, in qualche modo.
Questa luce, questa attrazione, questa vertigine prima e questo addentrarsi poi che via via si accelera sino a tramutarsi in vero "sprofondamento" dello spirito, cioè, in Gesù Crocifisso: segnano le tappe dello sviluppo interiore del Nostro.
Tuttavia questo non basta a delineare sufficientemente la svolta spirituale di Fratel Teodoreto: v'è qualcosa di più tipico a cui fu condotto proprio negli ultimi anni e che meglio rischiara l'estremo invito trasmessogli da Fra Leopoldo.
Intanto, basta scorrere il libro che Fratel Teodoreto scrisse sull'amico francescano, per avvertire un canto nuovo alla misericordia divina, una rinnovata esperienza del mistero d'amore che è Dio in se stesso e nelle relazioni cogli uomini, per avvertire un crescente anelito di universale riscatto, di "riforma del mondo" e di riparazione, anelito che appare alimentato dalla percezione crescente del bisogno che il cuore e la storia degli uomini hanno di Gesù Redentore.
Comunque, la fragilità e miserie personali che pur tanto gli ripugnavano;
la gravità dell'ora presente;
le ingratitudini degli uomini verso Dio, e specialmente le insidie continue tese alla gioventù;
l'incomprensione ostinata verso le opere da lui incominciate perché volute dal Signore ( opere che se è vero che cogli anni si andavano perfezionando e consolidando strutturalmente, tuttavia non crescevano di dimensioni che lentamente );
periodi di estrema aridità;
la solitudine crescente del cuore;
le gravi infermità che, tra l'altro, lo privarono dell'uso dell'orecchio sinistro e successivamente di quello corrente e facile della parola ( mentre c'era tanto bisogno di parlare per convincere e smuovere … );
una depressione organica generale che attraverso a crisi successive lo demolì fisicamente e conducendolo al collasso finale, tutto insomma, salvo qualche fuggitiva consolazione, concorreva a gettare Fratel Teodoreto nella tremenda alternativa o di eroicamente abbandonarsi al Signore, o di disperarsi senza rimedio.
Mentre moriva fisicamente poco a poco, gli toccò davvero tenersi spiritualmente "come corpo morto".
Accettarsi com'era, lasciare tutto quanto gli era caro perché opera di bene per portarsi umilmente a Gesù, perché bruciasse ogni miseria, perché prosperasse ogni iniziativa, perché accendesse nel suo petto "quel fuoco d'amore ch'Egli ha portato sulla terra".12
Unirsi all'"Amabilissimo Gesù" per essere purificato, guarito dalla "refrattarietà" del cuore onde potersi diffondere tutto in un rinnovato slancio d'amore e di riparazione: sono due aspetti salienti dell'ultima svolta dell'itinerario spirituale di Fr. Teodoreto.13
Insomma, si tratta di accettare Gesù non solo come modello o come maestro, ma come medico dell'anima, come purificatore, come ceppo della mistica vite di cui si è tralci, come capo vivificante il mistico corpo di cui si è membra.
Si tratta di cedere a Gesù l'iniziativa della propria santificazione e delle opere di apostolato; si tratta di arrendersi a vivere solo di Lui, attraverso tutto, in tutto.
È proprio l'attivo abbandono, il totale sacrificio di tenersi come corpo morto innanzi a Gesù padrone di tutti i Santi e della santificazione.
"… Cercherò di stare col capo sul petto di Gesù e abbandonargli l'Opera dei Catechisti … ".14
Ecco l'ultimo, commovente programma di Fratel Teodoreto.
Del resto, questa è la luce che ci viene dalla sua morte, che fu morte di vittima, partecipazione alla Croce, a quel tremendo e sublime dramma di totale annientamento e di filiale e amoroso abbandono.
In uno stretto scomparto dell'infermeria, Fratel Teodoreto colpito da "ictus" cerebrale ( proprio alla vigilia del ringraziamento solenne per il quarantennio dell'Unione ) agonizzò paralizzato per circa cinque giorni.
Fu dichiarato incosciente, ma in realtà ebbe sprazzi coscienti abbastanza frequenti.
Comunque non gli si poté somministrare alcun sollievo.
Qualche stretta alle mani che impotenti e pietose gli si protendevano, qualche sguardo sfuggente, qualche lieve sussulto tra gli affanni di morte, qualche gesto soave che parve una carezza o una benedizione, qualche trepido tocco al crocifisso che portava sempre indosso, qualche tentativo di raccogliersi mentre intorno a lui
si pregava, furono i pochi segni che ruppero qua e là il meccanismo del travaglio fisico ed istintivo.
A tratti la fisionomia si induriva, tradendo un affanno profondo.
Poche ore prima di morire, tentò ancora di pudicamente coprirsi mentre gli veniva mutata la biancheria del letto.
La morte gli sopravvenne in prossimità del mattino.
Ancora qualche ora dopo gli si poteva leggere sul volto, reso come pietrificato dalla morte, l'umiltà del trapasso.
Tuttavia da tutto il sembiante traspariva una solenne compostezza di fondo, una rettitudine che mi parve maestosa, qualcosa della semplicità del fanciullo.
Poi il volto gli si fece meno teso e sembrò quasi sorridere.
Fu seppellito nel giorno dedicato a S. Giovanni Battista de La Salle, quasi a significare l'approvazione e l'abbraccio del padre al figlio fedele.
L'ultima malattia e la morte sopraggiunta ci pare abbiano spinto fino in fondo la tensione religiosa di Fratel Teodoreto, conducendolo, ne siamo moralmente certi, all'abbandono totale e confidente a Gesù, abbandono ispirato e prorompente da un'intensità d'amore fra le più pure.
Straordinario davvero nell'ordinario, Fratel Teodoreto non fu solo uomo dall'eccezionale regolarità, dall'esemplare compostezza di tratto e di parola; quello che più attira e svincola il suo spirito da quella specie di riserbo, o mancanza di confidenza con l'Amabilissimo Gesù", ciò che gli consente, di non soffocare tra le strettoie della ascesi e delle minute cose quotidiane, è lo spirito di fede che risolvendosi in un crescendo d'amore, tutto in lui alimenta e corona.
La fisionomia stessa di Fratel Teodoreto si va sempre più distendendo, il sorriso gli è ormai abituale: segni questi d'una dilatazione crescente di spirito, ma senza scompostezze, segni di familiarità con Dio però senza rimpicciolimenti, di tenerezza senza debilitazione, di dolcezza senza svirilimenti.
Mentre prima l'addolorava l'omaggio o la lode, negli ultimi tempi s'accontentava di sorridere dolcemente, rendendone grazie a Dio e mantenendosi benevolo con l'interlocutore.
Soprattutto appariva più libero e sovrabbondante interiormente, e non solo sapeva consigliare, ma anche consolare.
Tuttavia quasi nessuno s'accorse del rivolgimento che si andava operando.
L'abitudine di vederlo sempre regolare nell'osservanza, sempre modesto, mortificato e raccolto, esatto nell'adempimento dei doveri di stato, rendeva difficile il cogliere, al di là del costante e fedele servizio, lo spirito nuovo, la forma nuova di vita che tutto ispirava, sorreggeva e concludeva.
Con tutta castità, con gravità soave; con schietta semplicità poteva, negli ultimi tempi, così esclamare.
"L'amore?… ma l'amore è tutto!", e allargate discretamente le braccia, tosto le richiudeva giungendo le mani, per rimanere qualche istante con lo sguardo brillante e lontano.
Non dunque il dovere per il dovere, o il dominio di sé fine a se stesso, ma ogni cosa, nella luce della fede, come amore e per amore.
Solo così si aprono all'anima i cieli infiniti dell'intimità con Dio, senza ubriacature spirituali, né smaniose tensioni contro il limite del dovere quotidiano, che così, del resto, non decade in virtuosismo pedantesco, in moralismo ossessionante, in regolarissima regolazione del regolare.
Mentre la carità diventa per Fratel Teodoreto la forma sempre più dominante di ogni virtù, è Dio che, nel suo mistero trascendente, si manifesta in Gesù, che presente nell'Eucarestia, egli rielegge, con il consenso del Direttore Spirituale, a centro di tutta la sua vita.
Ed è inevitabile conseguenza che emergendo sempre più Gesù nella prospettiva del Nostro, a questi si manifesti sempre meglio la misericordia divina e meglio comprenda "come tutto ciò che è nell'uomo deve esserle attribuito.
Per prime la purificazione e la santificazione.
Non che da ciò ne consegua il lasciarci puramente agire dal misericordioso amore che Dio ci porta, ma è da comprendere, in tanto non esserci per l'uomo elevazione che non sia riscatto e guarigione, e che comunque l'una e l'altra ci vengono date per Gesù, affinché con Lui, in Lui noi concorriamo a conseguirle.
Una simile prospettiva interiore ritorna l'anima proprio alle sorgenti del suo essere e del suo agire, della sua purificazione e del suo merito.
È infanzia spirituale.
È amorosa domanda d'amore, è tutto donare mentre in tutto si domanda l'amore, è tutto domandare per tutto donare.
Concludendo.
L'accettare la "Divozione a Gesù Crocifisso" e, per essa, i "detti" di Fra Leopoldo che la illustrano quale sintesi di vita totalmente devota al crocifisso, per Fratel Teodoreto più che un mezzo di grazie esteriori, fu un aiuto a far emergere dalla sua prospettiva di Fratello "Gesù Cristo, e Cristo Crocifisso".
Ad un primo esame ci pare che in un terreno prevalentemente introspettivo e analitico-ascetico fiorisca una prospettiva estatica e sintetico-mistica quale può comportare l'amore e l'unione a Gesù Crocifisso, l'essersi riscattati da Lui per potersi riscattare con Lui, il vivere di Lui in un amoroso abbandono.15
La stessa ascesi non si continua più pressoché solitaria e quasi puramente preparatoria del nostro "esser presenti a Dio": è già unzione che dapprima s'instaura prevalentemente come purificazione, e che successivamente s'approfondisce come slancio d'amore.
Tutto lo sforzo ascetico che prepara l' "essere presenti a Dio" si riassume nel "sacrificio di tenersi come corpo morto" consegnandosi a "Gesù, padrone di tutti i Santi e di tutte le santificazioni".
Senza perdere nulla della profondità introspettiva, né del santo vigore penitente, è la carità che risalta più tematicamente, stroncando le esitazioni e gli scoraggiamenti e rendendo l'ascesa più speranzosa e spedita.
Quali infatti non furono negli ultimi anni le esortazioni di Fratel Teodoreto contro lo scoraggiamento:16 il perdersi d'animo gli sembrava, forse, il maggior pericolo.
Comunque, insistendo nell'ascesi che conduce all' "esser presenti a Dio" che è soprattutto in noi, affinché Dio ammaestri, affinché Dio sia riflesso nelle giovani anime dei discepoli, Fratel Teodoreto giunge a percepire il messaggio di Dio che è Gesù Crocifisso, giunge a ricevere meglio da Gesù e a cooperare con Gesù la sua definitiva purificazione, nell'amore, come amore.
Ma se questa fu la "forma ultima", il "senso definitivo" della vita di Fratel Teodoreto, non è da credere che a contribuirvi rimanesse estraneo il compito terreno impostogli dalla vocazione di educatore e dalla condizione di uomo.
L'opera di maestro e di educatore, il provvedere a quanto naturalmente gli abbisognava, non rimasero semplicemente affiancati all'agire del religioso.
"Fratelli delle Scuole Cristiane", così S. Giovanni Battista de La Salle volle che fossero i suoi seguaci, i suoi figli spirituali.
A prima vista potrebbe sembrare che si tratti di "Fratelli", di religiosi insomma, che "rimanendo tali" fanno anche scuola: cioè "Religione" e "Scuola" potrebbero apparirvi parallele, e fors'anche in agguato vicendevole.
Oppure quelle "Scuole" serrate tra il sostantivo "Fratelli" e il qualificativo di "Cristiane", potrebbero indurre a credere trattarsi di un puro strumento, quasi un pretesto per catechizzare la gioventù.
In realtà non è così.
Comunque, più che un'analisi di insegne programmatiche, abbiamo innanzi quanto ha rappresentato, vivendolo, Fratel Teodoreto.
Giovanni Garberoglio, il futuro Fratel Teodoreto, nacque a Vinchio d'Asti il 9 febbraio 1871, da una cristiana famiglia di "coltivatori diretti", come diremmo oggi.
Venne alla luce in quel Monferrato che diede una fioritura di Santi in cui l'ardore per la perfezione si concreta anche in opere educative e d'incivilimento.
Da quel poco che fin'ora s'è potuto raccogliere intorno ai primi tempi della vita del Nostro, si può notare, pure con le debite differenze, una sorprendente analogie con quella che era stata la giovinezza di Luigi Musso, il futuro Fra Leopoldo, pure monferrino.
Le bellezze naturali, segni evocatori delle bellezze divine; la fecondità della terra, quasi simbolo della fecondità della vita,17 la letizia del lavoro, il cui amore "è parte integrante dell'"educazione";18 il calore del "focolare cristiano, in cui vivono perpetuandosi inestimabili tesori morali" e a cui "si ascrive il primo merito, dopo che al Signore, della bontà dei figliuoli, le virtù di cui si vestono e si armano, la forza ed integrità del carattere, il solido e ricco patrimonio spirituale col quale partono per il viaggio della vita";19 l'amore "secondo Dio" del luogo natio che i Santi, ad imitazione di Gesù, ebbero… :20 sono i motivi tematici secondo i quali Giovanni Garberoglio si apre alla vita.
Come Lui, Musso, Giovanni era "virtuoso della chitarra", suonando la quale e cantando allietava le feste di famiglia.21
Desiderando ardentemente d'istruirsi, ultimata la terza elementare, frequentò, sino al tempo del suo ingresso in religione, le lezioni serali di complemento che maestri del luogo impartivano ai giovani volonterosi.
E non fu certo un alunno privo di senso critico, poiché ebbe a notare l'insufficienza di quanto gli veniva insegnato circa il comporre.
Fermo e risoluto, anche in famiglia s'era acquistato un certo ascendente, tanto più che i suoi propositi e le sue decisioni si dimostravano tutt'altro che avventate, ma maturate piuttosto nella riflessione abituale.
Per quanto non frequentasse ordinariamente compagnie ( del resto le occupazioni glielo impedivano ), se non l'Arciconfraternita del SS. Sacramento, si distingueva per la cordialità con tutti.
Per tempo dimostrò spiccate tendenze all'educazione dei giovani.
Fu lui, ad esempio, a preparare per la prima Comunione un nipote, quasi coetaneo.
Spesso, la domenica, intratteneva su cose buone e devote, un gruppo di giovanetti che abitualmente confluiva a conversare davanti a casa sua.
La fermezza del carattere, i modi cortesi, la conversazione che rifuggiva dalla banalità e dalle frivolezze, gli rendevano attento e partecipe l'uditorio.22
Comunque, le "virtù cristiane e l'esattezza nell'adempimento dei propri doveri" lo distinsero presto.
Religiosamente parlando, non solo non deviò dalla via retta, non solo la sua pietà non si illanguidì col sopravvenire dell'età pericolosa, ma, come assicurano i suoi coetanei, egli, devotissimo, fu modello alla gioventù paesana e orgoglio ai suoi cari, assiduo come era alla vita della parrocchia, alle sue funzioni, alle sue feste, partecipe cuore ed anima ai sacramenti.
Fioriva e prosperava in tal modo la sua attività religiosa, nutrita da divini ideali, che non escludono certo le sane giocondità della vita che anzi spuntano più copiosamente sui passi dei giusti".23
La chiamata allo stato religioso venne per tempo e fiorì dal di dentro di queste prospettive, che egli mai rinnegò, ma da cui trasse ispirazione e conforto, anche nell'età matura.
Quali siano stati i motivi intimi, oltre a quelli occasionali, che spinsero il giovane Garberoglio a diventare Fratello delle Scuole Cristiane, ancora non ci è stato possibile ricostruire sulla base di testimonianze.
Per ora non ci rimane che tentare di argomentarli attraverso il suo stile di vita, alle opere intraprese e a qualche scritto piuttosto indiretto.
La "vocazione" non fu comunque per Giovanni, sostanzialmente, un invito a rifuggire quello che era stato, a considerarlo chimerico e corruttore, fu l'attrazione di Colui per cui tutto è, e che tutto, dà.
La chiamata di Dio ha per lui del barbaglio del sole che, levandosi alto, attrae lo sguardo e lo rende subito come cieco agli allettamenti del mondo.
È come il prorompere dello sfondo, dell'implicito, prorompere che, per un istante almeno, smorza e confonde i primi piani, l'esplicito.
La consacrazione religiosa a cui conduce la chiamata, non può non prodursi, per qualche aspetto, nel distacco, nella rinuncia, nel "disprezzo" delle creature, nell'abnegazione di se stessi.
Non solo. in forza dell'alternativa propria della scelta umana, a cui accade di dover scegliere tra il volere di Dio e qualcosa che se scelto in date circostanze risulterebbe contrario a Dio: ma è la trascendenza di Dio e la totale dipendenza creaturale a richiedere, in certo modo, l'olocausto di tutto e di se stessi, senza contare il debito della riparazione.
Fratel Teodoreto sentiva che per giustizia si deve rendere a Dio tutto ciò che gli è dovuto, il che è tutto, ciò che è e tutto ciò che siamo e operiamo.
La religiosità più autentica non solo conduce a tutto lasciare, tutto rifuggire e sacrificare "piuttosto" di dispiacere a Dio, ma sollecita di riferire e offrire a Lui tutto.
E poi c'erano tanti fanciulli, tanti giovani bisognosi con l'istruzione ( indispensabile strumento di dignità e di bene personale ), di pane evangelico, di cristiana educazione.
Verso di essi e specialmente verso i più poveri, Giovanni si sentiva attratto.
È percorrendo questo itinerario, a cui l'avviava la chiamata del Signore, che Giovanni lascia il paese natio, i ridenti vigneti che lo circondano, lascia la mamma "il più gran tesoro della sua vita", lascia se stesso distaccandosi dai "più dolci ricordi della sua serena fanciullezza".24
In certo modo fu sacrificio di tutto, ma anche trasposizione e salvezza di tutto non solo per sé, ma per tanti altri, nella nuova prospettiva spirituale che la condizione di religioso educatore comporta.
"Il religioso è anche l'uomo felice, è un enigma per noi il fatto che la rinuncia di tutto porti la felicità. La religione è quella che concilia le più grandi distanze: la libertà dello spirito e l'ubbidienza, l'attività e la contemplazione, l'ilarità e la fatica, l'abnegazione di tutto e la felicità. Tutto abbandona e tutto avrai".25
Proprio quando sembrano profilarsi al Nostro insanabili antinomie tra ricerca di Dio e impegno nel mondo, tra amore di Dio e quello degli uomini, in realtà la, chiamato all'Istituto dei Fratelli delle SS. CC. salvaguarda e asseconda in lui quell'equilibrio di religiosità e d'operosità, di volontà moralizzatrice e civilizzatrice e di elevazione a Dio, equilibrio che sin dalla prima giovinezza si prospettò a Fratel Teodoreto, come ideale.
Diventerà così Fratello delle Scuole Cristiane. Il "tutto offrire a Dio" si tradurrà nel "tutto operare mirando a Dio", nel ricondurre a Dio se stessi e il prossimo, principalmente nella scuola e per mezzo della scuola.
La consacrazione allo stato di religioso-educatore diventerà il nuovo titolo per delimitare e svolgere il proprio compito nel mondo; diventerà il punto di vista secondo cui riguardare ogni cosa; il principio di una sintesi di valori e di attività, secondo la fede.
La mortificazione e l'abnegazione più schiette verranno esplicate come mezzo per realizzare un simile programma, nel rovello cioè, di valutazione e di decantazione che esso importa, nel dominio e nel superamento di ciò che è istintivo e passionale, nello sforzo di riscattare se stesso e gli allievi dalla corruzione naturale e dalla insignifìcanza egoistica della vita e dalla grettezza idolatrica, nell'adoprarsi a trasfigurare la personale autonomia in eco diretta del volere di Dio, del di Lui messaggio di verità e di vita, onde trasmetterlo e infonderlo quale lievito di salvezza nell'animo dei discepoli.
Sacrificata una certa presenza fisica presso gli uomini, egli si rende sempre più beneficamente presente ad essi nell'ardore dello spirito, nell'opera cristianamente educatrice.
La consacrazione religiosa diventa per Fratel Teodoreto il motivo nuovo che gli fa trovare nella scuola, nei conseguenti doveri di stato, il punto essenziale di sviluppo e di espansione della sua ricerca di Dio, un tipico modo di esercitare ed alimentare, quello zelo che è culmine dell'amore cristiano del prossimo.
Così, la consacrazione religiose in lui stimola e favorisce un efficace inserimento nelle strutture sociali, onde contribuirvi l'avvento di una "città" e "'civiltà" cristiane, riflesso e preparazione e inizio del Regno di Cristo.
Quante volte, d'accordo con Fra Leopoldo, non parlerà di "riforma del mondo"!
In Fratel Teodoreto religioso e maestro, o meglio religioso-maestro, non si produce l'indebita frattura tra il religioso da un lato e il maestro dall'altro, frattura che è una delle più gravi minacce al "lasallianesimo".
Ciò non fu certamente il frutto di un compromesso, ma d'una armonia raggiunta nell'approfondimento veritiero dei due aspetti più tipici del movimento lasalliano.
Proprio perché egli fu innanzi tutto "Fratello", proprio perché tale caratteristica in lui sempre più s'approfondisce, non ne viene affatto smorzata la caratteristica del "maestro", anzi la prima brama espandersi e consolidarsi nella seconda" quale ubbidiente fedeltà al dovere di stato, quale espressione di zelo.
Il Santo Fondatore lo ammaestrava in questo sforzo di religiosamente giustificare ed esplicare la propria condizione di uomo e di educatore con la raccomandazione di non fare: "… veruna differenza tra gli affari del vostro stato e il negozio della vostra eterna salute e perfezione.
Siate certi che non opererete mai così bene la vostra salute, e non acquisterete mai tanta perfezione, quanto adempiendo bene i doveri di stato, purché ciò facciate per conformarvi alla volontà di Dio".26
In Fratel Teodoreto abbiamo potuto constatare di fatto come la religiosità si potenzi esprimendo nella scuola la sua fecondità, ma anche come la religiosità sia garanzia, sostegno e coronamento della scuola.
La scuola infatti, approfondendosi rimanda ed invoca la religiosità, quale clima vitale, quale sbocco dell'anima, portata a ciò dal suo specifico orientamento di ricerca, di ossequio e di adesione ai valori culturali che trascendentalmente divini, rimandano ed invocano Dio trascendente.
In altre parole, i valori incarnati negli esseri creati, vi appaiono inesauriti e inesauribili ( benché, in qualche modo, totalmente presenti secondo lo stile essenziale di ciascuno di essi ) e perciò vi appaiono emergenti appunto come strutture o orizzonti trascendentali, e portano in sé il presagio d'indefinite possibili attuazione, e oltre a quelle, e come a fondamento, rinviano alla loro piena attualità, alla totalità in atto che è Dio.
Queste considerazioni ci sono suggerite dallo sforzo di comprendere quell'equilibrio di pietà e di operosità, di purificazione interiore e d'impegno nei doveri di stato, di ricerca di Dio e appassionata opera di educatore cristiano, che fu proprio del Nostro.
Comunque, ecco un esempio significativo di quanto affermiamo.
Un giorno venne domandato a Fratel Teodoreto se ritenesse opportuno che ai giovani della Cara di Carità fosse impartita qualche notizia circa le arti figurative.
La risposta fu pronta ed affermativa, scandita secondo un ragionamento quanto mai significativo: "Sì… Mi ricordo che Suor Josefa de Menendez, descrivendo il Signore che le appariva, notava tra le prime cose, che Egli era bello…
La cosa mi ha colpito… Certo, il Signore è bello, anzi è la stessa Bellezza…
Sì, tutto ciò che è bello ne è come un riflesso che nobilita l'anima e l'aiuta ad elevarsi fino a lui…".27
Del resto, Fratel Teodoreto rispettava ed apprezzava la cultura; voleva ordine e disciplina, proprietà garbata di linguaggio, urbanità delicata nel tratto; amava la prudenza e la forza del volere; approvava la fermezza nei decidere, il coraggio; con gusto tutto suo parlava delle bellezze naturali, del focolare domestico, del lavoro e della sua dignità, dell'istruzione e dell'educazione dei figli del popolo.
Non si dimentichi, a quest'ultimo proposito, che insegnò sempre gratuitamente, che sostenne per lunghi anni il peso delle Scuole serali gratuite tenute dai Fratelli a favore della gioventù operaia, aiutato in seguito dai suoi Catechisti, ai quali infine affidò ogni cosa.
L'istruzione catechistica, l'impostazione catechistica di tutta la scuola, la preghiera prima, dopo. e anche durante la scuola assicuravano, per lui, e l'elevazione a Dio di tanti giovani e la loro rettitudine di uomini, di lavoratori, di cittadini.
Fratel Teodoreto intuiva che le strutture del mondo non comportano né incompatibilità e nemmeno indifferenza con la santità: altrimenti perché votarsi alla scuola?
Perché credere che proprio attraverso ad essa si sarebbe potuto diffondere il messaggio evangelico?
Perché avrebbe dovuto valere l'insegnare e l'apprendere le discipline "profane", a lavorare, a plasmare una fisionomia grave e retta d'uomo e di cittadino?
Non è esatto definire queste cose quale pura "occasione" e peggio, quale "pretesto" per tener riuniti molti giovani, facilitando così il parlar loro di Dio.
La Scuola non soltanto ammassa, ma "riunisce" davvero e predispone gli allievi ad ascoltare uniti un simile annuncio.
Come così del resto, in qualche modo, predispone ogni attività onesta, esercitata misuratamente senza oppressione, né affanno idolatrico.
Si ricordi a questo proposito il già citato brano con cui inizia il capitolo intitolato "Ora et labora" nel libro da lui scritto su Fra Leopoldo: "Nelle famiglie cristiane l'amore al lavoro è parte integrante dell'educazione".28
La Scuola meglio di ogni altra cosa predispone alla religione, poiché meglio aprendo alla vita, meglio consente d'intendere la religiosità che, in largo senso, tutto intride, meglio consente d'intendere come un anelito di riscatto e di elevazione, di guarigione e di santificazione, percorra principalmente il mondo e la storia umana e, comunque, l'universo, intero.
L'amore di Dio soprattutto è garanzia dell'amore di tutto in Dio e di Dio in tutto.29
Fratel Teodoreto comprendeva come ogni elevazione si traduce in rovinosa caduta, se non ha Dio come meta, Dio che pienamente giustifica e salva ogni elevazione in quanto tale poiché chi si eleva, non si eleva semplicemente "da" se stesso e "su" se stesso, ma "verso" una meta che non dipende da lui.
Del resta, senza Dio qualunque ascesa dà le vertigini.
La contraddittorietà è il segno di ogni tentativo di raggiungere qualcosa senza Dio, come se fosse Dio: l'uomo vi rimane confuso poiché vi si sente ad un tempo attratto e, respinto, soddisfatto ed insoddisfatto, valoroso. e ignominioso, conquistatore e ladro, liberatore e oppressore di se stesso.
Ancora. Ogni elevazione ha qualcosa della redenzione, e in un certo modo, comporta mortificazione ed abnegazione.
Un sentimento per così dire "precristiano" è nel cuore di ogni uomo, è virtualmente in fondo al creato: ci vuole rettitudine ed umiltà per avvertirlo.
Ma come solo lungo la verticale dell'elevazione a Dio può consolidarsi, come momento dì essa, non c'è elevazione compiuta e definitiva senza il Cristo.
La scuola cristiana è scuola di Cristo, è istruire e formare a Dio con Cristo, in Lui e per Lui.
Se in Fratel Teodoreto era notevole lo sforzo di cogliere dall'intimo dei valori naturali, il loro riferirsi a Dio, egli si dimostrò sempre un forte testimone della fede.
Il suo insegnamento prima che un'argomentazione è un'affermazione orale e vissuta del Vangelo.
Disponendosi mentalmente e con tutto il suo essere secondo l'orientamento suggerritogli dal dato della fede, ne fa come intuire la veracità, la ragionevolezza profonda, la sublime convenienza.
Del resto, è maestro nel chiarire con semplicità la formulazione catechistica, nel rimuoverne gli eventuali ostacoli alla sua comprensione.
Fratel Teodoreto ha fiducia che l'enunciazione chiara e conseguente delle verità della fede possa destare echi profondi nell'animo di chi ascolta; comunque sente di dovere innanzi tutto testimoniare la fede, quale debito omaggio a Dio buono e verace.
La sua umile e pur potente autorevolezza, più che dal carattere fermo ed equilibrato, gli veniva dalla sincerità e ragionevolezza della sua testimonianza.
Davanti a lui i giovani, alunni prima, e Catechisti poi, sentono la solennità misteriosa e pur tanto attraente della Rivelazione.
La loro reazione subito è il rispetto, poi la sottomissione, poi l'adesione.
A chi dubitando viene da lui in cerca di luce, Fratel Teodoreto rivolge immancabilmente l'invito a pregare, anche se non manca di adoprarsi a rispondere e a interessare eventualmente altre persone più dotte di lui.
Solo rimanendo nella fede è possibile superare le difficoltà che vi si possono incontrare, come solo continuando a vivere e a pensare è possibile risolvere i problemi della vita e del pensiero.
Insomma, Fratel Teodoreto mai dimentica che il messaggio cristiano viene da Dio, e che se è vero che viene "incontro" agli uomini per illuminarli e salvarli, da essi non è deducibile, benché se ne possa e se ne debba riconoscere la ragionevolezza profonda.
Agli uomini, con l'aiuto di Dio, il compito dunque, di riconoscervi più profonda, nel nuovo modo di manifestarsi, la stessa "luce che illumina ogni uomo veniente in questo mondo", e d'aderirvi.
Tutta l'attività illuminante esplicata da Fratel Teodoreto è dominata da due correnti: una, da Dio alle creature, fatta di testimonianza e di riecheggiamento del messaggio evangelico; l'altra, dalle creature a Dio, fatta di argomentazioni volte ad esplicare dal creato, dal profondo di se stessi, il riferimento a Dio, la tensione, per così dire, verso la Rivelazione.
Anzi, la testimonianza ha, per così dire, nelle sue pieghe, l'argomentazione, come sua, in un certo modo, esplicazione e giustificazione.
Così per Fratel Teodoreto il catechismo, riecheggiamento diffusivo del messaggio di Gesù, si costituisce come fondamento e coronamento di tutta la scuola cristiana.
La pedagogia che vi si attua è pedagogia di fede, di pietà, di grazia.
La soprannatura attrae ed eleva guarendo la natura, questa v'è attratta poiché in essa vi è come potenzialità a quella, e in quella meglio si riconosce e si possiede.
Per Fratel Teodoreto non si danno fratture tra cielo e terra. quanto piuttosto continuità e corrispondenza, qualunque siano le difficoltà, i tentennamenti, le involuzioni possibili.
Nell'affermazione sincera di Cristo pare vi sia per Fratel Teodoreto qualcosa di universalmente illuminante e salvifico, malgrado le reazioni che ne possano derivare a tutta, prima, e qualunque sia la potenza dell'eloquio.
La testimonianza data a Gesù davanti agli uomini è nel Nostro continua, e mai appare come ostinazione, come contraddittorietà, ma sempre come fedeltà e rettitudine, come sorgente di benevolenza verso chiunque: nella sua fede vi è per quanto diverso, un "posto" per tutti.
Così, vivere e far vivere "alla presenza di Dio" e in questa presenza far conoscere ed amare Gesù, insegnare ed educare in Lui, studiare ed imparare con Lui, esercitarsi a vivere di Lui, a trasferire e instaurare ogni cosa in Lui, e con Lui ritornare a Dio, ecco in breve il programma educativo di Fratel Teodoreto.
In questo modo, la Scuola cristiana gli si presenta come impresa culturale ed educativa che è ad un tempo impresa di salvezza, principalmente dell'anima, ma anche per essa di tutto l'uomo e della sua storia.
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10 | Ecco la testimonianza di un Catechista: "Ricordo di aver domandato al Fr. Teodoreto come avesse interpretato l'ultimo detto di Fra Leopoldo del 3 giugno 1921 riferentesi a lui, circa l'invito fattogli da Gesù di «tenersi come corpo morto». Mi rispose che allora non l'aveva compreso bene. Ma di averlo interpretato meglio dopo la lettura di S. Giovanni della Croce". |
11 | Fratel Teodoreto, in Fra Leopoldo, II ed., pag. 26. |
12 | Dalla Corrispondenza col suo Direttore spirituale, 20-1-1949. |
13 | «… anche con tutte le mie mancanze posso stare unito a Gesù, sicuro che Egli mi guarisce distruggendo e bruciando le mie mancanze …» ibid., 24-11-1948. «Gesù mi vuol tanto bene, ma non ci penso abbastanza, avevo bisogno del suo scritto per accrescere in me l'amore e l'espansione con Gesù», 13-10-1948. « … sento accrescere in me l'abbandono completo e fiducioso nel cuore Sacratissimo di Gesù con l'aiuto del Cuore Immacolato di Maria SS. …» 14-2-1949. |
14 | ibid. 22-6-1949. |
15 | Nell'ultima edizione delle Regole dell'Unione vi è una eco di questa situazione. «I Catechisti devono studiarsi di rimanere continuamente uniti a Dio che opera nell'uomo il volere e il fare, secondo la buona volontà, e di tenersi in ogni luogo alla sua presenza mediante un semplice sguardo di fede». Cap. 8, a . 72. Subito dopo (a. 73) si parla del dovere di attendere agli esercizi di pietà «con spirito di umiltà e di filiale amor di Dio» «per mantenere ed accrescere la loro vita nascosta con Cristo in Dio». |
16 | Per la prima volta compare nell'ultima edizione delle «Regole» aggiunto all'invito di «combattere la vanagloria e ogni sorta di superbia» anche quello di combattere «ogni forma di pusillanimità e scoraggiamento». Cfr. cap. I, a . 12, n. 7°. |
17 | Fr. Teodoreto, Fra Leopoldo, pag. 1. |
18 | Fr. Teodoreto, ibid., pag. 4. |
19 | Fr. Teodoreto, ibid., pag.5. |
20 | Fr. Teodoreto, ibid., pag. 29. |
21 | Ci ha fornito, con altre che seguono, questa testimonianza il Fr. Bonaventura, nipote di Fr. Teodoreto. Giovanni avrebbe preferito entrare nella «banda musicale del paese» per suonarvi qualche altro strumento, ma non gli fu concesso data la giovane età. Amante della musica s'era così recato presso la famiglia Giolito, nota in tutto il circondario di Vinchio per le attitudini musicali dei membri, ma non essendoci a disposizione altri strumenti che una chitarra, per imparare un po' di musica, egli dovette accettare quanto gli veniva offerto. |
22 | Gli insuccessi che gli toccarono nei primi tempi della sua nuova attività di maestro (ci fu persino tra i Superiori chi pensò di rimandarlo a casa) sembrano contraddire questo ascendente. Pensiamo che uno studio approfondito di questa apparente contraddizione, getterebbe nuova luce sulla personalità del Nostro che fu netta e decisa e sulle prime ripercussioni di quel serio impegno con cui egli si «costrinse» a far sua, senza esitazione, la linea ascetica e pedagogica del suo Istituto. |
23 | Fr. Teodoreto, Op. cit., pag. 5. |
24 | Fr. Teodoreto, ibid., pag. 6. |
25 | Dagli appunti di un Catechista circa l'adunanza formativa tenuta da Fratel Teodoreto il 13-12-1928, in vista della nuova condizione di religioso per i Catechisti. |
26 | Dalla Raccolta. |
27 | Dalla testimonianza di un Catechista. |
28 | Fr. Teodoreto, op. cit., pag. 6. |
29 | Il " tutto offrire a Dio " sintesi pratica
dello spirito di fede, che conduce e si esplica nella vita di
consacrazione religiosa, si nutre alla certezza che " tutto " si
possa offrire ("elusa la colpa che è carenza volontaria), e che
dall'intimo di ogni attività, di ogni cosa (e massimamente di ciò che
costituisce ed è oggetto della Scuola) vi sia almeno un riferimento
virtuale a Dio, una sacralità potenziale, un virtuale omaggio a Dio, da
attuare per l'uomo e nell'uomo che vive ed opera cristianamente. L'attuazione di tale riferimento diventa la prospettiva, il modo di accesso a se stessi e al mondo, proprio in forza della consacrazione religiosa; tale attuazione diventa il principio ispiratore ed orientativo del programma scolastico il più profondamente " culturale " ed " educativo ", proprio perché Dio è più intimo ad ogni creatura di quanto questa lo sia a se stessa, proprio perché l'uomo ha la sua piena spiegazione e il fondamento ultimo del suo essere e del suo valore Oltre a se stesso; proprio perché il Salvatore viene dall'alto all'uomo, che decaduto per colpa sua, da solo non si può salvare. |