Aspetti del messaggio di Fr. Teodoreto |
Fratel Teodoreto e Fra Leopoldo sono innanzi tutto uomini di pietà fervente, e nella pietà trovano la sorgente di quell'atteggiamento umile e magnanimo, di quella disponibilità al volere di Dio e al bene del prossimo; della loro soprannaturale "socialità".
"Pia" è l'attributo che s'accompagna alla loro virtù.
Del resto l' "ospitalità" massima e onnicomprensiva, si ha quando ogni rapporto ramifica lungo il rapporto fondamentale dell'amore di Dio.
Soltanto tendendo a Dio innanzi tutto - ripeto - sono possibili linee e rapporti profondi di convergenza, di coesistenza.
Altrimenti per quanta solidarietà si protesti verso gli uomini, per quanta dedizione si proclami di rivolgere a imprese buone e oneste: su tutto e su tutti non può non raggiarsi la stranezza, il capriccio, la superbia solipsistica, il narcisismo egoistico e suicida, la deformazione idolatrica.
Soltanto nella pietà, filiale ossequio a Dio, in cui cioè il fondamento della vita viene onorato come Padre, sono possibili rapporti fraterni e amichevoli tra gli uomini, rapporti di onore vicendevole. Senza avvertire e accettare la paternità del Principio, è impossibile sentire fino in fondo il mondo come "casa" e gli uomini come fratelli, o come "persone".
Solo la pietà, fastigio di giustizia, promuove ed esprime l'atteggiamento più accogliente, il rapporto più veramente umano e perciò, come afferma il Monsabré, umile, generoso, benevolo e misericordioso, docile e costante, semplice, amabile, discreto, sobrio, ordinato e riflessivo.
Ci pare di descrivere Fratel Teodoreto.
Proprio Fratel Teodoreto intendeva che spesso e volentieri l'animo dell'educatore, con quello dei discepoli, si elevasse a Dio nella preghiera, anche con manifestazioni collettive.
Da parte sua nel tratto di strada che separava la Scuola dalla Comunità - riportiamo la testimonianza di un Confratello che gli fu vicino nei primi anni di professione - recitava con impegno la corona ( del Rosario ).
Quando si tratterà di superare la difficoltà di tener la disciplina, sarà decisiva una novena a S. Giuseppe.
Quando occorrerà far revocare quel grave provvedimento scolastico, che abbiamo detto, a risolvere la cosa sarà la "Devozione, recitata dai maestri e dagli allievi.
Così, quando sarà necessario dare alla costruenda Associazione di giovani apostoli in mezzo al mondo una prima specifica attività, essa sarà la pietà verso il Crocifisso.
Quello che abbiamo compreso, è che la pietà per Fratel Teodoreto era la leva principale per risolvere ogni difficoltà, per ottenere qualsiasi buon risultato, era l'ancora di una universale salvezza.
Ma non basta, era il modo per assicurare a sé e ai suoi
giovani il successo dei successi che è il conseguimento di Dio, era l'espressione della libertà più piena dello spirito, il quale non solo in tutto, ma oltre a tutto deve potersi slanciare e spaziare, deve potersi rifocillare, purificare, arricchirsi di amore, su verso Dio, qualunque siano le congiunture presenti, al di là degli schemi contingenti professionali e sociali, oltre il limite delle cose finite.
Questa non è "evasione" bensì è "elevazione".
Ancora, la pietà era per lui l'espressione di un pregnante atteggiamento di giustizia, un richiamo e un ritorno potente al fondamento della rettitudine.
Così, ad esempio, nell'orazione avvertiva ad un tempo il dovere e la nobiltà di tutti, al di là delle disparità di doti naturali e di ceto sociale.
Si dirà, che se tutto questo è buona cosa, tuttavia sembra per lo meno esagerato l'aver fondato unicamente sulla pietà un'associazione di giovani che vivendo nel mondo, dovrebbero avere ben altra apertura ai problemi dell'apostolato sociale, che a loro si confà.
Ma se è vero che l'adempimento dei doveri di stato, l'esplicazione coscienziosa d'una professione o d'un mestiere, il concorso responsabile alla vita sociale e civile vanno per il loro intrinseco pregio riguardati come analogie dell'operosità divina e come comando di Dio e "missione" nel mondo, non è da credere che in queste cose possa esaurirsi la persona umana, benché vi si debba impegnare ed esplicare.
Quello che vale innanzi tutto è la persona: la sua funzione terrena pur conducendola come a risolversi in essa attraverso il momento, in certo modo, spersonalizzante del servizio e della dedizione, deve risolversi infine come potenziamento della persona stessa.
L'impersonalità del compito, a veder bene, è superpersonalità, cioè momento di ulteriorità della persona, chiamata come a dipartirsi da sé per diventare, in certo senso, più che se stessa; chiamata ad essere più che se stessa affinché diventi se stessa sempre di più, attuando una universale giustizia.
Se è vero che il compito umano è la spiritualizzazione e trasfigurazione del mondo, che attende dall'uomo l'attuazione delle virtualità che gli sono nel seno, per farsi "casa", "tempio", "città", "opera d'arte", per farsi espressione in atto, manifestazione, cioè "gloria" di Dio e di se stesso, è anche vero che il risultato ultimo, la trasfigurazione massima del mondo e la sua sintetica risultanza è nell'uomo, è l'uomo stesso.
Il quale uomo è "a se stesso" e "a Dio", e perciò è in tutto oltre a tutto.
L'impegno professionale, ad esempio, solo in quanto diventa alimento di questa interiore dialettica, può garantirsi come espressione di libertà e non di schiavitù ( sia pure ovattata dai ritrovati del progresso ).
Solo secondo questa prospettiva mi par lecito e doveroso parlare di "moralità professionale", altrimenti ogni cosa si risolverebbe in precettistica, in tecnica di "produttività", o in ismania attivistica.
Infine, nessuno pensi di aver esaurito ogni dovere, ogni rapporto con Dio, avendo adempiuto la propria funzione.
Intanto perché Dio non può essere circoscritto dalle cose e dai compiti terreni: Dio deve essere servito ed attinto in essi, ma non solo.
Prima, durante e dopo l'azione, il rapporto con Dio dev'essere di "contemplazione", di "orazione", di "pia elevazione", insomma.
Ciò che conta innanzi tutto e in tutto è l'uomo, l'uomo per Iddio.
Il rapporto di fondo è sempre di persone e tra persone: gli uomini i fra loro e con Dio.
Anche Iddio, in certo modo, è per gli uomini affinché questi possano essere per Lui, in Lui.
E con Dio e conseguentemente cogli uomini l' "incontro", e non scontro, s'incomincia e si rinvigorisce nella pietà.
Soltanto nella "pietà", l'adempimento del compito umano familiare, professionale e civile produce, come afferma il P. Bourdaloue, "un merito davanti a Dio, un gaudio davanti a noi stessi, l'onore nostro davanti al mondo", in quanto si caratterizza come autentica "devozione", la quale sola esprime ed alimenta la sete e fame di giustizia".
Ma senza "devozione" a Dio, in senso proprio e diretto, non vi può essere "devozione"verso alcuno e nemmeno verso se stessi, sia pure "devozione" in senso largo e indiretto.
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