Gli Istituti secolari |
Un solo canone tratta la questione degli obblighi e dei diritti dei membri.
Un raffronto di questo c. 719 con i cc. 662 e seguenti che gli sono paralleli, permetterà di ovviare ad alcune lacune facendo appello all'analogia del diritto ( c. 19 ).
Il c. 719 tratta praticamente della vita spirituale dei membri - doveri e diritti - enunciando la portata di alcuni obblighi definiti in questo testo.
Si può lamentare che certi punti tanto importanti, come i cc. 662 sulla sequela di Cristo, 666 sull'uso dei mezzi della comunicazione, 668 sui beni personali, e 670 sul dovere dell'istituto verso i suoi membri, non siano considerati.
Questi punti sarebbero stati meglio studiati e stabiliti come norme comuni a tutti gli istituti.
A dire il vero, anche il c. 671 potrebbe avere un adattamento valido alla vita consacrata secolare.
Per ragioni pratiche esponiamo tale materia prendendo atto dei valori, obblighi e diritti espressi nei canoni riguardanti i religiosi, allo scopo di completare ciò che manca al c. 719; va da sé che questi canoni mettono in luce alcuni elementi importanti in una vita consacrata secolare.
La consacrazione secolare suppone una fedeltà a Cristo che si vuoi imitare più da vicino.
Questa imitazione e unione con Cristo è definita dal carisma proprio di ciascun istituto, e lo situa nella tipologia tracciata in LG 44a e in PC 7, 8 e 11, ripresa e completata nel c. 577, dove si dice che gli istituti secolari imitano Cristo nella sua vita secolare, in quei rapporti con gli uomini che egli ebbe prima della sua vita pubblica.
Il carattere di " vita nascosta " vissuta a Nazaret ha un'importanza primaria per comprendere la portata della loro presenza consacrata in pieno mondo.
Se il Vangelo è in questa imitazione del Signore la norma prima e la regola suprema di tale vita consacrata, era però necessario completare il testo conciliare ( PC 2 ) aggiungendo che la fedeltà a Cristo e espressa nelle costituzioni dell'istituto e deve essere vissuta secondo il loro spirito e le loro norme concrete.
Il c. 719 § 1 pone nettamente la vita interiore come necessaria alla fedeltà alla chiamata di Dio; la vocazione all'istituto, se è vera, è una vocazione divina, ma tale vita interiore è ugualmente necessaria al valore dell'azione apostolica che suppone l'unione intima col Signore.
Questo insegnamento conciliare ( PC 5 ) è stato più volte enunciato nel Codice, specialmente nei cc. 673 e 675, quest'ultimo, come il c. 673 avrebbe potuto essere proposto come nonna comune a tutti gli istituti di vita consacrata approvati o in formazione ( c. 605 ).
L'azione apostolica deve avere la sua fonte in una unione con Cristo che si deve considerare come un dono di vocazione e conservare come un bisogno di fedeltà e di forza interiore.
Il c. 675 § 2 riprende questo principio e lo completa in una maniera che ha tutto il suo peso nella secolarità consacrata: l'azione apostolica deve sempre scaturire dall'intima unione con Dio e al tempo stesso consolidarla e favorirla.
Con altrettanta chiarezza bisogna dire con il c. 675 § 3 che l'azione apostolica degli istituti secolari, pur essendo una presenza estremamente discreta, si esercita in nome della Chiesa e si svolge in comunione con essa: la Chiesa l'approva e la dirige approvando l'istituto e i suoi statuti.
Si può concludere citando il c. 663: la contemplazione delle verità divine, e la costante unione con Dio nella preghiera, è il primo e principale dovere dei membri di un istituto di vita consacrata secolare.
Come mezzi di unione con Cristo, il c. 719 cita nel § 1 la preghiera, la lettura della sacra Scrittura - la lectio divina - e aggiunge saggiamente apto modo « in maniera adattata ».
Questo adattamento non è particolarmente richiesto per gli istituti secolari.
In ogni vita consacrata gli adattamenti sono necessari; questo elemento non è dunque distintivo per i soli istituti secolari.
Tra i mezzi per favorire la vita spirituale, il c. 719 § 1 enumera i tempi di ritiro annuale, e stabilisce che il diritto proprio preveda altre pratiche regolari: giornate di ritiro mensili o più distanziate, studi dei testi propri dell'istituto, che permettano una migliore intelligenza del suo carisma.
Più l'istituto è secolare, meno legherà i suoi membri a pratiche regolari e obbligatorie, soprattutto comuni.
Alcuni istituti secolari prevedono preghiere del mattino e della sera, preghiere quotidiane.
Ci si può chiedere se la cosa è utile.
È necessario consigliarle ai candidati in formazione?
Forse è utile e per alcuni necessario, ma non si dovrebbe fame un obbligo generale per tutti i membri dell'istituto; in alcuni casi, esse possono ostacolare il progresso della preghiera.
Il c. 719 § 2 pone l'eucaristia al centro della vita consacrata, e auspica che sia vissuta, se possibile, quotidianamente.
La scarsità o mancanza di sacerdoti in paesi di cristianità rende spesso l'assistenza all'eucaristia difficile, se non impossibile, vista la difficoltà di un orario valido per tutti.
Una unione spirituale all'eucaristia celebrata e adorata è sempre possibile, anzi, diciamo, è necessaria; dovrebbe essere attuata rinnovando interiormente la consacrazione di vita mediante i consigli evangelici; può consistere in una ripresa meditativa della formula di consacrazione in uso nell'istituto, che si deve auspicare breve e, se possibile, centrata sulla consacrazione di Cristo al Padre suo per la salvezza del mondo ( Gv 17,19 ).
In effetti, l'intelligenza stessa di questa consacrazione di vita come consacrazione a Dio e agli uomini, quale la definisce Pio XII, è fonte e forza di ogni vita consacrata, e specialmente di una consacrazione secolare vissuta in un quadro necessariamente più profano.
Il § 3 del c. 719 riprende il principio della libertà di coscienza quanto al sacramento della riconciliazione, principio enunciato nel c. 630 § 1.
Questo principio è tanto più importante in quanto una coabitazione potrebbe in un modo o nell'altro limitare o ostacolare tale libertà.
Limitazione di libertà che non dipende solo dalla disciplina comune di cui parla il c. 630 § 1, ma può essere occasionata da ogni forma di vita fraterna, prevista del resto dal c. 714.
Il diritto proprio, in un codice accessorio previsto dal c. 587 § 4, determinerà o suggerirà tutto ciò che attiene alla scelta del confessore.
Sarà, se possibile, un sacerdote sperimentato, che conosca le esigenze della vita consacrata secolare, e meglio ancora l'istituto e il suo spirito, la sua presenza al mondo e il valore del lavoro professionale dei suoi membri, lavoro talvolta specializzato, tipico di questo o quell'istituto secolare, ad es. insegnamento, cura dei malati, professorato universitario e altri studi, presenza nella vita politica e nell'amministrazione civile.
Alcuni istituti secolari hanno gradualmente segnato, con la scelta e la vocazione della maggioranza dei loro membri, un tratto particolare che è bene conoscere e valutare secondo i criteri della secolarità consacrata.
Certi istituti sono in un certo senso ancora più specializzati, riunendo, anche esclusivamente, persone di un certo tipo di vita professionale.
Questa scelta può favorire in qualche modo l'unità di spirito nell'istituto e la forza della testimonianza dei suoi membri; dipende dal carisma proprio di ciascun istituto.
Il c. 719 § 3 dice con prudenza che la recezione del sacramento della penitenza deve essere regolare.
Il c. 664 auspica che sia « frequente ».
Sarebbe pericoloso fissare un tempo ben definito, per es. settimanale o mensile.
La confessione, essendo l'occasione di una direzione o di un consiglio spirituale, se fatta presso un confessore poco informato, può turbare; in questo senso è meglio evitarla.
L'esperienza dimostra d'altra parte che su questo punto vi è facilmente negligenza: le confessioni sono troppo intervallate e possono diventare per questo fatto più difficili.
la cui libertà deve essere a tutti i costi assicurata - il c. 719 § 4 riprende un principio fondamentale già espresso nel c. 630 § 1 - è detta « necessaria », indispensabile.
L'osservazione è non solo giusta, ma tanto più opportuna per gli istituti secolari, i cui membri sono più lasciati a se stessi e devono esercitare in pieno mondo un discernimento degli spiriti, per se stessi e per gli altri, che può essere delicato e difficile.
Questo solo elemento fa vedere l'attualità di questa norma che, a quanto pare, è sempre valida per ogni vita apostolica, laicale o sacerdotale.
Gli istituti secolari non hanno ancora conosciuto gli abusi contro i quali Leone XIII ha dovuto prendere misure severe.
Tuttavia, se i loro membri sono invitati a rivolgersi liberamente ai loro responsabili - il termine moderatores deve essere inteso in questo senso, nel contesto - e possono farlo si velint, se vogliono, bisogna però notare che abusi simili a quelli che abbiamo segnalato presso i religiosi, sono possibili per il fatto delle distanze, dei pochi responsabili, del tipo di accompagnamento che esiste in certi istituti, dove candidati e persone in formazione sono affidati individualmente a una persona determinata.
Questa pratica presenta dei vantaggi: aumenta la partecipazione dei membri alla vita dell'istituto, ma può anch'essa prescindere dalla competenza di quelli che dirigono o " accompagnano " la persona in questione.
I responsabili maggiori sono su questo punto obbligati a una vigilanza reale ed efficace.
Raffrontando le norme date per gli istituti secolari con quelle che il Codice enuncia per i religiosi, si rileveranno molti punti di cui almeno il diritto particolare di ogni istituto secolare deve fare menzione.
è esplicitamente menzionata nel c. 663 § 3.
Nessuna norma generale e rigida vi è data.
Una certa partecipazione alla lode divina della Chiesa può essere auspicabile negli istituii secolari.
Il c. 1174 § 1 rimanda agli statuti.
Essa è del resto consigliata ai laici ( c. 1174 § 2 ).
Tuttavia, un ufficio semplificato e adattato alla vita secolare potrebbe essere non soltanto utile, ma desiderabile.
Conosciamo esperimenti del genere.
Sono importanti una scelta appropriata a una lettura intelligibile in piena vita secolare, una recita regolare favorita durante tutto un tempo liturgico determinato, letture brevi, facili, ben inserite nel contesto di vita.
inculcato nel c. 663 § 4, non è in alcun modo menzionato nel c. 719.
Una norma comune a tutti gli istituti di vita consacrata sarebbe stata utile e auspicabile.
Si comprende difficilmente il silenzio del Codice su questo punto nel c. 719.
Notiamo del resto che la recita del rosario ricordata ai religiosi, non è menzionata nel c. 276 § 2,3° riguardante i chierici; essa è raccomandata ai seminaristi nel c. 246 § 3.
Poiché i chierici, membri di istituti secolari, non cambiano, per il fatto della loro consacrazione, il loro stato canonico ( c. 710 ), sarà opportuno ricordare ai chierici membri di istituti secolari i loro obblighi fondamentali, definiti in questa materia dai cc. 276, 277, 279 e 281.
Poiché il diritto di associazione è loro riconosciuto dal c. 278, sarebbe stato auspicabile segnalare in questo canone l'importanza di un istituto secolare per loro stessi e per la fecondità del loro ministero.
I consigli evangelici, di cui si è voluta per un momento omettere la menzione nel decreto PO, vi hanno ricevuto un rilievo così notevole, che una affiliazione a un istituto sacerdotale o diaconale sarebbe stata proposta come utile, anzi auspicabile.
Può essere utile, a nostro avviso, mettere i canoni riguardanti la vita interiore dei chierici diocesani formati in relazione con quelli che programmeranno la loro formazione in seminario, cioè con i cc. 244-247, dove parecchi punti, inculcati in questa formazione, avrebbero potuto essere conservati nei cc. 276 e 277.
Resta infine da notare che il c. 719, se tratta della preghiera, non ha la profondità necessaria in questo àmbito per un istituto di vita consacrata.
Il c. 246 prevede per Ì seminaristi una formazione alla pratica dell'orazione mentale che permetterà loro di acquistare lo spirito di orazione e di rafforzare la propria vocazione.
Non è cosa che riguardi solo i seminaristi.
Il c. 663, da questo punto di vista, è ancora più ricco.
Parlando della contemplazione delle verità divine e di unione costante con Dio, esso situa l'orazione mentale, nutrita dalla lectio divina, in una prospettiva più progressiva e più adattata alla vita consacrata.
Secondo l'antica tradizione della Chiesa, il passaggio dalla lectio - lettura delle Scritture - alla meditatio, preghiera riflessiva, per arrivare alla preghiera più semplice, profonda, affettiva della oratio, è auspicabile per ogni vita donata a Dio, sia nel sacerdozio che nella vita consacrata.
Questa preghiera trova il suo riposo nella contemplatio, alla quale fa allusione il § 1 del c. 663.
Un primo punto deve essere notato qui: il c. 673, con il quale ha inizio il capitolo che tratta del lavoro apostolico dei religiosi, mette in rilievo che il loro primo apostolato è la testimonianza di vita, nutrita dalla preghiera e dalla penitenza.
Come abbiamo fatto rilevare, l'atto apostolico per eccellenza è in ogni vira consacrata la consacrazione di vita, fatta e vissuta in unione con la consacrazione di Cristo al Padre per la salvezza del mondo.
La testimonianza è frutto di questa consacrazione; essa è vivificata dalla preghiera e dalla penitenza.
Questa testimonianza degli istituti secolari è la loro ragion d'essere; senza testimonianza minimale, essi non sarebbero " lievito nella pasta ".
È vero che la loro preghiera ha un'irradiazione apostolica che può essere universale quanto intensa, grazie a una carità ardente e profondamente vissuta.
Quanto alla penitenza, essa è necessaria in ogni vita consacrata; nella secolarità consacrata, essa consiste spesso nell'accettazione di una situazione di riserbo e a prima vista senza influsso, la rinuncia a una attività apostolica più diretta, ma troppo pubblica per mantenere una vera consacrazione secolare.
La penitenza qui suggerita avrà le caratteristiche proprie di ogni istituto; può rispondere a una esigenza interiore personale che è bene far conoscere a un direttore di coscienza sperimentato nelle vie di Dio.
Indice |