XI stazione |
Dal Vangelo secondo Marco 15,25-27
Erano le nove del mattino quando crocifissero Gesù.
La scritta con il motivo della sua condanna diceva: "Il re dei Giudei".
Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Gesù è inchiodato sulla croce.
Una tortura tremenda.
E mentre è appeso alla croce sono in molti a deriderlo e anche a provocarlo: « Ha salvato altri e non può salvare se stesso! …
Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene.
Ha detto infatti: "Sono Figlio di Dio" » ( Mt 27,42-43 ).
Così è derisa non solo la sua persona ma anche la sua missione di salvezza, quella missione che Gesù proprio sulla croce stava portando a compimento.
Ma, nel suo intimo, Gesù conosce una sofferenza incomparabilmente maggiore, che lo fa prorompere in un grido: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" ( Mc 15,34 ).
Si tratta certo delle parole di inizio di un Salmo, che si conclude con la riaffermazione della piena fiducia in Dio.
E tuttavia sono parole da prendersi totalmente sul serio, che esprimono la prova più grande a cui è stato sottoposto Gesù.
Quante volte, di fronte a una prova, pensiamo di essere stati dimenticati o abbandonati da Dio.
O perfino siamo tentati di concludere che Dio non c'è.
Il Figlio di Dio, che ha bevuto fino in fondo il suo amaro calice e poi è risorto dai morti, ci dice invece, con tutto se stesso, con la sua vita e la sua morte, che dobbiamo fidarci di Dio.
A lui possiamo credere.