È cambiato il mondo

La MG prende atto e si lascia interrogare dalla svolta epocale in cui siamo immersi.

Il cambio culturale cui partecipiamo è radicale e profondo: riguarda la messa in discussione dei pilastri che sostenevano la costruzione di una cultura nella quale si è espresso per secoli il cristianesimo.

Alla concezione della vita come progetto si sostituisce l'elogio dell'esperienza momentanea, l'esaltazione della pluralità senza coerenza;

al primato dello spirito sulla carne succede il culto della vita che si esprime qui e adesso, senza progettualità e senza rinuncia;

al fascino dell'eternità il richiamo potente della materialità;

al riconoscimento del ruolo della volontà e dello sforzo, la legittimazione del valore delle emozioni e della dimensione del piacere.

Alla società concepita gerarchicamente, ordinata da un centro, succede la democraticità, retta dal solo consenso.

Il processo di secolarizzazione avanza.

Le grandi parole religiose e cristiane rischiano di essere svuotate da una radicale semplificazione: il "Regno di Dio" è già qui e si esprime nell'aspirazione alla vita ricca e agiata, nel fascino irresistibile che esercitano le cose concrete.

L'eternità già si realizza nel sogno dell'età della vita che si prolunga indefinitivamente; il dogma del Dio trinitario si svuota nel mito politeista dell'individualismo: siamo tutti uguali e tutti diversi, incommensurabili, quindi "indiscutibili": il tuo parere vale come il mio; divino diventa l'aggettivo con cui si onorano i nuovi idoli del tempo, sotto forma di personaggi o stili di vita, il culto del corpo giovane e bello.

Viviamo in una società completamente aperta, senza centro e senza direzioni: tutto può essere diverso e nulla è prevedibile.

La sovrabbondanza delle possibilità, la condanna a scegliere senza fine, rende gli individui tendenzialmente indifferenti ad ogni differenza.

Coerenza e progettualità possono anche apparire di ostacolo: la possibilità affascina e invita alla prova.

Nulla potrebbe apparire più lontano alla mentalità della vita come prova ed esperimento del messaggio biblico della conversione.

Nel relativismo totale nessuno mi può mettere in discussione: ognuno la pensa a suo modo, quindi il mio pensiero è assoluto.

Anche la banalità ha la sua funzione, anche l'errore fa parte del nostro modo di essere.

Non esiste il peccato: al limite si può errare, nel senso di andare un po' qui e un po' là, ma ciò è semplicemente umano.

I nuovi maestri della felicità ( psicologi, analisti, guru di ogni genere ) insegnano ad accettarci come siamo, a riconoscere e ad approdare alla gioia del vivere come si è.

Qui affonda le sue radici la cultura giovanile del primato delle emozioni, dell'appagamento, dell'effimero, della gratificazione istantanea, del presente che basta a se stesso.

Nella nostra cultura prevale il sospetto per le idee forti; l'anima non è considerata che come un modo di dire, un nodo di emozioni e di pensieri; anche i dogmi possono essere accettati, purché siano letti e interpretati come miti e metafore.

La stessa identità è intesa in termini completamente aperti: l'Io è come un gioco, un mondo plurimo, pura convergenza di esperienze eterogenee…

In tutto questo sicuramente incidono i grandi cambiamenti della nostra epoca storica: l'organizzazione mondiale dell'economia che disegna un mondo incerto, costantemente sottoposto allo stress della competizione; la nuova cultura della comunicazione moderna, che sollecita l'emozione più che la riflessione.

Le conseguenze toccano direttamente la pratica della trasmissione della fede.

Il mondo che abbiamo lasciato, per esempio, aveva il senso dell'autorità, intendeva l'insegnamento come trasmissione della verità.

Oggi la società è descritta come complessa: il suo modello è il supermercato ( l'abbondanza, l'eccedenza ), la sua metafora il telecomando ( poter scegliere, passare da un'esperienza all'altra ).

Sembriamo tutti sottoposti ad un criterio commerciale generalizzato, come se ragionassimo costantemente secondo le regole del marketing: ci concentriamo sui beni, non sulla verità; siamo preoccupati dei vantaggi, ci chiediamo "cosa serve".

Secondo questa mentalità anche la religione, anche la Chiesa devono "funzionare".

Se si va in chiesa bisogna ricavarvi qualcosa: in salute, in gratificazione personale, in posizione sociale…; se si frequenta un gruppo ci deve essere un ritorno: "vado in oratorio, lì ci sono i miei amici, mi diverto e mi trovo bene… ( Quando non mi trovassi bene, quando incontrassi altri amici smetterei di frequentare… )".

La gente vuole scegliere, sperimentare: non accetta niente in modo passivo o sulla fiducia scontata nelle istituzioni.

Nello stesso tempo esige garanzie: di non perderci, che serva a qualcosa, che sia utile…

Il potere è dato all'uditorio: è il pubblico che giudica ciò che è buono e non la parola di una qualche autorità ( salvo poi cadere succubi delle mode, delle suggestioni, delle dipendenze ).

L'enfasi è posta sulla scelta e sulla discussione ( discussioni in famiglia, a scuola, in parrocchia…): si chiede, si pretende, si valuta, si sceglie, si rimette tutto in discussione…

L'indifferenza e il non-senso investono per molti giovani il contenuto stesso dell'annuncio cristiano ( accolto e poi abbandonato ) e la stessa storia di Gesù, la possibilità di presentare come convincente la sua vicenda, il suo messaggio, la sua risurrezione.

Molti giovani vedono che senza fede si vive lo stesso e sembrano non farsene un problema.

La MG è consapevole di questo cambio epocale.

Non rifiuta questo nostro tempo ma non si lascia trarre in inganno: ha ancora senso ed è possibile annunciare il Vangelo!

Il percorso della fede

Per la trasmissione della fede, oltre alla testimonianza dei genitori e della comunità parrocchiale che si incontra, è indispensabile la libera e consapevole adesione personale.

È necessaria la formazione e la coerenza della vita.

È la stessa storia biblica ad indicarne la traiettoria.

Nella tradizione ebraica la trasmissione della fede era affidata principalmente alla famiglia: era responsabilità dei padri verso i figli e consisteva nel trasmettere, coltivare e sostenere nelle nuove generazioni la speranza e l'attesa di promesse grandi, proiettate nel futuro ma già in grado di illuminare e dare senso al presente; i riti più significativi venivano celebrati in casa.

Proseguendo nella sua storia, la famiglia scoprirà presto, però, di non poter resistere da sola, di fronte alle sollecitazioni delle culture vicine, di non reggere nell'educazione dei figli, di fronte ai loro ricatti e al loro fascino: la trasmissione della fede, senza sminuire l'importanza attribuita alla famiglia, sarà centralizzata, almeno in alcune delle sue espressioni del culto e della formazione.

Nell'esperienza di Gesù e della Chiesa delle origini, la trasmissione della fede riceve un ulteriore impulso, che sottolinea la dimensione della consapevolezza e della libertà personale.

L'annuncio avviene attraverso i discepoli, mediante l'insegnamento ( la franchezza della predicazione ), la testimonianza ( la differenza di vita e il martirio ) e i segni ( i prodigi nel nome di Gesù, At 4,29-31 ).

La Parola, nella sua povertà ed essenzialità, è ritenuta il vero strumento della diffusione del Vangelo.

Non si tratta di proselitismo: la forza dell'apostolo non sta nel suo potere di convincimento e di suggestione, ma nel servizio dell'accompagnamento alla ricerca di Dio nella vita personale e nelle vicende della storia.

La parola invita alla riflessione e al dialogo: per essere discepolo non è sufficiente accettare dottrine vere ma vivere nella dimensione della Grazia e della Salvezza.

La verità coincide con l'amore ( Gal 5,6 ).

I tre elementi della metodologia della trasmissione della fede nella Chiesa primitiva, ( annuncio, testimonianza e segni ) sono anche le tre attenzioni della MG.

La missione infatti è un'esperienza di prima evangelizzazione.

Domande e provocazioni per la riflessione e l'approfondimento

1. Il rinnovamento e la riqualificazione dell'educazione alla fede deve partire da un atto di coraggio: ammettere le cose come sono, rinunciare a schemi rassicuranti del passato, assumere la fatica di pensare e sperimentare forme nuove di presenza cristiana, in una cultura che ha rotto decisamente con il passato.

Condividiamo questa affermazione? Quali risposte e quali sentimenti stimola in noi?

2. La superficialità e la confusione come stile di vita sono gli ostacoli più seri verso la disposizione all'interiorità?

Come si possono affrontare? Quali sono le esperienze che più possono scuotere dall'esteriorità?

3. Come potrebbe l'annuncio evangelico provocare i giovani, se essi non sono più attraversati da grandi conflitti interiori, ma sembrano, ormai, adattati a recepire ogni novità e ogni eccesso?

Ha ancora senso, può ancora provocare la testimonianza di vita?

4. Sono possibili oggi l'indignazione e il dissenso su quanto riteniamo ingiusto e illusorio?

Possono essere utili nella trasmissione della fede? A quali condizioni?

Come evitare che i toni negativi e allarmisti, oppure la proclamazione astratta di principi impraticabili impoveriscano la testimonianza cristiana che, invece deve essere gioiosa e liberante?

Quali sono le esperienze che più aiutano a tenere viva la speranza e ad alimentare l'entusiasmo?