Dignità e perseveranza nel matrimonio |
B302-A4
- Mons. Giuseppe Pollano -
"Non hanno più vino!" ( Gv 2,3 )
Abbiamo riletto nel brano del Vangelo scelto per questa ricorrenza la materna preoccupazione della Madonna.
Queste semplicissime parole diventano simboliche per dichiarare la mancanza di qualcosa che prima c'era, che si doveva poter avere perché necessario per vivere.
È quanto noi oggi significhiamo con uno dei termini più diffusi nel nostro linguaggio: crisi.
Quello che c'era non c'è più, una sicurezza su cui ci basavamo è venuta meno, le certezze traballano, la tristezza cresce, il futuro diventa problematico.
Non avere più qualche cosa è una situazione tra le più disagevoli, e la parola crisi oggi è inserita in tutte le discipline: la psicologia, la antropologia, l'ecologia, ecc.
Dovunque la parola crisi inerisce, e ci accorgiamo di non avere più questo o quello.
Siamo al termine di una lunga discesa storica e funzionale, con trapasso dei grandi ottimismi ideologici e scientifici.
Torna in mente quella terribile parodia che fa dire: "Nada nostro che sei nel nada".
Il nulla, niente di niente.
Siamo arrivati a un punto in cui non guardiamo il domani, tanto più che non ci sarebbe una prospettiva per il futuro, secondo quanto affermano alcuni che si dicono esperti in queste informazioni.
Dico subito che io personalmente non ci credo, ed è proprio il testo evangelico che abbiamo letto a formulare non solo la situazione di crisi, ma l'anelito e la certezza della speranza.
Il suddetto brano ci riporta storicamente in una scena che va intesa nel senso ebraico.
Non dimentichiamo che l'amore nell'Antico Testamento è chiaro simbolo dell'unione a Dio.
Il vino da parte sua è simbolo dell'amore.
Nelle nozze ivi ricordate pertanto vi è anche la raffigurazione delle nozze di Dio con l'umanità.
E l'evidenziare "non hanno più vino" assume quindi anche un significato più ampio, cioè "non hanno più amore" con riguardo alle mistiche nozze con Dio.
Gli stessi recipienti di pietra, che sulla parola di Gesù saranno riempiti d'acqua, possono fare intendere la dura legge, che, per quanto rivelata, da sola non salva.
Ci vuole l'intervento di Gesù perché la dura pietra si faccia contenitore di vino, cioè di amore.
È importantissimo poter contare su Qualcuno che veramente ci liberi dalla durezza e dalla aridità, e dia nuovamente senso al futuro, in definitiva alla vita.
Siamo sinceri: le crisi le viviamo noi, ma siamo incapaci di venirne fuori e di risolverle.
Ci rendiamo conto che siamo molto abili a creare disagi, ma poi non riusciamo a rimediare.
In definitiva l'uomo si disfa da solo.
Ma Dio non l'abbandona: ed ecco il Signore Gesù.
La ragione di fondo per credere in Gesù Cristo, ragione che persiste e persevera nonostante tutti i tentativi antichi e contemporanei di abbatterla, è che Egli non è soltanto un piccolo uomo come noi, liberi, intraprendenti, critici, ma molto limitati.
È solo Lui che può dire, guardandoci: "Prima che Abramo fosse, Io sono" ( Gv 8,58 ).
E chi altro avrebbe anche solo potuto ipotizzare un'affermazione simile?
E allora in Lui non c'è la limitatezza, non c'è l'oscurità, perché Egli trascende le crisi e le difficoltà, e ci da possibilità, solo che lo vogliamo, uniti a Lui, di uscirne fuori, non solo, ma di prospettarci orizzonti di vita e di amore insperati.
È l'icona del l'acqua trasformata in vino, dell'episodio evangelico, e non in un quantitativo appena bastevole a scongiurare la carenza di approvvigionamento, e consentire il regolare compimento del banchetto, senza "figuraccie" per gli sposi, ma in misura sovrabbondante, straripante - ove si consideri la capacità delle giare - e per una qualità altamente raffinata e superiore, tante che lo sposo riceve i complimenti dal maestro di tavola per riservare il vino migliore al termine del convito.
Ecco come si ricollega la presenza vivificatrice di Gesù nel contesto dell'amore umano: non solo lo preserva dall'aridità e dal suo declino, ma lo rafforza e vitalizza ponendolo in una dimensione superiore, di perennità, di forza, di novità, di scoperta, anzi di rilevanza e di esemplarità anche soprannaturale, quanto meno riguardo alla natura del sacramento, avendo la peculiarità di testimoniare nel mondo odierno secolarizzato, e sovente sclerotizzato proprio in fatto di amore, l'Amore per eccellenza, quello di Dio per l'umanità.
Così l'amore umano, caratterizzato dal trovarsi una donna ed un uomo uno di fronte all'altra nel constatare la propria presenza accomunata nel mondo, o se vogliamo uno di fianco all'altra nel percorrere in reciproco appoggio il cammino della vita, e perciò in coppia, vede l'ingresso di Gesù nel suo intimo più profondo, lo fa partecipe del dramma insito nella sua essenza, e ne trae forza per essere sollevato sin dalla sua dimensione naturale, per l'abbondanza di umanità che Gesù riversa sugli sposi, tale da trasformare, se essi l'accettano, l'amore-eros in amore-agape, così come ha trasformato l'acqua in vino.
Il festeggiare un anniversario di nozze è senza dubbio constatare come, con molto realismo, si è cercato di capire il coniuge, rivestendosi reciprocamente di molta compassione.
Ma è anche attestare che il mutuo compatimento non basta perché un amore decolli sicuro e non subisca tracolli.
Occorre rivestirsi di Cristo, anzi incorporarsi in Lui, mistico Sposo di ogni persona, prototipo assoluto dell'amore senza limiti, che ha posto nell'albero della Croce la sua stanza nuziale.
È da Lui che possiamo trarre l'autentica compassione, l'umiltà che non traligna, la mitezza che non oltraggia, la delicatezza che tende a fare di tutto un dono.
Proviamo a praticare questi atteggiamenti anche solo ad una giornata della nostra vita, e ne trarremo frutti sublimi: non si tratta invero di virtù riservate ai monaci o alle suore, ma proprie del Cristiano, e in particolare per gli sposi.
In questi 50 anni gli sposi che oggi festeggiamo hanno imparato, dal loro amore nuziale, come Cristo sia veramente il cuore del mondo, autentica garanzia della fiamma che alita nel cuore degli sposi in Gesù.
E tutto ciò è arricchimento anche sul piano naturale, poiché Dio, attraverso Gesù Cristo, porta incremento all'umanità di ogni persona che a Lui si affidi, venendo incontro alla nostra disperata povertà.
È vivendo il matrimonio nella sua essenza sacramentale che essi hanno imparato ad essere aperti l'una all'altro, hanno constatato che questa apertura arricchiva le loro vite, ben lungi dall'impoverirle.
Voi qui presenti siete nati per questa apertura all'amore, che si fa carico, si prende cura delle persone amate.
Rivestiamoci di questo amore, che è carità teologale, che è agape!
È un amore per il quale riusciamo a perdonarci sempre, risoluti a riprendere il cammino anche quando ci siano difficoltà di qualsiasi genere, interiori ed esterne.
Questa logica supera certamente quella umana, ma non dimentichiamo che Dio, a cui crediamo, è Carità, ma è altresì il Logos, ossia l'intelligenza suprema e manifesta.
La logica di Dio-Amore è più forte della mia e della vostra, ed è per questo che mi fido, che ci fidiamo di Lui.