La fede celebrata |
B322-A3
Per una, lettura sapienziale e spirituale del testo biblico in dialogo con i pensatori di ieri e di oggi.
( Le prime tre parti dello scritto nei bollettini nn. 310, 311 e 312 ).
Il sacramento della riconciliazione
Il sacramento della riconciliazione è un segno che rende presente in modo efficace la potenza di Dio, in cui la stessa miseria umana è l'occasione perché Dio manifesti la sua infinita misericordia; pare che dopo l'avvento di Papa Francesco, che chiede perdono, questo sacramento stia ritrovando visibilmente la sua grande importanza nella vita cristiana.
Celebrare la fede significa tenere presente tutto questo!
Vuol dire che la fede si muove in un continuo rimando dal tempo all'eterno, dall'umano al divino.
Sentirsi al centro di una realtà che è viva, dinamica, attraverso ai segni più semplici e fragili.
Celebrare la fede non è soltanto un rito, ma è un mistero, una realtà divina che si attua nella dimensione visibile dell'umanità, della storia.
Tutto questo è affidato alla Chiesa, che celebra la sua fede attraverso ai sacramenti, più che "amministrare i sacramenti, come si diceva in passato, evitando che la cosa degeneri in abitudine, e si spenga in noi lo stupore e la meraviglia, il nostro continuo sentire di essere al centro di un misterioso incontro con Dio, con l'eternità, che va oltre la nostra comprensione.
Questo significa celebrare la fede, esprimere nella dimensione della fede ciò che Giovanni proclama nel prologo del suo vangelo.
" Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria del Figlio unigenito di Dio, Figlio unigenito di Dio, pieno di grazia e di verità" ( Gv 1,14 ).
Quadro ricamato della Groblen: "L'amore e la fede" - Taranto
Avviandoci alla conclusione, ancora una breve riflessione sul sacramento dell'Eucarestia, sul Sacrificio eucaristico, definito dal Vaticano II, "sorgente e vertice" di tutta la vita cristiana ( " culimen et fons" Cost. Lumen gentium, 11 ), tutta la vita cristiana scaturisce infatti dalla Eucarestia e ad essa ritorna.
Anzitutto il valore sacrificale del segno sacramentale: "il corpo dato e il sangue sparso", gli elementi del pane e del vino separati, distinti.
Quindi il segno si presenta in forma di cibo e bevanda, elementi consumati, che sono frutto della terra da cui provengono e della fatica dell'uomo, associato a Cristo nella sua sofferenza, nelle difficoltà della vita, l'insieme di tanti chicchi di grano e tanti acini d'uva a costituire quel pane e quel vino, tutti segni di una presenza misteriosa che non è quella che si vede e si tocca.
L'Eucarestia non è soltanto l'occasione di stare a mensa insieme, ma innanzitutto il sacrificio di Cristo, che si fa nutrimento e ci trasforma in Lui.
Dall'Eucarestia nasce l'unita, dei credenti in una fratellanza che è dono del Dio presente, e non soltanto filantropia.
Celebrare la fede significa esplorare questi segni che ci aiutano a comprendere ciò che il segno non soltanto indica, ma produce, cioè la capacità di realizzare unità e carità tra i credenti, come esclamava s. Agostino "O signum unitatis! O vinculum caritatis!".
Si diceva sopra che celebrare la fede è memoria, è presenza, è anticipazione, come noi proclamiamo nella Messa dopo la consacrazione: "annunciamo, proclamiamo, attendiamo" ( cfr. O. Cullmann, Cristo e il tempo, Il mulino 1965 ).
La preghiera eucaristica III usa il termine "memoriale, una memoria che attualizza, rende reale e presente.
Non è quindi soltanto un fatto psicologico, una dimensione interiore di ricordo, ma una ripresentazione del sacrificio di Cristo, anche se misteriosa o mistica, tramite il segno sacramentale.
Questo incontro con Dio anticipa l'incontro che avverrà al termine della vita terrena.
Che cosa significa quel proclamare, subito dopo la consacrazione, quasi presi da sgomento, da ammirazione, " mistero della fede"?
É il riconoscimento del nostro limite totale, assoluto: siamo di fronte allo scacco totale non solo della ragione, ma anche dei sensi, fuori dai criteri abituali del pensiero umano.
Come anche solo immaginare che nella povertà del segno sia presente la potenza di Dio!
Occorre abbandonare considerazioni di tipo più o meno presuntuosamente culturale, mentre ci si aprono dinanzi due vie: quella del silenzio, di fronte a ciò che è l'assolutamente indicibile.
Nella celebrazione eucaristica gli spazi del silenzio dovrebbero essere ben più ampi delle parole!
Oppure abbandonarci alle parole della poesia e dell'arte, sulla traccia del genio di San Tommaso d'Aquino, nell'inno Adoro Tè devote.
"Non c'è nulla di più vero di questa parola di verità, perché l'ha detta Lui, il Figlio di Dio ( "Visus, tactus, gustus in Tè fallitur, sed auditu solo tuto creditur" ).
Il Vaticano II richiama un principio pastorale di una sapienza incomparabile.
" I riti splendano per nobile semplicità, non per cumulo di tante cose … siano chiari nella loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli, né abbiano bisogno generalmente di molte spiegazioni" ( Cosi Sacrosanctum Concilium, n. 34 ).
Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Domiuicae Coenae del 24 febbraio 1980 scriveva: " … le parole della preghiera eucaristica, specialmente quelle della consacrazione, siano pronunciate con grande umiltà e semplicità … senza fretta … in modo comprensibile … sicché i partecipanti avvertano la grandezza del mistero che si compie e lo manifestino con il loro comportamento" ( n. 9 ).
Il poeta del Novecento Clemente Rebora, un convertito fattosi religioso rosmimano, del quale è in corso la causa di beatificazione, in una serie di versi autobiografici sull'evento che aveva cambiato la sua vita, dice: "La Parola zittì le chiacchiere mie".
Cosi di fronte al mistero, fondato sulla Parola, dobbiamo, avvalendoci della formula cara al beato Rosmini, cui appunto si ispirò Rebora "adorare, tacere, godere".
Can. Valerio Andriano
( estratto da una sua lezione - segue )
Statua della Fede. situata ali esterno della Chiesa Gran Madre - Torino