Haurietis aquas |
Ma soltanto dai Vangeli veniamo a conoscere con perfetta chiarezza che la nuova alleanza stipulata tra Dio e l'umanità - di cui si era avuta la prefigurazione simbolica nell'alleanza sancita tra Dio e il popolo d'Israele per mezzo di Mosè e il preannunzio nel vaticinio di Geremia - è quella stessa che è stata attuata mediante l'opera conciliatrice di grazia del Verbo incarnato.
Questa alleanza è da stimarsi incomparabilmente più nobile e più solida, perché a differenza della precedente, non è stata sancita nel sangue di capri e di vitelli, ma nel sangue sacrosanto di colui che quelli stessi pacifici e irrazionali animali avevano prefigurato come "l'Agnello che toglie il peccato del mondo" ( Gv 1,29; Eb 9,18-28; Eb 10,1-17 ).
Ebbene, l'alleanza messianica, più ancora che l'antica, si manifesta chiaramente come un patto non ispirato da sentimenti di servitù e di timore, ma da quella amicizia che deve regnare nelle relazioni tra padre e figlio, essendo essa alimentata e consolidata da una più munifica elargizione di grazia divina e di verità, conforme alla sentenza dell'evangelista san Giovanni: "Dalla pienezza di lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia.
Perché la legge è stata data da Mosè; la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo" ( Gv 1,16-17 ).
Introdotti con le parole del "discepolo che Gesù amava e che durante la cena posò il capo sul petto di lui" ( Gv 21,23 ), nel mistero stesso dell'infinita carità del Verbo incarnato, sembra essere cosa degna e giusta, equa e salutare che noi ci soffermiamo alquanto, venerabili fratelli, nella contemplazione di così soave mistero, affinché, illuminati dalla luce che su di esso riflettono le pagine del Vangelo, possiamo anche noi esperimentare il felice adempimento del voto che l'Apostolo formulava scrivendo agli Efesini: "Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede, e voi, radicati e fortificati in amore, siate resi capaci di comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l'altezza e la profondità, e intendere questo amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio" ( Ef 3,17-19 ).
Il mistero della divina redenzione è primariamente e naturalmente un mistero d'amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della croce, offerto con animo amante e obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante e infinita per le colpe del genere umano: "Cristo soffrendo per carità e obbedienza, offri a Dio qualche cosa di maggior valore, che non esigesse la compensazione per tutte le offese fatte a Dio dal genere umano".
E inoltre mistero di amore misericordioso dell'augusta Trinità e del Redentore divino verso l'intera umanità, poiché essendo questa del tutto incapace di offrire a Dio una soddisfazione degna per i propri delitti,8 Cristo, mediante le inscrutabili ricchezze di meriti che si acquistò con l'effusione del suo preziosissimo sangue, poté ristabilire quel patto di amicizia tra Dio e gli uomini che era stato una prima volta violato nel paradiso terrestre per la miserevole caduta di Adamo e poi innumerevoli volte per l'infedeltà del popolo eletto.
Pertanto il divin Redentore - come legittimo e perfetto mediatore nostro - avendo, sotto lo stimolo di un'accesissima carità per noi, conciliati perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l'autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia che costituisce l'assoluta trascendenza dei mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall'angelico dottore in queste parole: "Giova osservare che la liberazione dell'uomo mediante la passione di Cristo fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia.
Alla giustizia anzitutto perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l'uomo fu liberato.
Alla misericordia, poi, perché non essendo l'uomo in grado di soddisfare per il peccato di tutta l'umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo.
E questo fu segno di più abbondante misericordia che se egli avesse perdonato i nostri peccati senza esigere alcuna soddisfazione.
Perciò sta scritto: "Dio ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava, pur essendo noi morti, ci risuscitò in Cristo" ( Ef 2,4 )".9
Ma, affinché possiamo veramente, per quanto è consentito a uomini mortali, "comprendere con tutti i santi, qual sia la larghezza e la lunghezza e l'altezza e la profondità" ( Ef 3,18 ) dell'arcana carità del Verbo incarnato verso il suo celeste Padre e verso gli uomini macchiati di tante colpe, occorre tener ben presente che il suo amore non fu unicamente spirituale, come si addice a Dio, poiché "Dio è spirito" ( Gv 4,24 ).
Indubbiamente d'indole puramente spirituale fu l'amore nutrito da Dio per i nostri progenitori e per il popolo ebraico; perciò le espressioni di amore umano, sia coniugale sia paterno, che si leggono nei salmi, negli scritti dei profeti e nel Cantico dei cantici, sono indizi e simboli di una dilezione verissima ma del tutto spirituale, con la quale Dio amava il genere umano; al contrario, l'amore che spira dal Vangelo, dalle Lettere degli apostoli e dalle pagine dell'Apocalisse, dov'è descritto altresì l'amore del cuore di Gesù Cristo, non comprende solo la carità divina, ma si estende ai sentimenti dell'affetto umano.
Per chiunque fa professione di fede cattolica, è questa una verità inconcussa.
Il Verbo di Dio, infatti, non ha assunto un corpo illusorio e fittizio, come già nel primo secolo dell'èra cristiana osarono affermare alcuni eretici, attirandosi la condanna dell'apostolo san Giovanni con queste severissime parole: "Poiché sono usciti per il mondo molti seduttori, i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne: questi è il seduttore, è l'anticristo" ( 2 Gv 7 ); ma realmente egli ha unito alla sua divina Persona una natura umana individua, integra e perfetta, concepita nel seno purissimo di Maria Vergine per virtù dello Spirito Santo ( Lc 1,35 ).
Niente dunque mancò alla natura umana, assunta dal Verbo di Dio; in verità egli la possedette senza alcuna diminuzione, senza alcuna alterazione, tanto nei suoi elementi costitutivi spirituali quanto in quelli corporali, vale a dire: dotata di intelligenza e di volontà e delle altre facoltà conoscitive interne ed esterne; dotata parimenti delle potenze affettive e sensitive e di tutte le loro naturali passioni.
È questo l'insegnamento della chiesa cattolica, sanzionato e solennemente confermato dai romani pontefici e dai concili ecumenici: "Integro nelle sue proprietà, integro nelle nostre".10
"Perfetto nella divinità e perfetto nell'umanità".11
"Tutto Dio ( s'è fatto ) uomo, e tutto l'uomo ( sussiste in ) Dio".12
Non essendovi alcun dubbio che Gesù Cristo abbia posseduto un vero corpo umano, dotato di tutti i sentimenti che gli sono propri, tra i quali ha chiaramente il primato l'amore, è altresì verissimo che egli fu provvisto di un cuore fisico in tutto simile al nostro, non essendo possibile che la vita umana, priva di questo eccellentissimo membro dei corpo, abbia la sua connaturale attività affettiva.
Pertanto il cuore di Gesù Cristo, unito ipostaticamente alla persona divina del Verbo, dovette indubbiamente palpitare d'amore e di ogni altro affetto sensibile; questi sentimenti però erano talmente conformi e consoni alla volontà umana ricolma di carità divina, e con lo stesso amore infinito che il Figlio ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo, che mai tra questi tre amori si interpose alcunché di contrario e di discorde.13
Tuttavia il fatto che il Verbo di Dio abbia assunto una natura umana vera e perfetta, e si sia plasmato e modellato un cuore di carne che, non meno del nostro, fosse capace di soffrire e di essere trafitto, questo fatto, diciamo, se non è posto e considerato nella luce che emana non solo dall'unione ipostatica e sostanziale, ma anche dall'umana redenzione, che è per cosi dire il complemento di quella, potrebbe ad alcuni apparire "scandalo" e "stoltezza", come infatti tale sembrò "Cristo crocifisso" ai giudei e ai gentili ( 1 Cor 1,23 ).
Orbene, i documenti autentici della fede, perfettamente concordi con le divine Scritture, ci assicurano che il Figlio unigenito di Dio ha assunto la natura umana passibile e mortale in vista principalmente del sacrificio cruento della croce, che egli desiderava offrire allo scopo di compiere l'opera dell'umana salute.
Questo del resto l'insegnamento espresso dell'Apostolo delle genti: "Poiché e chi santifica e i santificati provengono tutti da uno, è per questo che non ha scrupolo a chiamarli fratelli dicendo: "Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli".
E ancora: "Eccomi io e i figliuoli che Dio mi ha dato".
Poiché dunque i figliuoli partecipano del sangue e della carne, anch'egli ne ebbe ugualmente parte …
Ne deriva che egli in tutto doveva essere fatto simile ai suoi fratelli, per diventare misericordioso e fedele sacerdote nelle cose divine, affinché fossero espiate le colpe del popolo.
Proprio per il fatto di essere stato lui provato e avere sofferto, per questo può venire in aiuto a quelli che sono nella prova" ( Eb 2,11-14.17-18 ).
I santi padri, veridici testimoni della divina rivelazione, compresero molto bene, dietro il chiaro insegnamento dell'apostolo Paolo, che il mistero dell'amore divino è in pari tempo il fondamento e il culmine sia dell'incarnazione, sia della redenzione.
Infatti nei loro scritti sono frequenti e luminosi i passi nei quali si legge che lo scopo per cui Gesù Cristo assunse una natura umana integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile.
S. Giustino, quasi facendo eco alle parole dell'Apostolo, scrive: "Noi adoriamo e amiamo il Verbo nato dall'ingenito e ineffabile Dio.
Egli in verità si è fatto uomo per noi affinché, resosi partecipe delle nostre umane affezioni, recasse ad esse il rimedio".14
S. Basilio poi, il primo dei tre padri cappàdoci, afferma decisamente che gli affetti sensibili di Cristo furono a un tempo veri e santi: "Benché sia a tutti noto che il Signore ha assunto gli affetti naturali per confermare la realtà dell'incarnazione, vera e non fittizia; tuttavia egli respinse da sé gli affetti disordinati che inquinano la purezza della nostra vita, perché li ritenne indegni della sua incontaminata divinità".15
Anche per s. Giovanni Crisostomo, il più illustre decoro della chiesa antiochena, le emozioni sensibili cui andò soggetto il Redentore divino cooperarono mirabilmente a comprovare che egli aveva assunto una natura umana integra sotto ogni aspetto: "Infatti se egli non fosse stato della nostra natura, non avrebbe pianto per ben due volte".16
Fra i padri latini meritano di essere ricordati coloro che la chiesa onora oggi tra i principali suoi dottori.
Così s. Ambrogio vede nell'unione ipostatica la sorgente naturale degli affetti e commozioni sensibili cui andò soggetto il Verbo di Dio fatto uomo: "Pertanto, poiché egli assunse l'anima, ne assunse parimenti le passioni; in quanto Dio infatti, com'egli era, non avrebbe potuto né turbarsi né morire".17
Anche s. Girolamo dall'esistenza in Cristo di quelle affezioni sensibili trae l'argomento più persuasivo per asserire che egli aveva realmente assunta l'umana natura: Il Signore nostro, per manifestare che aveva veramente unita alla sua persona la natura dell'uomo, soggiacque veramente alla tristezza.18
Sant'Agostino poi in modo particolare rileva l'intimo nesso che esiste tra le affezioni sensibili del Verbo incarnato e il fine dell'umana redenzione: "Ora il Signore Gesù assunse questi sentimenti della fragile natura umana, come la carne stessa che fa parte della inferma natura dell'uomo e la morte dell'umana carne, non spinto dal bisogno della sua condizione ( divina ), ma stimolato dalla sua libera volontà di usarci misericordia; allo scopo cioè di offrire in se stesso, al suo corpo che è la chiesa, di cui si degnò farsi capo, vale a dire, alle sue membra che sono i suoi santi e i suoi fedeli, il modello da imitare.
In modo che se ad alcuno di loro, sotto l'assalto delle umane tentazioni, accadesse di rattristarsi e soffrire, non per questo stimasse di essersi sottratto all'influsso della sua grazia; e comprendesse che tali afflizioni non sono peccati, ma solo indizi dell'umana passibilità.
Così il suo mistico corpo, simile a un coro di voci che s'accorda a quella di chi dà l'intonazione, avrebbe imparato dal suo proprio capo".19
Più concisamente, ma non meno efficacemente, manifestano la dottrina della chiesa i seguenti testi di san Giovanni Damasceno: "Certamente Dio mi ha assunto tutto, e tutto si è unito a tutto, affinché recasse la salvezza a tutto l'uomo.
Poiché altrimenti non avrebbe potuto essere sanato, ciò che non fosse stato assunto".20
"Cristo, dunque, assunse tutto, per tutto santificare".21
Bisogna tuttavia riconoscere che né gli autori sacri, né i padri della chiesa, sia nei testi riferiti sia in molti altri simili, che non abbiamo riportato, pur affermando chiaramente che Gesù Cristo fosse dotato di affezioni, che commovevano il suo animo, e pur mettendo in stretto rapporto l'assunzione dell'umana natura con lo scopo della nostra eterna salvezza prefissosi da Cristo, mai pongono in esplicito rilievo il nesso esistente tra gli affetti e il cuore fisico del Salvatore, così da indicare in esso espressamente il simbolo del suo amore infinito.
Ma, se gli evangelisti e gli altri sacri scrittori non ci rivelano direttamente gli affetti vari che nel ritmo pulsante del cuore del Redentore nostro, non meno vivo e sensibile dei nostro, dovettero indubbiamente produrre le passioni del suo animo e il ridondante amore della sua duplice volontà, divina e umana, essi mettono però in evidenza l'amore e tutti gli altri sentimenti con esso connessi, cioè il desiderio, la letizia, la tristezza, il timore, l'ira, secondo che si manifestavano attraverso il suo sguardo, le parole, i gesti.
E certamente il volto del nostro Salvatore adorabile fu certamente indice e quasi specchio fedelissimo di quelle affezioni, che, commovendo in vari modi il suo animo, a somiglianza di onde che si ripercuotono sulle opposte rive, raggiungevano il suo cuore santissimo e ne eccitavano i battiti.
In verità, anche a proposito di Cristo, vale quanto l'angelico Dottore, ammaestrato dalla comune esperienza, osserva in materia di psicologia umana e dei fenomeni a essa connessi: "Il turbamento dell'ira raggiunge anche le membra esterne; e soprattutto si fa notare in quelle membra, nelle quali più apertamente si riflette l'influsso del cuore, come negli occhi, nel volto e nella lingua".22
A buon diritto, dunque, il cuore del Verbo incarnato è considerato come il principale indice e simbolo di quel triplice amore, col quale il divino Redentore ha amato e continuamente ama l'eterno Padre e l'umanità.
Esso, cioè, è anzitutto il simbolo di quell'amore divino, che egli ha comune con il Padre e con lo Spirito Santo, ma che soltanto in lui, perché Verbo fatto carne, si manifesta a noi attraverso il fragile e caduco corpo umano, "poiché in esso abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" ( Col 2,9 ).
Inoltre, il cuore di Cristo è il simbolo di quell'ardentissima carità che, infusa nella sua anima, costituisce la preziosa dote della sua volontà umana e i cui atti sono illuminati e diretti da una duplice perfettissima scienza, la beata e l'infusa.23
Finalmente - e ciò in modo ancor più diretto e naturale - il cuore di Gesù è il simbolo del suo amore sensibile, giacché il corpo di Gesù Cristo, plasmato nel seno castissimo della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, supera in perfezione e quindi in capacità percettiva ogni altro organismo umano.24
Edotti allora dai sacri testi e dagli autentici documenti della fede cattolica sulla perfetta consonanza e armonia regnante nell'anima santissima di Gesù Cristo, e sull'aver egli manifestamente diretto al fine della nostra Redenzione il triplice amore, noi possiamo con ogni sicurezza contemplare e venerare nel cuore del divin Redentore l'immagine eloquente della sua carità e il documento dell'avvenuta nostra redenzione, come pure quasi la mistica scala per salire all'amplesso di "Dio Salvatore nostro" ( Tt 3,4 ).
Perciò nelle sue parole, negli atti, negli insegnamenti, nei miracoli e specialmente nelle opere che più luminosamente testimoniano il suo amore per noi - come l'istituzione della divina Eucaristia, la sua dolorosa passione e morte, la donazione della sua santissima Madre, la fondazione della chiesa, la missione dello Spirito sugli apostoli e su tutti i credenti - in tutte queste opere, ripetiamo, noi dobbiamo ammirare altrettante testimonianze del suo triplice amore; e meditare con animo pieno d'amore i battiti del suo cuore, con i quali sembrò che egli misurasse gli attimi di tempo dei suo pellegrinaggio terreno, fino al supremo istante, in cui, come ci attestano gli evangelisti, "dopo aver di nuovo gridato con gran voce, disse: tutto è compiuto. E chinato il capo, rese lo spirito" ( Mt 27,50; Gv 19,30 ).
Allora il battito del suo cuore si arrestò, e il suo amore sensibile rimase come sospeso fino all'istante della risurrezione gloriosa.
Unitasi quindi nuovamente l'anima del Redentore vittorioso della morte al suo corpo glorificato, il cuore suo sacratissimo riprese il suo battito regolare e da allora non ha mai cessato né cesserà di significare con ritmo ormai divenuto per sempre calmo e imperturbabile, il triplice amore che vincola il Figlio di Dio al suo celeste Padre e all'intera comunità umana, di cui è, con pieno diritto, il mistico Capo.
Indice |
8 | Summa theol.,
III, q. 48, a. 2 Pio XI, Miserentissimus Redemptor |
9 | Summa theol., III, q. 46, a. 1 ad 3 |
10 | S. Leo Magnum, Epist. dogrn. "Lectis dilectionis tuae" ad Flavianum, Const. Patr., 13 iun. 449: PL 54, 763; COD 78/20-21 |
11 | Conc. Chalced. (a. 451) |
12 | S. Gelasius, Tract. III: "Necessarium" De duabus naturis in Christo: A. THIEL, Epist. rom. pont. a s. Hilaro usque ad Pelagium II, p. 532 |
13 | Summa theol., III, q. 15, a. 4; q. 18, a. 6 |
14 | Apol. 11, 13: PG 6, 465 |
15 | Epist. 261, 3 |
16 | In Ioann., hom. 63, 2: PG 59, 350 |
17 | De fide ad Gratianum, 11, 7, 56: PL 16, 594 |
18 | Super Matth. 26, 37: PL 26, 205 |
19 | Enarr. in Ps. 87, 3 |
20 | De fide orth. 111, 6: PG 94, 1006 |
21 | De fide orth., 111, 20: PG 94, 1081 |
22 | Summa theol., I-II, q. 48, a. 4 |
23 | Summa theol., III, q. 9, aa. 1-3 |
24 | Summa theol, III, q. 33, a. 2 ad 3; q. 46, a. 6 |