Proviamo a capirci |
Un'esperienza comune, per chi vive in campagna o ha una casa con un giardino, è quella di dover fare i conti con le erbacce.
Non le si vorrebbe perché ostacolano il passaggio, oppure perché rendono brutto l'ambiente.
Alcune hanno radici profonde e resistenti, per cui non si riesce ad estirparle ed allora non resta altra scelta se non attrezzarsi con una falce o con le cesoie e tagliarle.
Tagliandole però le si sottopone ad una potatura radicale che, come tutte le potature, rinforza le piante, per cui dopo qualche tempo ricrescono più sane, robuste e rigogliose di prima.
Si è perciò costretti ad intervenire nuovamente, per poi vederle ricrescere, tagliarle di nuovo e così via.
Arriva il momento in cui, se ci si ferma per un attimo a riflettere, non si capisce più se si tagliano le erbacce perché crescono o se le erbacce crescono perché le si taglia.
Ciò che si fa per eliminarle crea le condizioni che costringeranno a tagliarle di nuovo.
Si è messo in moto un meccanismo per il quale tagliare le erbacce è ciò che serve per risolvere il problema ma è contemporaneamente la causa del ripetersi dello stesso problema.
I meccanismi di questo genere vengono chiamati « circolari », perché, come nell'esempio, causa ed effetto si rincorrono a vicenda scambiandosi tra di loro in un girotondo apparentemente senza fine, così come fa il cagnolino che si morde la coda.
Nei rapporti tra esseri umani - quindi nei nostri collegamenti vitali - le situazioni che presentano questa caratteristica della circolarità costituiscono la regola.
In un negozio l'esercente sta servendo una cliente.
Dice tra sé e sé: « Questa signora fa spesso spese importanti da me, perciò la voglio servire bene ».
A sua volta la cliente pensa: « In questo negozio mi trattano bene e quindi preferisco servirmi da loro ».
La premura del negoziante per la cliente la induce a continuare a rivolgersi a lui e ciò fa sì che egli continui a mettere cura particolare nel servirla, tanto che essa è portata a riservargli ancora i suoi acquisti e così via, in un ripetersi di questi due comportamenti di cui l'uno diventa la causa e l'effetto dell'altro.
Una moglie commenta in cuor suo: « Fa proprio piacere faticare in cucina per mio marito.
Vederlo mangiare in questo modo e ricevere i suoi apprezzamenti sono per me il miglior premio ».
Il marito pensa: « Sono proprio fortunato ad avere per moglie una così brava cuoca ».
Il marito apprezza la moglie perché è abile in cucina o ... la moglie si da da fare in cucina perché il marito apprezza la sua capacità tra i fornelli?
Giulio va bene nei suoi studi.
Certo, gli costa fatica studiare; ma vede i suoi sforzi premiati quando nelle interrogazioni i professori gli danno un bei voto e lui si sente così invogliato a fare sempre meglio.
Gli insegnanti, per parte loro, non hanno difficoltà a dare una buona valutazione a Giulio, vista la sua preparazione.
Allora, i professori danno un buon voto a Giulio perché si prepara bene per le interrogazioni o ... Giulio si prepara bene per le interrogazioni perché i professori lo premiano con una buona votazione?
E il giorno di paga in una piccola officina.
Il titolare distribuisce le buste con la retribuzione: « Visto che avete lavorato, io vi pago ».
E gli operai: « Visto che tu ci paghi, noi lavoriamo ».
In tutti questi casi ci sono le condizioni affinché si stabilisca un meccanismo di circolarità comportante il ripetersi nel tempo del rispettivo modo di rapportarsi da parte di entrambi, dato che ciò permette di stare bene a tutti e due.
Ciascuno dei due interlocutori coinvolti è quindi naturalmente portato a ripetere il suo comportamento e questa ripetizione induce a sua volta l'altro a fargli eco con la sua risposta, in una specie di moto perpetuo che si autoalimenta.
Le premesse su cui basa il funzionamento di questi meccanismi sono facilmente spiegabili richiamando i collegamenti vitali incontrati nel primo capitolo.
Come ricordiamo, la comunicazione è una successione di tentativi dell'individuo di stabilire collegamenti vitali coi suoi possibili interlocutori, in quanto li ritiene adatti a soddisfare quei bisogni cui da solo non è in grado di dare risposta.
Si è pure sottolineato come il successo di questi tentativi è legato alla consapevolezza da parte dell'interlocutore che aderirvi permette di trovare soddisfazione anche ad un proprio bisogno: comunicare diventa pertanto un collegamento vitale per entrambi.
Ognuno dei due ottiene dall'altro la risposta che serve e si rende conto che offrire la sua risposta comporta avere di ritorno il comportamento dell'altro che lo aiuta a stare bene.
Quando esiste questa coincidenza, le persone sono a loro agio e la comunicazione funziona bene, tanto da indurre i due protagonisti a ripetere nel tempo lo schema che ha soddisfatto entrambi; schema che potremmo chiamare « circolo virtuoso relazionale », proprio per la sua tendenza a replicarsi.
Bisogna però tenere conto del fatto che non sempre le cose vanno in questo modo.
Possiamo ad esempio pensare al caso in cui qualcuno, attratto in un tentativo di comunicazione e non trovando questa corrispondenza, si sottrae alla comunicazione o, meglio, comunica la sua intenzione di non comunicare.
Potrà evitare l'interlocutore, potrà dire espressamente che vuole essere lasciato in pace, potrà non farsi trovare e così via.
Esistono però situazioni in cui ciò non è possibile, in cui i due sono obbligati a comunicare, come nel caso di moglie e marito, o di genitori e figli, o di insegnante e allievo, o di capo e subordinato.
In tutti questi casi l'esistenza di legami vincola reciprocamente i due interlocutori.
Accade allora che l'uno sollecita interventi che sono adatti a soddisfare le sue aspettative ed esigenze, ma che sono estranei o vanno contro alle esigenze dell'altro; quest'ultimo, di conseguenza, non aderisce alla richiesta.
Il primo è però vincolato dal legame a potersi aspettare la risposta che gli serve da questo solo interlocutore per cui, spinto dal bisogno, è obbligato ad insistere, mentre l'altro insiste nel rifiuto.
Si crea una situazione di blocco o di stallo, come direbbe l'appassionato di scacchi.
Una coppia di mezza età.
Lui rientra dopo il lavoro.
La moglie, come tutti i giorni, lo accoglie con un fuoco di fila di domande sulla giornata di lavoro e sui fatti avvenuti.
Il marito risponde a monosillabi, lei insiste, lui si chiude e la situazione si fa tesa: l'uno in poltrona, l'altra in cucina.
Immaginiamo di essere presenti alla scena e di rivolgerci alla signora per farci spiegare i motivi del suo fare così insistente.
Ci risponde: « Sono costretta a comportarmi così dal mutismo di mio marito.
In questo modo, se non altro, riesco a farmi dire le cose più importanti ed evitare che con il tempo finiamo per diventare due estranei.
Se lui parlasse di più certo non sarei costretta a fargli tutte queste domande ».
Al marito chiediamo di dirci il perché del suo comportamento così evasivo.
« Come posso fare diversamente di fronte a questi continui interrogatori?
Non mi va di essere indagato tutti i giorni in questo modo.
Se lei la smettesse di fare tante domande, sarei più disponibile nei suoi confronti e parlerei più volentieri ».
Questo episodio permette di fare due osservazioni molto importanti che riguardano molti casi di insuccesso nel funzionamento dei collegamenti vitali quando gli interlocutori sono legati tra di loro da un vincolo persistente.
La prima si riferisce all'ostinazione che entrambi mettono nel loro modo di rivolgersi all'altro, proprio in quel modo che crea loro tante difficoltà.
Questa ostinazione li induce a marcare con sempre maggior forza il tono del proprio intervento.
Più lui si chiude e più lei fa domande.
Più lei fa domande e più lui si chiude.
Ritroviamo, esasperato da una ripetitività ossessiva, il circolo relazionale, questa volta vizioso: come prima, più di prima ...
Una seconda conseguenza riguarda la difficoltà a risolvere questo genere di situazioni, dato che ciascuno dei due si aspetta dall'altro il primo passo: « Cesserò di farti domande quando parlerai di più »; « Parlerò di più quando cesserai di fare domande ».
Come dire: « Sarò disposto a venire incontro al tuo bisogno di essere informata ( o di non essere sottoposto ad interrogatorio ) dopo che tu avrai soddisfatto il mio bisogno di non essere sottoposto ad interrogatorio ( o di essere informata ) ».
É tempo di riconoscimenti in azienda.
Boldrini è stato escluso dal numero dei premiati con un aumento di stipendio.
A suo modo di vedere, questa è l'ennesima prova della scarsa considerazione che hanno per lui.
In particolare il suo capo non dimostra nessun apprezzamento positivo nei suoi confronti.
Boldrini si sente demotivato.
Fa il suo dovere, ma non accetta di fare nessuno sforzo in più di quanto strettamente previsto dalla sua mansione.
Non vengano a chiedergli piaceri.
Dice tra sé: « Mi trattano così? Io li ripago della stessa moneta.
Metterò impegno nel mio lavoro dopo che avranno fatto l'aumento anche a me! ».
Il capo di Boldrini ha notato che negli ultimi tempi egli è stato escluso dagli incentivi.
Gli ha più volte parlato per invitarlo a fornire una collaborazione più convincente, ma senza risultato apprezzabile.
Si rende conto delle sue attese, ma non potrà soddisfarle se non dopo che Boldrini avrà mostrato di aver cambiato atteggiamento verso il lavoro.
Ecco un altro circolo vizioso relazionale: Boldrini lavorerà meglio e di più solo dopo che avrà avuto l'aumento, l'azienda gli darà l'aumento dopo che lui avrà dimostrato di lavorare meglio.
Quanto più Boldrini rimarrà fermo nella decisione di non dare una collaborazione convinta, tanto più l'azienda sarà indotta a non premiarlo, ma quanto più l'azienda continuerà a non premiarlo, tanto più sarà demotivato e collaborerà in modo inadeguato.
Siamo sempre al cane che si morde la coda.
Troviamo un esempio molto evidente di circolo vizioso relazionale nei rapporti tra fisco e cittadini.
Più le tasse sono alte, più i cittadini - potendolo - sono indotti ad eludere il fisco.
Più però i cittadini eludono le tasse, più il fisco è costretto ad aumentarle.
« Cesseremo di aumentare le tasse quando i contribuenti faranno il loro dovere! » proclamano i ministri finanziari.
« Pagheremo le imposte solo quando il governo alleggerirà la pressione fiscale! » dicono molti cittadini.
Gli effetti di questa situazione di stallo sono sotto gli occhi di tutti.
Nelle famiglie in cui vivono persone che esagerano con l'alcool si nota spesso la presenza di circoli viziosi relazionali.
In molti casi ( anche se questo non rappresenta la regola ) l'abuso di bevande alcooliche viene motivato dagli interessati con il bisogno di darsi un tono, di ricavare quel tanto di sicurezza in sé che non sanno altrimenti come trovare.
Senza il bicchiere sembra loro di non riuscire a sentirsi all'altezza delle situazioni.
Ben sappiamo che abusare nel consumo di alcool comporta grandi rischi per la salute, dato che il perverso meccanismo dell'assuefazione rende necessaria una quantità via via sempre maggiore di alcoolici per ottenere lo stesso livello di « tono » relazionale.
In tempi anche abbastanza brevi si finisce così per diventarne dipendenti e non poterne quindi fare a meno, con conseguenze per il benessere psichico e familiare, oltre che fisico, facilmente intuibili.
In queste condizioni, accade spesso che i familiari della persona interessata dal problema dell'alcool intervengano rimproverandola, controllandola nei suoi spostamenti e nelle sue spese, sottoponendola in continuazione a domande per sapere dove è stata e cosa ha fatto.
Tutto ciò con l'evidente obiettivo di indurla a cambiare strada.
Molto spesso, così facendo, e ovviamente senza volerlo, ottengono l'effetto contrario.
Infatti, prevedendo di doversi aspettare osservazioni e pressioni, l'interessato ricorre all'alcool illudendosi che ciò lo aiuti a trovare l'energia e la sicurezza necessario per fronteggiare i familiari.
Ecco scattata la molla del circolo vizioso relazionale: quanto più forti e frequenti sono i rimproveri, tanto maggiore è il ricorso all'alcool nella speranza vana di meglio riuscire a farvi fronte; quanto maggiore è il ricorso all'alcool, tanto più aumentano i rimproveri.
Non a caso, recenti promettenti successi nella cura dell'alcoolismo sono resi possibili dal coinvolgimento nel trattamento anche dei familiari con lo scopo, tra l'altro, di facilitare il superamento proprio di questo genere di circoli viziosi relazionali.
Circoli viziosi relazionali sono presenti, e con effetti spesso drammatici, nelle famiglie con figli adolescenti.
Per i genitori, avere in casa un figlio o una figlia adolescente è in certi casi un affare serio.
Essi pensano con un po' di nostalgia a come si stava bene un tempo, solo un paio d'anni prima, quando venivano ascoltati, obbediti, seguiti.
Ora invece è una discussione continua sui doveri scolastici, sull'uso del tempo libero, sulle compagnie frequentate, sugli orari ...
Tutte quelle regole di convivenza che hanno permesso alla famiglia di organizzare fino ad allora con successo la vita comune sono messe in questione.
Eppure di regole ce n'è bisogno, dicono i genitori, altrimenti la casa diventa un albergo in cui c'è chi va e c'è chi viene a piacer suo.
La tentazione è quindi quella di tener duro e di ribadire l'impostazione familiare di sempre.
Consideriamo però anche che questi figli sono stati messi al mondo nella prospettiva di vederli crescere e rendersi via via più autonomi.
Padre e madre sarebbero i primi a lamentarsi nel caso in cui un figlio o una figlia ventenne fosse ancora attaccato alla loro gonna o ai loro calzoni.
Il fatto è che molti adulti pensano che un ragazzo fino ad un certo giorno non abbia la capacità e la maturità necessarie per ragionare da solo e che quindi debba continuare ad obbedirli e che, improvvisamente, dal giorno successivo capacità e maturità, sbocciate in una notte, facciano la loro comparsa in modo da rassicurarli sul buon uso che egli farà fin da subito della sua nascente indipendenza.
Dare autonomia ad un figlio, cioè metterlo in condizione di usare la sua mente per decidere da solo ciò che riguarda la sua vita, è invece un cammino fatto di tanti passi nel corso dei mesi e degli anni.
Ed è un cammino in cui c'è da rischiare: ricordate quel giorno - ormai sono passati tanti anni - in cui per la prima volta faceste attraversare da solo la strada a questo figlio allora bambino?
Ricordate l'ansia con la quale l'avete seguito con lo sguardo finché non raggiunse il marciapiede opposto?
In quel momento rischiaste di perderlo; ma guai a non correre quel rischio: gli avreste negato l'opportunità di muoversi liberamente nell'abitato.
Anche ora ci sono rischi da correre e talora sono rischi grossi, ma sono rischi cui non è permesso sottrarsi, perché il prezzo di un'eventuale rinuncia è il rallentamento del suo cammino verso la vita adulta.
Questo cammino, che ha avuto un andamento pressoché regolare più o meno sin verso la fine delle scuole medie, ha subito in quel momento una brusca accelerazione che, spesso inattesa, può aver trovato impreparato qualcuno.
La ragione di questo passaggio va cercata nei diversi ritmi di sviluppo delle facoltà mentali nel corso dell'infanzia e nei periodi successivi.
Fino all'età corrispondente ai primi anni delle scuole medie, il funzionamento della mente è legato ai fatti pratici, concreti e gli stimoli che la mente stessa è in grado di trattare riguardano tutto ciò che passa attraverso i cinque sensi, soprattutto ciò che può essere visto o toccato.
Di questo mondo del pensiero non fanno perciò ancora parte i ragionamenti astratti, come - ad esempio - quelli che permettono di stabilire criteri autonomi in base ai quali giudicare ciò che è bene e ciò che è male.
Questi criteri, non essendo il bambino capace di elaborarli per conto suo, vengono semplicemente presi a prestito dai genitori.
La sua propensione all'obbedienza nasce proprio dal fatto che la sua mente non è ancora capace di funzionare al livello necessario da metterlo in condizione di disobbedire ( se lo fa, è per negligenza, per imitazione o per capriccio, non per principio ).
Verso i dodici anni, approssimativamente, i processi mentali cominciano a trasformarsi e a comprendere progressivamente anche ragionamenti che riguardano idee, concetti, opinioni, giudizi.
Ciò permette al ragazzo di guardare alle cose del mondo non più solamente attraverso gli occhi dei genitori, ma anche con i propri occhi.
Ed il mondo visto con gli occhi di un ragazzo o di una ragazza è diverso da come appare attraverso gli occhi di un adulto.
Di qui le discussioni tra figli e genitori tipiche dell'adolescenza.
I collegamenti vitali dei figli sono alimentati dal bisogno di usare le loro facoltà mentali di pensiero astratto da poco conquistate e dal bisogno quindi di elaborare idee e giudizi autonomi, mentre quelli dei genitori sono sostenuti dal bisogno di guidare la vita dei figli, di evitare loro esperienze negative, di sentirsi genitori responsabili.
Il rischio di mettere in moto un circolo vizioso relazionale è dietro l'angolo: quanto più un adolescente cerca di far uso della sua nascente autonomia, tanto più i genitori possono sentire il bisogno di aumentare i loro controlli, nel timore che non ne faccia buon uso; quanto più i genitori controllano, tanto più l'adolescente è portato a reclamare la sua autonomia e a difenderla.
Tutto ciò spesso in un crescendo, con una specie di rincorsa in cui, all'accentuarsi dell'atteggiamento dell'uno, corrisponde il radicamento del comportamento degli altri.
Talvolta l'effetto di questo genere di circoli viziosi relazionali diventa talmente insostenibile da indurre i ragazzi alla fuga dalla famiglia: molti casi di allontanamento da casa da parte di adolescenti portati all'attenzione della cronaca sono l'ultimo drammatico atto tentato per rompere un circolo vizioso relazionale.
Esiste un accorgimento che può aiutare molti adulti a non cadere nella trappola.
Quando un ragazzo o una ragazza morde il freno o mette in discussione idee, impostazioni o disposizioni dei genitori, questi ultimi percepiscono facilmente tutto ciò come una mancanza di rispetto e di obbedienza verso di loro.
Di conseguenza, la loro reazione è quella di esigere rispetto e obbedienza.
Dopo quello che abbiamo detto, risulta evidente che le cose non stanno in questi termini.
Non dobbiamo pensare che quel figlio ce l'abbia con loro, ma che egli stia cercando, forse anche sbagliando, la sua strada per diventare adulto.
Se anche in questo caso, come in quello analogo esaminato parlando di comunicazione non verbale, gli adulti fossero capaci di non sentirsi chiamati in causa nel loro prestigio e nella loro autorità, sarebbe per loro molto più facilmente e soprattutto più serenamente accettabile il confronto, talvolta anche teso, con un adolescente che si trova tra le mani la novità per lui preziosa ed entusiasmante di una mente capace di funzionare da sola, una novità che è impaziente di collaudare sul palcoscenico della vita.
Cosa fare quindi per prevenire il nascere di circoli viziosi relazionali o, quando ci si incappa, per uscirne?
L'accorgimento fondamentale è quello di aver ben presente che si tratta di un circolo, cioè di una situazione in cui io faccio o dico qualche cosa capace di alimentare, in un modo che a me sfugge, proprio quella reazione del mio interlocutore che mi disturba e che a sua volta sembra costringermi a ripetere ciò che ho fatto o che ho detto.
Avere questa avvertenza permette di esaminare meglio e più da vicino il proprio involontario contributo nell'alimentare e nel far vivere i circoli viziosi relazionali in cui siamo coinvolti.
La signora Daletti è sempre indaffarata con i due figli ancora piccoli.
Dedica loro tutto il suo tempo e le sue energie per il fatto che è lasciata molto sola dal marito, il quale, dopo il lavoro, sta spesso fuori casa.
Quest'ultimo non si sente molto invogliato a tornare a casa, perché sa già che troverebbe la moglie tutta presa dai suoi doveri di madre e che, dopo cena, addormentati i bambini, sarà così stanca da addormentarsi a sua volta in poltrona.
La signora Daletti si lascia assorbire dalle cure materne perché il marito è assente e non collabora nell'allevamento dei figli; il marito è assente e non la aiuta perché lei è troppo presa dal suo ruolo di madre.
Come in tutti i circoli viziosi relazionali anche in questo caso entrambi sono portati ad accentuare il proprio comportamento, provocando così un'analoga accentuazione nel comportamento dell'interlocutore: quanto più il marito è assente, tanto più la signora dovrà dedicarsi ai figli; quanto più quest'ultima è impegnata con i figli, tanto più il marito cercherà di stare fuori di casa.
Riconoscere la circolarità di questa situazione, significa per la signora accorgersi che dipende anche da lei se il marito esce più di quando lei non vorrebbe.
Così come il signor Daletti può accorgersi che lui stesso, non collaborando a causa della sua assenza, contribuisce a creare le condizioni per cui la moglie non trova più il tempo e le energie per loro due.
Non si aspetti, il signor Daletti, di veder cambiare la loro vita di coppia dopo due pomeriggi dedicati ai figli, come non sia altrettanto ingenua la signora da sperare che tutto si normalizzi dopo che, di tanto in tanto, trova il modo di dedicare tempo a suo marito ed a se stessa.
C'è bisogno di tempo per disinquinare i collegamenti vitali dall'abitudine di aspettarsi la ripetizione del solito schema e per far rinascere la fiducia.
Non servono nemmeno dei mesi.
Serve quel tanto di costanza che assicuri del nuovo corso delle relazioni.
Qualcuno potrebbe dire altrimenti che ciascuno dei due deve « prendersi la sua parte di colpa ».
Vorremmo evitare di ragionare in questi termini, perché allora dovremmo anche dire che entrambi hanno diritto a far valere una parte di ragione e ciò finisce per lasciare le cose al punto di partenza.
É meglio restare fuori dal campo minato delle ricerche sull'innocenza e la colpevolezza, per preoccuparci delle cause e delle conseguenze.
La causa non è una colpa: dire che il signor Daletti contribuisce ad alimentare il circolo vizioso relazionale con la sua ridotta presenza in famiglia, non significa dire che è colpa sua, ma significa dire che, da persona intelligente, se vuole, può fare il primo passo ed intervenire per la parte che dipende da lui sulle cause del loro malessere di coppia.
Allo stesso modo per la moglie.
Resta il fatto che, di un eventuale coinvolgimento in un circolo vizioso relazionale, bisogna prima di tutto accorgersi.
Un buon indicatore di questa indesiderata condizione consiste nella presenza di recriminazioni da parte nostra sull'ostinazione con cui sentiamo che qualcuno lascia insoddisfatte determinate nostre aspettative.
Si tratta allora di guardare ai nostri stessi comportamenti: ci possiamo così accorgerò che all'intransigenza altrui fa in molti casi da contrappunto un'involontaria ma almeno altrettanto miope insistenza da parte nostra in atteggiamenti che provocano effetti penalizzanti anche per il nostro interlocutore.
Per quale motivo dovrebbe essere proprio lui a venirci incontro per primo?
Nell'ultimo capitolo di questo libro si prenderà in esame proprio questo interrogativo.
All'interno dei collegamenti vitali si stabiliscono meccanismi circolari in forza dei quali, all'accentuazione di un certo comportamento da parte di una persona, corrisponde un'analoga accentuazione del corrispondente comportamento di reazione dell'altra.
Questi meccanismi hanno la proprietà di alimentarsi in modo automatico e quindi di diventare ripetitivi nel tempo.
Possiamo chiamarli « circoli virtuosi relazionali » quando contribuiscono a far stare bene chi ne è implicato, « circoli viziosi relazionali » se fanno stare male.
Entrambe le persone coinvolte, senza rendersene conto, contribuiscono con il proprio comportamento a tenere in vita i circoli relazionali virtuosi o viziosi.
Riconoscere che essi si mantengono anche grazie al proprio contributo, apre la possibilità per ciascuna delle due di fare il primo passo per cercare, se necessario, di eliminarli.
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