Solitudine

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L'uomo è un essere di relazione, ma una relazione interpersonale è vera quando si è in grado di restare anche soli, quando si è abbandonata la dipendenza infantile dai genitori per accedere a una relazione matura, non fusionale, con l'altro, nell'accettazione dei propri limiti e delle proprie ferite, nella tolleranza delle inevitabili frustrazioni dei desideri e nell'assunzione della solitudine propria di ogni vita umana.

Nessuno può sfuggire all'esperienza della propria solitudine; e inevitabile che l'uomo si ritrovi solo nei momenti cruciali della sua vita e al momento di congedarsi da essa, nell'ora della morte.

Solo chi sa essere solo può vivere dei veri rapporti di comunione con gli altri.

Vi è tuttavia un volto "cattivo" della solitudine, una degenerazione che trasforma la solitudine in isolamento; e la condizione di chi è rifiutato, emarginato, abbandonato dagli altri, di chi per le ragioni più disparate non riesce a creare una relazione con l'altro.

E vi è ancora la solitudine che nasce dall'individualismo, dal disinteresse per gli altri considerati soltanto come reale o potenziale impedimento alla soddisfazione dei propri bisogni, l'isolamento e l'anonimato, condizione di vita abituale nelle grandi città.

La dimensione biblica

Questa ambivalenza della solitudine emerge anche nelle pagine bibliche soprattutto là dove essa viene rappresentata attraverso l'immagine del deserto.

C'è una solitudine benedetta nella quale Dio parla al cuore ( Os 2,16 ) e c'è una solitudine "cattiva", che non risponde al disegno di Dio sull'uomo ( Qo 4,9-12; Sal 102 ).

Nell'aridità del deserto la vita non può fiorire; il deserto e luogo del male, luogo in cui viene cacciato il capro espiatorio carico dei peccati di tutto il popolo ( Lv 16,20-22 ).

Ma il deserto è anche il luogo dell'incontro con Dio; nella solitudine, nell'essenzialità a cui l'esperienza del deserto riconduce, il popolo di Israele vive i momenti di più profonda comunione con Dio.

Nel deserto JHWH circonda di affetto paterno Israele e lo sorregge e guida quando, ancora bambino, muove i primi passi ( Os 11,1-4 ).

Il deserto è ancora il luogo dell'incontro nuziale tra JHWH e il suo popolo ( Os 2,16 ).

Nella solitudine del Monte Sinai Mosè incontra JHWH; il profeta Elia si inoltra nel deserto; Giovanni Battista predica nel deserto; Gesù si prepara alla vita pubblica con 40 giorni nel deserto e spesso si ritira a pregare il Padre in luoghi solitari ( Mc 1,35.45; Mc 6,45; Lc 4,42 ) e invita i suoi discepoli a pregare in solitudine, nel segreto della propria stanza ( Mt 6,3-6 ).

La solitudine, lotta spirituale

Il deserto, la solitudine offrono la possibilità di una conoscenza di sé, del proprio cuore fino a imparare a discernere tra le molte voci che parlano dentro di noi, la voce dello Spirito.

Tutto questo richiede una lotta spirituale.

Non appena ci si ritira in solitudine, infatti, emergono dal nostro io più profondo idee confuse, sogni, sentimenti repressi, vecchi rancori, fantasie disordinate che si proiettano dinanzi ai nostri occhi.

Dice Gesù: "Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi" ( Mc 7,21 ).

Un monaco del IV sec., Evagrio Politico, sintetizzando la tradizione spirituale del monachesimo egiziano, consigliava: "Sii come un portinaio alla porta del tuo cuore e non lasciare entrare nessun pensiero senza averlo prima interrogato.

A ogni pensiero che si affaccia chiedi: Sei dei nostri o degli avversari? ( Gs 5,13 )".

Nella solitudine il discernimento si affina e poco per volta, sostenuti dalla Parola di Dio, si impara l'arte dell'habitare secum ( abitare con se stessi ), come dicevano i monaci antichi.

Si impara cioè a conoscere e ad accettare i propri limiti e le proprie ferite, a riconoscere la volontà di Dio su di noi.

I monaci parlavano di "cella interiore" che ciascun credente deve avere dentro di sé, un luogo interiore di intimità con il Signore che portiamo ovunque con noi, anche quando lasciamo la solitudine per incontrare gli altri.

La solitudine, prova estrema

Ma la solitudine può anche essere una prova.

Il credente conosce a volte l'emarginazione e il rifiuto a motivo della sua fedeltà al Signore.

È la solitudine di Abramo, che lascia tutto in obbedienza al Signore che lo chiama, la solitudine di Giobbe incompreso nel suo dolore, la solitudine di Geremia e degli altri profeti, dei discepoli di Gesù, osteggiati e perseguitati.

Ma il Signore ha promesso: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" ( Mt 28,20 ).

Certo di questa promessa il credente è inviato ad assolvere il ministero della consolazione ( dal latino cum solo: con chi è solo ), facendosi amorevole presenza accanto a chi soffre e patisce a motivo della solitudine.

Vi è, infine, un altro genere di solitudine: quella provocata dal silenzio di Dio.

È la solitudine di Gesù in croce che grida al Padre: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" ( Mc 15,34 ).

È la solitudine in cui vissero tanti santi ( si pensi a Teresa di Lisieux e a Silvano del Monte Athos ) che anche nell'ora della tenebra continuarono con fede a invocare il Signore.

Alcuni cristiani sono chiamati a vivere la loro fede in una più grande solitudine.

I solitari non sono mai mancati nella storia della Chiesa; accanto alla solitudine radicale della vita eremitica, vi è una forma di solitudine temperata dalla vita comune ( per esempio i camaldolesi, i carmelitani ).

Quali sentinelle che vegliano nella notte, i monaci annunciano con la loro vita che ormai il Signore è vicino e qualsiasi solitudine può aprirsi al Signore ed essere trasfigurata dalla sua presenza.

Schedario biblico

Monaci C 47

Magistero

La solitudine di Gesù a volte si manifesta: ricordiamo quella volta che si accorse che non era capito: "O generazione incredula e perversa, fino a quando dovrei stare tra voi e sopportarvi?" ».

E così, ha insistito Francesco, è importante « pensare a Gesù solo, verso la croce, deciso, in mezzo all'incomprensione dei suoi: pensare questo e vedere Gesù camminare decisivamente verso la croce e ringraziarlo ».

Meditazione Francesco
3-10-2017

Concilio Ecumenico Vaticano II

Dei sacerdoti: da aiutare Presbyterorum ordinis 8
nel loro ministero non sono mai soli ma sostenuti da Dio Presbyterorum ordinis 22