Lo spirito e la lettera |
Ma dobbiamo vedere perché l'Apostolo dice: Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori. ( Rm 2,14-15 )
Può sembrare incerta la differenza del Nuovo Testamento consistente nella promessa del Signore di scrivere le sue leggi nei cuori del suo popolo, dal momento che i pagani hanno già questo per natura.
Dobbiamo dunque affrontare tale problema che non è di poco interesse.
Si obietterà infatti: "Se Dio differenzia il Nuovo Testamento dal Vecchio per il fatto che nel Vecchio scrisse la sua legge sulle tavole, nel Nuovo invece l'ha scritta nei cuori, come si distinguono i fedeli nel Nuovo Testamento dai gentili che hanno il dettame della legge scritto nei loro cuori?
Seguendo questo dettame i gentili fanno per natura ciò che la legge prescrive, e sembrano migliori di quell'antico popolo che ricevette la legge nelle tavole e anteriori al nuovo popolo al quale mediante il Testamento Nuovo si dona ciò che ad essi la natura ha già donato".
Che hanno la legge scritta nei loro cuori l'apostolo non l'ha detto forse delle genti che appartengono al Nuovo Testamento?
Bisogna infatti vedere da dove è partito per arrivare a questo argomento.
Prima dice a lode del Vangelo: Esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco.
È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. ( Rm 1,16-17 )
Dopo viene a parlare di quegli empi ai quali per la loro superbia non giovò nemmeno la conoscenza di Dio, perché non lo glorificarono o non lo ringraziarono come Dio. ( Rm 1,21 )
Successivamente passa a coloro che giudicano gli altri e pur commettono le medesime azioni che condannano negli altri, riferendosi evidentemente ai giudei che si gloriavano della legge di Dio, sebbene non li indichi ancora nominativamente, e così dice: Sdegno ed ira, tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il giudeo prima e poi per il greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il giudeo prima e poi per il greco, perché presso Dio non c'è parzialità.
Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge.
Perché non sono giusti davanti a Dio gli uditori della legge, ma saranno giustificati gli operatori della legge. ( Rm 2,8-13 )
Dopo queste parole soggiunge le altre di cui stiamo trattando: Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, ( Rm 2,14 ) con il seguito che ho già riferito sopra.
Non sembra dunque che abbia inteso qui, sotto il nome di gentili, altre persone diverse da quelle che indicava sopra, con il nome di greco, dicendo: Per il giudeo prima e poi per il greco. ( Rm 1,16 )
Ora, se il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco; se sdegno ed ira, tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il giudeo prima e poi per il greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il giudeo prima e poi per il greco; ( Rm 2,8-10 ) se questo greco è indicato con il nome dei gentili, che fanno per natura ciò che prescrive la legge e che hanno il dettame della legge scritto nei loro cuori, sicuramente appartengono al Vangelo i gentili che hanno la legge scritta nei loro cuori: appunto per essi che credono il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza.
Del resto, a quali gentili che operino rettamente potrebbe promettere gloria, onore e pace al di fuori della grazia del Vangelo?
Poiché infatti non c'è parzialità presso Dio e non sono giustificati gli uditori della legge, ma i suoi operatori, per questo tanto il giudeo quanto il greco, cioè chiunque crede tra le genti avrà ugualmente la salvezza nel Vangelo.
Non c'è infatti distinzione, come dirà in seguito: Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio; ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,22-24 )
In virtù di che cosa potrebbe dire giustificato il greco operatore della legge se non in virtù della grazia del Salvatore?
All'affermazione: Gli operatori della legge saranno giustificati, ( Rm 2,13 ) l'Apostolo non potrebbe dare un senso che vada contro di lui stesso, intendendo che sono giustificati dalle loro opere e non dalla grazia, perché egli dichiara che l'uomo viene giustificato gratuitamente per la fede indipendentemente dalle opere della legge, ( Rm 3, 24.28 ) e null'altro vuole intendere con quel "gratuitamente" se non che le opere non precedono la giustificazione.
Altrove lo dice appunto apertamente: Se è per grazia, non è per le opere, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 6,11 )
Ma la dichiarazione: Gli operatori della legge saranno giustificati la dobbiamo intendere così da presupporre che essi non possono essere operatori della legge altrimenti che con l'essere stati già prima giustificati, di modo che la giustificazione non accede agli operatori, ma la giustificazione precede gli operatori.
Che altro infatti significa "giustificati", se non "resi giusti", da colui evidentemente che giustifica l'empio ( Rm 3,24; Rm 4,5 ) perché da empio diventi giusto?
Se per esempio parlassimo così da dire: "Gli uomini saranno liberati", certo si capirebbe una liberazione che accede ad uomini già esistenti.
Se invece dicessimo: "Gli uomini saranno creati", senza dubbio non si intenderebbe la creazione di uomini già esistenti, ma che la creazione stessa faccia esistere quegli uomini.
Ugualmente se fosse stato detto: "Gli operatori della legge saranno onorati", non lo intenderemmo in modo giusto se non nel senso che l'onore accederebbe a individui che sono già operatori della legge.
Poiché invece è stato detto: Gli operatori della legge saranno giustificati, che altro è stato detto se non che "i giusti saranno giustificati"?
Infatti gli operatori della legge sono già indubbiamente giusti.
E quindi sarebbe lo stesso che dire: "Gli operatori della legge saranno creati": non che erano già, ma perché siano; di modo che similmente anche i giudei uditori della legge capissero d'aver bisogno della grazia del giustificatore per essere operatori della legge.
La frase: Saranno giustificati, può certo avere anche questo significato: "Saranno ritenuti giusti", "saranno reputati giusti", nel senso stesso in cui di quel tale è stato scritto: Egli, volendosi giustificare, ( Lc 10,29 ) cioè volendo apparire ed essere reputato giusto.
Ad esempio, altro è il senso in cui diciamo: "Dio santifica i suoi santi", e altro il senso in cui diciamo: Sia santificato il tuo nome. ( Mt 6,9 )
Nel primo caso infatti lo diciamo perché è Dio stesso che fa santi coloro che non erano santi, nel secondo caso perché il nome di Dio che è sempre santo in se stesso sia ritenuto santo anche dagli uomini, cioè sia santamente temuto.
L'Apostolo dunque, quando accennò ai pagani che osservano per natura quello che prescrive la legge e portano scritto nel cuore il dettame della legge, ( Rm 2,14-15 ) volle far intendere quelli che credono nel Cristo.
Il fatto che essi non arrivano alla fede preceduti dalla legge come i giudei, non ci deve dare il pretesto di distinguerli da coloro nel cui cuore ( Ger 31,33 ) il Signore, promettendo per mezzo del Profeta il Testamento Nuovo, disse che avrebbe scritto le sue leggi.
Infatti, come dice l'Apostolo, per l'innesto praticato all'oleastro, essi pure appartengono al medesimo olivo, cioè al medesimo popolo di Dio. ( Rm 11,24 )
Piuttosto anche questa testimonianza dell'Apostolo concorda con la testimonianza del profeta: appartenere al Testamento Nuovo vuol dire avere la legge di Dio scritta non su tavole, ma nel cuore, cioè abbracciare la giustizia della legge negli affetti intimi, dove la fede diventa operosa mediante l'amore. ( Gal 5,6 )
E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificati i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: Nel tuo nome saranno benedette tutte le genti, ( Gen 22,18 ) perché per la grazia di questa promessa l'oleastro si innestasse nell'olivo e i pagani credenti divenissero figli di Abramo nel seme di Abramo che è il Cristo, ( Gal 3, 8.16 ) imitando la fede di uno che senza aver ricevuto la legge nelle tavole e senza aver nemmeno ancora la circoncisione ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. ( Gen 15,6; Rm 4,3 )
Così quello che l'Apostolo dice di questi gentili, cioè che hanno il dettame della legge scritto nei loro cuori, ( Rm 2,15 ) coincide con quanto scrive ai Corinzi: Non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. ( 2 Cor 3,3 )
In tal modo infatti diventano membri della casa d'Israele, perché la loro incirconcisione viene ad equivalere alla circoncisione e invece di mostrare la giustizia della legge con la circoncisione della carne la custodiscono con la carità del cuore, poiché, come scrive l'Apostolo, se chi non è circonciso osserva le prescrizioni della legge, la sua non circoncisione non gli verrà forse contata come circoncisione? ( Rm 2,26 )
E conseguentemente nella casa del vero Israele, dove non c'è falsità, ( Gv 1,47 ) sono partecipi del Testamento Nuovo, perché Dio pone le sue leggi nella loro mente e le scrive nei loro cuori con il suo Dito, ( Ger 31,33; Eb 10,16 ) con lo Spirito Santo, il quale vi diffonde la carità, ( Rm 5,5 ) che è il pieno compimento della legge. ( Rm 13,10 )
Né t'impressioni il modo di dire dell'Apostolo: Per natura agiscono secondo la legge, non per lo Spirito di Dio, non per la fede, non per la grazia.
Questa è infatti l'opera dello Spirito di grazia: restaurare in noi l'immagine di Dio nella quale fummo fatti per natura.
Il vizio è contro la natura e da esso ci guarisce appunto la grazia, per la quale si dice a Dio: Pietà di me, risanami, contro di te ho peccato. ( Sal 41,5 )
Per questo è vero che gli uomini agiscono per natura secondo la legge: coloro infatti che non agiscono così è per loro vizio che non agiscono così.
E tale vizio ha cancellato la legge di Dio dai cuori, e conseguentemente quando essa, sanato il vizio, si scrive nei cuori, gli uomini agiscono per natura secondo la legge: non che per la natura sia stata negata la grazia, ma al contrario per la grazia è stata riparata la natura.
Ecco: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui, ( Rm 5,12 ) e quindi, perché non c'è distinzione, tutti sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,22-24 )
Nell'intimo dell'uomo rinnovato dalla grazia si scrive la giustizia che la colpa aveva cancellata, e questa misericordia scende sul genere umano per il Cristo Gesù nostro Signore.
Uno solo infatti è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 )
Poniamo viceversa l'ipotesi che coloro che agiscono per natura secondo la legge non siano ancora da contarsi nel numero di quelli che la grazia del Cristo giustifica, ma invece nel numero di coloro che sono ancora empi e non adoratori veri e giusti del vero Dio.
Su costoro abbiamo letto o saputo o udito fatti che secondo la regola della giustizia non solo non possiamo biasimare, ma altresì lodiamo meritamente e giustamente.
Quantunque, ad esaminare per quale fine siano compiute quelle azioni, sarebbe difficile trovarne che meritino la lode e la difesa dovute alla giustizia.
28 - Nondimeno, nell'anima umana il disordine delle passioni terrene non ha danneggiato l'immagine di Dio fino a tal punto da non lasciarvene quasi nemmeno i più piccoli lineamenti.
Perciò si può dire a ragione che gli uomini anche nell'empietà della loro vita sentono e osservano alcune prescrizioni della legge.
Ammesso che questo sia il senso delle parole: I pagani, che non hanno la legge, ossia la legge di Dio, per natura agiscono secondo la legge, e delle altre parole: Sono legge a se stessi e dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, ( Rm 2,14-15 ) ossia non è stato completamente distrutto quanto ci fu impresso con l'immagine di Dio quando gli uomini furono creati: anche in tale interpretazione rimane intatta la differenza tra il Nuovo e il Vecchio Testamento riposta nel fatto che nel Nuovo viene scritta nel cuore dei fedeli la legge di Dio, nel Vecchio sulle tavole.
Per il rinnovamento del patto si scrive nel cuore proprio ciò che non si cancellò completamente per il vecchio peccato.
Come infatti per il Nuovo Testamento si rinnova nella mente dei credenti la stessa immagine di Dio che l'empietà non aveva completamente distrutta, essendosi l'anima dell'uomo conservata necessariamente ragionevole, così anche la legge di Dio, non completamente cancellata nell'anima umana per il peccato, certamente si scrive rinnovata per la grazia.
Né di tale iscrizione, che è giustificazione, era capace nei giudei la legge scritta sulle tavole, ma era capace soltanto di favorire la prevaricazione.
Infatti essi pure erano uomini ed era innata in loro la forza della natura, per la quale l'animale ragionevole giudica e opera su alcuni punti secondo la legge.
Ma la pietà, che conduce ad un'altra vita beata ed eterna, ha una legge immacolata che converte le anime ( Sal 19,8 ) e le inonda di luce nuova, attuando in esse quello che è scritto nel salmo: Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto. ( Sal 4,7 )
Gli uomini, voltate le spalle a questa luce, hanno meritato d'invecchiare e non possono essere ringiovaniti se non dalla grazia cristiana, cioè solamente dall'intercessione del Mediatore.
Uno solo infatti è Dio e uno solo il Mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. ( 1 Tm 2,5 )
Ritorniamo su coloro di cui stiamo parlando.
Se compiono le opere della legge seguendo la natura, nel modo già sopra spiegato sufficientemente, ma sono privi della grazia del Cristo, che mai gioveranno a loro le scuse della coscienza nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini ( Rm 2,14-16 ) se non forse a farli punire con più mitezza?
Come infatti non escludono il giusto dalla vita eterna certi peccati veniali senza dei quali non si vive questa vita, così non giovano nulla all'empio per la vita eterna certe buone azioni che mancano assai difficilmente nella vita anche degli uomini peggiori.
Tuttavia, come nel regno di Dio i santi differiscono nello splendore quasi stella da stella, ( 1 Cor 15,41 ) così anche nella condanna della pena eterna Sodoma sarà trattata meno duramente di altre città ( Lc 10,12 ) ed alcuni saranno figli della geenna il doppio di altri. ( Mt 23,15 )
Così nel giudizio di Dio si terrà conto se uno avrà peccato di più o di meno di altri nella stessa empietà destinata alla condanna.
Che cosa dunque ha inteso qui indicare l'Apostolo quando, per reprimere l'orgoglio dei giudei, alle parole: Non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati ( Rm 2,13 ) ha subito aggiunto il riferimento a coloro che non hanno la legge e per natura agiscono secondo la legge? ( Rm 2,14 )
Cioè, accennando ai pagani, ha inteso coloro che partecipano della grazia del Mediatore, o non piuttosto coloro che, pur non adorando con la religione vera il vero Dio, tuttavia nella loro vita empia fanno alcune opere buone?
Oppure ha creduto di dover provare che presso Dio non c'è parzialità, come ha detto prima, e che Dio non è soltanto dei giudei, ma anche delle genti, ( Rm 3,29 ) come ha detto dopo? Infatti ha portato come argomento il fatto stesso che in quanti non hanno ricevuto la legge non si riscontrerebbero insite per natura le opere della legge, nemmeno le più piccole, se non in forza dei residui dell'immagine di Dio, che Dio non disprezza quando gli uomini credono in lui, presso il quale non c'è parzialità. ( Col 3,25 )
Ma qualunque sia l'ipotesi che si accetta tra queste, è certo che la grazia di Dio è stata promessa al Nuovo Testamento anche per mezzo del profeta [ Geremia ] e che la medesima grazia sta in questo: le leggi di Dio vengono scritte nei cuori degli uomini ( Ger 31,33 ) ed essi giungono a tale conoscenza di Dio che nessuno istruirà il suo concittadino né il suo fratello dicendo: Riconosci Dio, perché tutti lo conosceranno dal più piccolo al più grande di essi. ( Ger 31,34 )
Questo è dono dello Spirito Santo, che diffonde la carità nei nostri cuori, ( Rm 5,5 ) non una carità qualsiasi, ma la carità di Dio che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. ( 1 Tm 1,5 )
Il giusto che in questo pellegrinaggio vive di tale fede viene pure condotto alla visione dopo la conoscenza come in uno specchio, in maniera confusa, e dopo tutto ciò che è imperfetto, perché conosca faccia a faccia, come è conosciuto. ( 1 Cor 13,12 )
Questo solo infatti ha chiesto al Signore, questo solo egli brama: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della sua vita, per gustare la dolcezza del Signore. ( Sal 27,4 )
Nessuno dunque si glori di quello che gli sembra di possedere come se non l'avesse ricevuto, ( 1 Cor 4,7 ) né creda d'averlo ricevuto solo per via della lettera, che esternamente o si è manifestata per essere letta o è risuonata per essere udita.
Infatti, se la giustificazione viene dalla legge, il Cristo è morto invano. ( Gal 2,21 )
Ma se non è morto invano, allora è asceso al cielo, ha portato con sé i prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. ( Sal 68,19; Ef 4,8 )
Da lui ha chiunque ha. Chi poi nega d'avere da lui, o non ha o perderà quello che ha. ( Lc 9,18; Lc 19,26 )
Poiché, non c'è che un solo Dio, il quale giustifica con la fede i circoncisi e per la fede anche i non circoncisi. ( Rm 3,30 )
Non c'è differenza tra le espressioni con la fede e per la fede, che hanno solo lo scopo di variare il discorso.
Infatti in un altro testo parlando dei gentili, cioè degli incirconcisi, dice: La Scrittura prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani con la fede. ( Gal 3,8 )
E parlando dei circoncisi, tra cui era anche lui, dice: Noi che per nascita siamo giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato per le opere della legge, ma per la fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi nel Cristo Gesù. ( Gal 2,15-16 )
Ecco, dice che gli incirconcisi vengono giustificati con la fede e i circoncisi per la fede, purché i circoncisi abbiano la giustizia della fede.
Così anche i pagani che non ricercavano la giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla fede, impetrandola da Dio, non presumendola da se stessi.
Al contrario Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge.
E perché mai? Perché non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere, ( Rm 9,30-32 ) cioè come se l'operassero da se stessi e credessero che non era Dio a operarla in loro.
È Dio infatti che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 )
E per questo urtarono contro la pietra d'inciampo. ( Rm 9,32 )
Il senso da lui inteso nelle parole: Non dalla fede, ma dalle opere viene spiegato esplicitissimamente da lui con le altre parole: Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio.
Ora, il termine della legge è il Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede. ( Rm 10,3-4 )
E dubitiamo ancora quali siano le opere della legge che non giustificano l'uomo, se egli le ritiene sue senza che gli sia necessario l'aiuto e il dono di Dio, che viene dalla fede in Gesù Cristo?
E sospettiamo che siano la circoncisione e le altre pratiche simili, perché anche di questi sacramenti in altri testi si leggono certe affermazioni di ugual tenore?
Ma nell'ultimo testo non volevano certamente stabilire come loro propria giustizia la circoncisione, perché anch'essa la stabilì Dio con un precetto.
Né il testo si può intendere di quelle opere di cui il Signore dice loro: Voi trasgredite il comandamento di Dio per stabilire le vostre tradizioni. ( Mt 15,3; Mc 7,9 )
Ciò è escluso dall'altro testo: Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge; ( Rm 9,31 ) non dice: "che ricercava, cioè seguiva, le sue proprie tradizioni".
Questa sola dunque è la distanza: attribuivano a sé di poter osservare la stessa norma di non desiderare ( Es 20,17 ) e gli altri comandamenti santi e giusti [ della legge ], mentre a renderne possibile all'uomo la pratica Dio opera nell'uomo mediante la fede in Gesù Cristo, che è il termine della legge, perché sia data la giustizia a chiunque crede. ( Rm 7,12 )
Cioè ogni credente, incorporato al Cristo per mezzo dello Spirito e fatto suo membro, può operare la giustizia in quanto il Cristo gli dà l'incremento interiore. ( 1 Cor 3,7 )
Delle opere della giustizia anche Gesù stesso ha detto: Senza di me non potete far nulla. ( Gv 15,5 )
Per questo appunto viene proposta la giustizia della legge che fa vivere chi la mette in pratica: ( Lv 18,5 ) perché chi conosce la propria infermità giunga alla giustizia, la pratichi e viva in essa non per le sue forze, né per la lettera della stessa legge, perché è impossibile, ma conciliandosi il Giustificatore per mezzo della fede.
Compiere infatti un'opera che fa vivere chi la compie è proprio soltanto di un giustificato.
La giustificazione poi s'impetra per mezzo della fede, della quale è scritto: Non dire nel tuo cuore: - Chi salirà al cielo? -.
Questo significa farne discendere il Cristo; oppure: - Chi discenderà nell'abisso? -.
Questo significa far risalire il Cristo dai morti.
Che dice dunque? - Vicina a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore -: cioè la parola della fede che noi predichiamo.
Perché, se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. ( Rm 10,6-9 )
In tanto giusto in quanto salvo.
Per questa fede infatti noi crediamo che Dio risusciti dai morti anche noi: per ora nello spirito, affinché viviamo in questo secolo nella novità della sua grazia con temperanza, giustizia e pietà; ( Tt 2,12 ) dopo anche nella nostra carne che risorgerà all'immortalità per merito dello spirito, il quale precede la carne nella risurrezione spirituale appropriata allo spirito, cioè nella giustificazione.
Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme al Cristo nella morte, perché, come il Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. ( Rm 6,4 )
Con la fede in Gesù Cristo impetriamo dunque la salvezza: quel poco che di essa s'inizia per noi nella realtà, quanto la sua perfezione che si attende nella speranza.
Infatti chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato. ( Rm 10,13; At 2,21 )
E il salmo esclama: Quanto è grandiosa, Signore, la grandiosità della tua dolcezza, che nascondi a coloro che ti temono e di cui ricolmi coloro che sperano in te. ( Sal 31,20 )
Per la legge temiamo Dio, per la fede speriamo in Dio: ma a coloro che temono la pena si nasconde la grazia.
L'anima che soffre sotto questo timore, finché non avrà vinto la concupiscenza cattiva e non se ne sarà andato via il timore che è come un custode severo, ricorra per la fede alla misericordia di Dio, perché le doni ciò che comanda e ispirandole la soavità della grazia per mezzo dello Spirito Santo le faccia trovare ciò che la legge comanda più dilettevole di ciò che la legge proibisce.
Così la grandiosità della dolcezza di Dio, cioè la legge della fede, la sua carità, iscritta e diffusa nei cuori, si fa colma in coloro che sperano in lui, perché l'anima guarita non faccia il bene per timore di pena, ma per amore di giustizia. ( Rm 5,5 )
Eliminiamo dunque per la grazia il libero arbitrio? Non sia mai, ma piuttosto lo confermiamo.
Come infatti la legge non si elimina per la fede, ( Rm 3,31 ) così il libero arbitrio non si elimina, ma si conferma per la grazia.
La legge si osserva solo con il libero arbitrio.
Ma per la legge si ha la cognizione del peccato, ( Rm 3,20 ) per la fede l'impetrazione della grazia contro il peccato, per la grazia la sanazione dell'anima dal vizio del peccato, per la sanazione dell'anima la libertà dell'arbitrio, per il libero arbitrio l'amore della giustizia, per l'amore della giustizia l'osservanza della legge.
Come dunque la legge non si elimina, ma si conferma per la fede, perché la fede impetra la grazia di poter praticare la legge, così il libero arbitrio non si elimina per la grazia, ma si conferma, perché la grazia risana la volontà con la quale si ami liberamente la giustizia.
Tutti questi fattori che ho concatenato hanno nelle Scritture sante la loro voce.
La legge dice: Non desiderare. ( Es 20,17 )
La fede dice: Risanami, contro di te ho peccato. ( Sal 41,5 )
La grazia dice: Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio. ( Gv 5,14 )
La salute dice: Signore Dio mio, a te ho gridato e mi hai guarito. ( Sal 30,3 )
Il libero arbitrio dice: Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio. ( Sal 54,8 )
L'amore della giustizia dice: Gli empi mi hanno raccontato le loro delizie; ma non sono come la tua legge, Signore. ( Sal 119,85 )
Perché dunque i poveri uomini osano insuperbirsi del libero arbitrio prima d'esser liberati, o delle proprie forze dopo che sono già stati liberati?
Né avvertono che nella stessa denominazione libero arbitrio si fa sentire la voce della libertà.
Ma dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. ( 2 Cor 3,17 )
Se dunque sono schiavi del peccato, perché si vantano del libero arbitrio?
Uno infatti è schiavo di ciò che l'ha vinto. ( 2 Pt 2,19; Gv 8,34 )
Se poi sono stati liberati, perché se ne vantano come di operazione propria e se ne gloriano come se non fosse un dono ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Oppure sono liberi in tal modo da non volere avere per padrone nemmeno colui che dice ad essi: Senza di me non potete far nulla, ( Gv 15,5 ) e: Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete davvero liberi? ( Gv 8,36 )
Qualcuno chiederà se la fede stessa, da cui sembra iniziarsi la salvezza o la scala della salvezza che ho tracciata, sia in nostro potere.
Lo vedremo più facilmente, se prima indagheremo con un po' più di diligenza cosa sia il potere.
Sono due cose diverse volere e potere, tanto che chi vuole non sempre immediatamente può e chi può non sempre immediatamente vuole: alle volte vogliamo e non possiamo, altre volte possiamo e non vogliamo.
È chiaro abbastanza e risuona anche con gli stessi termini che la volontà ha preso il suo nome dal verbo volere e la potestà dal verbo potere.
Perciò come chi vuole ha la volontà, così chi può ha la potestà.
Ma perché la potestà si applichi occorrerà la volontà.
Infatti non si suole dire che uno abbia fatto per suo potere ciò che ha fatto contro il suo volere.
Benché, ad esaminare il caso con più sottigliezza, anche ciò che ciascuno è costretto a fare contro la propria volontà, se lo fa, lo fa con la sua volontà; ma siccome preferirebbe altro, per questo si dice che è forzato a fare, cioè nolente.
Infatti costui fa ciò a cui è costretto proprio per evitare o allontanare da sé quel male che ce lo costringe.
Infatti, se la sua volontà è tanta da preferire di non fare quello piuttosto che non soffrire questo, resiste indubbianiente alla costrizione e non lo fa.
E quindi, se lo fa, non lo fa certo con piena e libera volontà, ma comunque lo fa con la sua volontà, e poiché a questa volontà segue l'effetto, non possiamo dire che all'operatore è mancato il potere.
Se infatti, arrendendosi alla costrizione, uno volesse fare e non potesse, diremmo che costui ne ebbe il volere, per quanto estorto, ma non il potere.
Viceversa se non lo fece perché non lo volle, ne ebbe, sì, il potere, ma gli mancò il volere per tutto il tempo che ha resistito alla costrizione.
Per questo anche coloro che costringono o cercano di convincere dicono di solito: "Perché non fai ciò che è in tuo potere per sfuggire a questo male?".
E coloro che non possono fare in nessun modo, quando uno li vuol costringere a fare ciò che crede loro possibile, sono soliti scusarsi rispondendo: "Lo farei, se fosse in mio potere".
Che dunque cerchiamo ancora? Questo, noi diciamo, è il potere: quando alla volontà è congiunta la facoltà di fare.
Per cui si dice che ciascuno ha in potere ciò che fa se vuole e non fa se non vuole.
Attento ora alla questione che ci siamo proposta di esaminare: se la fede sia in nostro potere.
Parliamo adesso della fede che prestiamo nel credere qualcosa, non della fede che diamo nel promettere qualcosa: anche questa si chiama fede.
Ma altro è dire: "Non mi prestò fede", altro: "Non mi serbò fede".
Nel primo caso significa: "Non credette a ciò che gli dissi", nel secondo: "Non fece ciò che mi disse".
Per la fede nel credere noi siamo fedeli a Dio, per la fede nel mantenere anche Dio stesso è fedele a noi.
Lo dice l'Apostolo: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze. ( 1 Cor 10,13 )
Domandiamo dunque se sia in nostro potere la fede con la quale crediamo a Dio o crediamo in Dio.
Ambedue le espressioni si trovano nella Scrittura: Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia, e: A chi crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. ( Gen 15,6; Rm 4, 3.5 )
Vedi ora se uno creda senza voler credere o se non creda pur volendo credere.
Se questo è assurdo - che cos'è infatti credere se non assentire ritenendo vero quello che viene detto?
E assentire è un atto della volontà -, la fede è certamente in nostra potestà.
Ma, come dice l'Apostolo, non c'è potestà se non da Dio. ( Rm 13,1 )
Perché dunque non dovremmo applicare anche a questo potere le parole dell'Apostolo: Che cosa mai possiedi,che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Anche di poter credere ce l'ha dato Dio.
Viceversa non leggiamo in nessun luogo delle Scritture sante: "Non c'è volontà se non da Dio".
E giustamente non è scritto, perché non è vero.
Altrimenti Dio sarebbe autore anche dei peccati, se non ci fosse volontà che da lui.
Un assurdo! Poiché la volontà cattiva è già peccato da sola, anche se manca l'effetto, cioè se non ha la potestà.
Quando poi la volontà cattiva riceve la potestà di realizzare le proprie intenzioni, ciò proviene da un giudizio di Dio, da parte del quale non c'è ingiustizia. ( Rm 9,14 )
Egli punisce pure in tale maniera e perché occultamente non per questo ingiustamente.
Del resto chi è cattivo ignora d'essere punito, finché un castigo evidente non gli fa sentire contro la sua volontà quanto sia grande il male perpetrato da lui con la sua volontà.
L'Apostolo l'afferma di quelli di cui dice: Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sicché commettono ciò che è indegno. ( Rm 1,24 )
E il Signore a Pilato: Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. ( Gv 19,11 )
Ma quando si dà una potestà non s'impone certo una necessità.
Davide per esempio, pur avendo ricevuto la potestà d'uccidere Saul, preferì risparmiarlo piuttosto che ferirlo. ( 1 Sam 24,23 )
Comprendiamo da ciò che i cattivi ricevono la potestà per la condanna della loro cattiva volontà e i buoni viceversa per il premio della loro buona volontà.
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