Ritiro del 15/1/1995
1) Che il Signore prenda l'iniziativa di questa meditazione
2) La fede
3) Vediamo tutto nella fede
4) Pagine bibliche sulla fede
5) Che fare per compiere l'opera di Dio?
6) L'opera di Dio è credere
7) La contemplazione
8) La morte di Gesù
9) La profezia di Zaccaria
10) La fede e la contemplazione
11) La dinamica di Giovanni
12) Fermiamoci a contemplare
13) Far dipendere la ragione dalla fede
14) Lo Spirito Santo in me mi fa entrare per la porta stretta
Comincio ringraziandovi, anche se è vero che ho dovuto far passare le ore di questa mattina in mezzo ad altri impegni; ma proprio stamattina meditavo che abbiamo solo un programma che dobbiamo svolgere e tutto il resto è molto relativo.
E questo programma si chiama Gesù Cristo.
Tutto quello che facciamo in Lui, secondo la volontà del Padre - e quindi anche nella volontà di Cristo - quello è il programma stabilito nei secoli; e tutto il resto sono soltanto invenzioni nostre, che ci sembrano a volte estremamente importanti, mentre invece sono assai relative.
E proprio da questo punto di vista noi giochiamo la nostra esistenza, cioè dal punto di vista della fede.
Ecco perché io vi ringrazio perché mi date l'occasione di passare qualche ora con calma, insieme con voi, a riflettere sul dono della fede.
Non è che io sia qui per farvi una lezione; sono qui soltanto per parlare ad alta voce, cercando di far venire fuori - con l'aiuto ben inteso dello Spirito Santo - qualche pensiero che serva a me come a voi.
Penso che non dovremmo mai dire basta a una meditazione sulla fede; anche perché tutto quello che potremmo meditare, qualunque sia la verità da credere - o una parola del Vangelo o un momento della nostra vita o un punto della regola della vostra Unione -, tutto ha non solo un riferimento con la fede, ma non ha nessuna motivazione se non nella fede.
Per fare un esempio: quando uno scrive un testo sul computer può selezionare una riga che ha sbagliato per correggerla o per toglierla o per spostarla; a volte però è necessario selezionare un intero paragrafo, magari per cambiare il carattere o la dimensione del foglio.
Ebbene, io credo che la fede obblighi a "selezionare" tutto: o tutto lo vediamo nella fede oppure non ha ragione di entrare nelle nostre riflessioni.
Si capisce che la preoccupazione di far quadrare il bilancio economico di una Casa di Carità sia difficile vederlo nella luce della fede, ma non è poi impossibile.
Anche i criteri in base ai quali i soldi entrano o escono non devono essere solo criteri economicisti e la scelta di fondo deve essere una scelta di fede.
Perché sono stati investiti tanti soldi in questa casa, se non per trasmettere attraverso un apprendimento scolastico, un modo di entrare nel mondo del lavoro con spirito di fede, un modo di aiutare dei giovani a consacrare il loro lavoro e la loro famiglia al Signore?
Ricordiamoci di questo, perché finché la fede resta isolata nei dogmi da credere - e per quanta gente è così - alla fine si finisce per perdere anche quella fede.
E quanta gente ritiene di credere solo perché vagamente crede in Dio, riconosce che questo mondo lo ha fatto Dio, ma al di là di questo non ha più niente da aggiungere.
Voi capite che questa non è fede e direi che non è neanche l'inizio della fede, ma la fine della fede.
Perché quando si riduce la fede a questo, la fede è già morta.
Molto probabilmente l'atto di fede comincia nel momento in cui accetto che Gesù mi salvi, che sia lui il mio salvatore.
Allora accetto Gesù come il Figlio di Dio, il suo inviato, colui che mi dice la verità di Dio, e allora sento anche il bisogno di conoscerlo meglio e di accostarlo.
Ma io sono davanti a un gruppo di persone che non hanno bisogno di cominciare a credere - anche se dobbiamo sempre ritornare sugli inizi della fede.
Allora io preferisco proporvi una specie di "macedonia" di testi biblici; non tutti quelli che parlano della fede naturalmente, ma alcune pagine che mi paiono molto importanti.
Voi sapete che il capitolo 6 di Giovanni ( Gv 6 ) è il capitolo sul pane di vita: comincia con la moltiplicazione dei pani.
Poi Gesù cammina sulle acque, arriva a Cafarnao dove nella sinagoga comincia il grande dialogo polemico tra Gesù e i Giudei, i quali vorrebbero vedere in Gesù il ministro dell'Agricoltura, che fornisce ogni giorno il pane gratis per tutti.
Apro una parentesi: quanto siamo sbagliati nel pretendere certi servizi anche di ordine economico, politico, culturale ecc.; per cui i modi di risolvere i problemi, in Italia come all'estero, sono tutti modi sbagliati, perché i problemi sono impostati male, sordi a una prospettiva di fede.
Infatti Gesù a quella gente dice: "In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni ( ecco la fede ), ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati" .
E continua: "Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna ( siamo ancora nella prospettiva della fede ) e che il Figlio dell'uomo vi darà, perché su di Lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo" ( Gv 6,26-27 ).
"Allora cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" (v.28).
Qui il dialogo si fa incalzante, quasi telegrafico e la domanda sembra fuori luogo; ma Gesù risponde (v.29): "Queste è l'opera di Dio: credere in colui che mi ha mandato".
Vorrei farvi riflettere un momento su questo problema.
Qui c'è la parola "opera di Dio" e poi c'è la parola "credere" che riguarda la fede.
Voi sapete che san Paolo, soprattutto nella lettera ai Romani, dice che non siamo salvati dalle opere della legge, ma dalla fede in Gesù Cristo.
È vero che san Paolo parla di "opere della Legge" e Gesù parla dell'"opera" di Dio, comunque mentre in Paolo c'è la dialettica tra fede e opere: è la fede che ci salva non le opere, san Giacomo, che scrive probabilmente dopo la lettera ai Romani, si preoccupa di correggere il tiro: "la fede senza le opere è morta" ( Gc 2,26 ).
Noi quindi abbiamo due punti di vista opposti: la fede pura in Paolo e la fede con le opere in Giacomo.
Intendiamoci: è una distinzione un po' arbitraria la mia, cioè non esageratela, perché lo stesso Paolo ancora nella lettera ai Rm 12 in poi chiede anche le opere.
Tuttavia nella prospettiva di Paolo è messa più in luce la fede, in quella di Giacomo le opere.
Credo che la sintesi stia proprio nella frase di Gesù: l'opera di Dio è credere.
Non o fede o opere, non la fede contro le opere, non fede che poi sfocia nelle opere, ma l'unica, vera opera è credere.
Ho fatto un ragionamento un po' astratto e teorico, ma ci rendiamo conto che nella misura in cui impostiamo nella fede i nostri progetti, noi stiamo già operando e siamo molto fecondi nell'apostolato?
I santi che hanno fatto più opere sono i contemplativi; anche il Cottolengo o don Bosco da dove se non dalla contemplazione e quindi dalla fede hanno tratto ispirazione per le loro opere?
Prendete santa Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce: santi ultracontemplativi e non hanno fatto altro che girare a costruire monasteri dove si contemplasse, quindi dove si credesse.
Ecco l'importanza di andare al meccanismo interiore.
Io, ve lo dico con candore, sono molto preoccupato della piega che prendono gli avvenimenti nelle nostre chiese: chiese parrocchiali, diocesane e nazionali, dove a parole si dice sempre che si deve partire dalla fede, ma poi lo si dà per scontato.
Allora si fanno tanti discorsi sul modo di avvicinare le persone, sul linguaggio da usare nella catechesi, l'approccio culturale, la dimensione antropologica, la metodologia della dinamica di gruppo…
Di queste cose Gesù se ne infischia, per lui l'unica dinamica è la fede.
Ma perché il mio cuore trabocchi di fede, io devo entrare nella contemplazione delle opere di Dio.
Al Gv 5, quando lo rimproverano di avere operato in giorno di sabato, Gesù replica (v.17): "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" - abbiamo qui un'esaltazione delle opere.
E al v.18 Giovanni dice che, oltre a scandalizzarsi che Gesù lavorasse di sabato, si scandalizzavano perché chiamava Dio suo Padre.
Allora Gesù riprende: "In verità, in verità vi dico - e notate bene che Gesù non si preoccupa di spiegare le sue affermazioni: a un certo punto dobbiamo accettarlo, non perché abbiamo capito, ma perché abbiamo creduto, perché ci fidiamo di lui, perché lui è la verità -: il Figlio da sé non può far nulla se non ciò che vede fare dal Padre.
Quello che egli fa anche il Figlio lo fa" (v.19). E basta questo.
Gesù è il contemplatore del Padre e in tanto è stato così fecondo da redimere tutta l'umanità in quanto non ha fatto altro che compiere le opere del Padre, quelle che da tutta l'eternità contempla stando nel seno del Padre.
Ecco perché dobbiamo proprio dire che quanto più abbiamo bisogno di essere attivi, di essere efficienti, tanto più dobbiamo mettere da parte le nostre azioni per contemplare il Padre in Cristo.
Di qui allora facciamo un salto e andiamo al Gv 19, quello della morte di Cristo.
Qui so che sto giocando in casa, proprio perché il brano che ci interessa è il fondamento della vostra spiritualità, ma è bene che ci riflettiamo sopra.
"Era il giorno della Preparazione e i giudei perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato - chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via.
Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso assieme con lui.
Venuti poi da Gesù e vedendo che era già morto non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero - qui c'è un triplice giuramento - perché anche voi crediate.
Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso ( Es 12,46 ) e un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto ( Zc 12,10 )".
Rileggiamo la profezia di Zaccaria: "In quel giorno mi impegnerò a distruggere tutte le genti che verranno contro Gerusalemme; riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione.
Guarderanno a colui che hanno trafitto, ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.
In quel giorno grande sarà il lamento in Gerusalemme, simile al lamento di
Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo" (
Zc
12,9-11 ).
Qui si ricorda la battaglia di Meghiddo nella quale venne ucciso il pio re
Giosia, colui che aveva rimesso in pratica la legge.
Riportato il cadavere a Gerusalemme, venne fatto un lungo lutto su di lui.
Il profeta fa di questo episodio il segno della morte, ma insieme della riscossa di Dio che viene a versare un fiume di grazia e di consolazione.
Una profezia assolutamente incomprensibile prima che Gesù morisse in croce e prima che Giovanni ce la spiegasse.
Gli ebrei hanno guardato a colui che i nemici hanno trafitto, noi volgeremo lo sguardo a colui che noi abbiamo trafitto, perché tutti abbiamo trafitto Gesù e quindi tutti guarderanno al trafitto.
Vorrei mettere questa pagina accanto al Gv 10, dove Gesù comincia il discorso sul il buon pastore in un modo molto strano: "Io sono la porta delle pecore".
Perché "la porta"? Noi dipingiamo l'immagine del buon Pastore, non quella di una porta, eppure Gesù dice: "Io sono la porta, per me si passa".
Il colpo di lancia, con cui il soldato ha colpito il fianco di Gesù, gli ha aperto il cuore e quindi noi possiamo entrare per quella porta dalla quale è uscito sangue e acqua; e dal di dentro contemplare il Figlio che contempla il Padre.
Vale a dire che anche la devozione al cuore di Gesù deve smettere di essere una devozione sentimentale, che consiste nel sentire il batticuore: Io amo col cuore di Gesù.
Non è questo: per gli ebrei il cuore non era la sede dell'affettività, ma dei pensieri.
Allora tu entri attraverso la ferita del costato nel cuore di Cristo e di lì contempli i misteri del Padre.
Giovanni dice ancora: "Dio nessuno l'ha mai visto; l'unigenito Figlio, quello che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato" ( Gv 1,18 ).
Giovanni, che insiste molto su " il discepolo che Gesù amava", usa due volte il termine greco che significa insenatura, baia e in senso figurato "il seno" del corpo umano.
La prima volta nel prologo per dire il Figlio che è "nel seno" del Padre per contemplarlo e poi per compierne le opere, e la seconda per qualificare il discepolo prediletto: colui che ha messo il capo "nel seno" di Cristo.
Tutto questo discorso l'ho fatto per dire che la fede è contemplare, non avere mai finito di contemplare; ma per contemplare bisogna mettersi da un punto di vista giusto e questo punto è il cuore di Cristo.
Interrogo il cuore, il "seno" di Cristo e di lì interrogo il Padre.
Allora comprendete anche tutta la dinamica di Giovanni.
Nel Gv 20, dopo che Maria di Magdala è andata a dire ai discepoli: "Hanno portato via il Signore!", Pietro e Giovanni corrono al sepolcro.
Giovanni arriva per primo e: "Chinatosi vide le bende per terra, ma non entrò", dice il Vangelo.
Questa è proprio la nostra fotografia: la superficialità; vediamo qualcosa e crediamo di sapere già tutto.
Ma se non contemplo, non posso capire e quindi non credo e quindi non opero.
Continua il Vangelo: "Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra e il sudario, che gli era stato messo sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte".
Notate la descrizione minuziosa, ma Giovanni aveva un motivo per farlo.
"Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette".
Perché credette? Perché questa volta ha guardato con calma e ha "visto": le bende per terra, il sudario ben piegato…
Se avessero rubato il cadavere, l'avrebbero rubato così come stava; dunque che cosa è capitato?
"Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti" ( Gv 20,1-11 ).
Se ne vanno e resta Maria di Magdala. Perché Maria è stata la prima a vedere Gesù?
Perché Pietro e Giovanni sono tornati a casa.
È vero che Giovanni quando è entrato nel sepolcro ha visto e ha creduto: era un grosso passo avanti rispetto alla prima volta, che aveva solo buttato dentro un'occhiata.
Ma non si è fermato; Maria si ferma e piange.
"Ma perché stai lì? Non c'è, vallo a cercare!"
Questi i ragionamenti umani, ma qui c'è la fede illuminata dall'amore; perché se non c'è amore dentro la fede, io non si ha la pazienza di continuare a guardare, non si diventa caparbi nel voler capire di più.
È l'amore che la tiene lì e vede Gesù che si fa conoscere.
Questo è il dinamismo della fede.
Facciamo di meno, fermiamoci, contempliamo e nella contemplazione vedremo che tre quarti di quello che volevamo fare è inutile che lo facciamo, perché non serve a niente, e l'altro quarto lo faremo in modo diverso.
Perché ci siamo fermati a contemplare.
È la logica che sostiene tutto il vangelo di Giovanni, che è poi la logica dell'atto di fede: "Venne tra i suoi, ma i suoi non l'hanno accolto", l'hanno respinto, "ma a quelli che l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli, i quali non da carne né da sangue ma da Dio sono nati" ( Gv 1,12-13 ); una fede, dunque, che ci è stata regalata.
Allora - e concludo - passiamo al Vangelo di Matteo, ad una parola usata anche da Giovanni.
Siamo al famoso episodio di Cesarea di Filippo, quando Pietro dice: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" e Gesù risponde: "Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli" ( Mt 16,16 ).
Quanta gente crede di credere, ma crede solo per motivi "ragionevoli", mentre Dio vuole che giungiamo alla rinuncia totale dei nostri criteri di giudizio: "Tu, Dio, mi hai dato la ragione perché io la offra in olocausto sull'altare della fede".
Non perché io rinunci alla ragione, ma perché la faccia dipendere dalla fede e non viceversa.
Questo è il senso della rivelazione, dai profeti a Gesù Cristo. Gesù è venuto e ha chiesto un atto di fede; dopo di che la ragione ha chiuso.
È come innestare una pianta su un'altra: la pianta innestata va a prendere la sostanza da un'altra radice, che non è la sua; così la mia ragione deve andare a prendere la sostanza del riflettere e del contemplare dalla radice delle fede.
È vero: ci vogliono anche i motivi di credibilità, ecc., ma Gesù a quelle cose dà poca importanza.
I motivi apologetici della fede possono essere un momento necessario della nostra vita, ma io credo… perché credo, perché a un certo punto questa ricchezza diventa evidente nella misura in cui innesto la mia ragione sull'unico fatto: è Gesù che mi parla.
Anzi: non è più soltanto un credere perché è scritto nel vangelo, ma perché lo Spirito Santo che è in me mi fa scavalcare il Vangelo, mi fa andare al di là delle parole e mi fa entrare, per "la porta" del costato trafitto, nel seno del Padre dove contemplo a luce diretta, non ho più bisogno di fare i passaggi.
Si parte da una parola del Vangelo e poi… si vola.
Allora: "Beato te, Simone, perché… il Padre mio te lo ha rivelato"!
Ma subito dopo, quando Pietro, forte della sua fede, ha creduto di poter insegnare a Gesù come doveva fare, ecco: "Lungi da me, satana!
Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini" ( Mt 16,23 ), sei tornato alla carne e al sangue.
Quante volte anche noi siamo così: diamo troppo retta "alla carne e al sangue", anche nella programmazione pastorale diamo attenzione a problemi che vengono dagli uomini e non a quelli che vengono da Dio e che sono i problemi della fede.
Questo è davvero un problema enorme e se vogliamo aiutare il Sinodo, preghiamo, preghiamo, preghiamo perché il Signore illumini l'arcivescovo, tutti quelli che preparano il sinodo e tutta la Chiesa.
Dobbiamo convertirci tutti alla fede, alla fede pura e assoluta, dove la carne e il sangue non c'entrano, dove non ci sono motivi umani, dove non cerchiamo l'affermazione secondo criteri di convinzione umana, ma il cambiamento del cuore, l'amore che ci trasforma, dove lasciamo spazio allo Spirito santo perché penetri in noi e ci cambi completamente.
E vi propongo per terminare questa prima parte una scaletta di verbi che mi paiono molto importanti per descrivere l'itinerario della fede e che svilupperemo nella prossima meditazione:
1. Cercare
2. Ascoltare
3. Accettare, cioè fidarsi
4. Accogliere, cioè arrendersi
5. Amare, cioè ricambiare
6. Lasciarsi amare.