27 Dicembre 1972
È passato il Natale.
E adesso ritorneremo, un po' stanchi e un po' frettolosi, alle solite occupazioni, le quali per noi, figli del nostro tempo, sono di solito febbrili, assorbenti, e rivolte al mondo ch'è fuori di noi.
Noi viviamo ordinariamente nel campo degli interessi esteriori.
Il nostro pensiero, la nostra attività sono estroflessi.
Non abbiamo tempo, non abbiamo modo di pensare a noi stessi; vogliamo dire, non sappiamo riflettere, stabilire un po' di silenzio, un po' di solitudine, un po' di tranquillità dentro noi stessi.
Anche quando la nostra attività si fa personale, cioè quando pensiamo, leggiamo, studiamo, la nostra attenzione è impegnata al di là d'un atto di coscienza soggettiva.
Questo è saputo.
Anzi è voluto.
Caratteristica del nostro programma di vita è l'intensità delle operazioni esteriori, che occupano il nostro tempo, con orari fissi e serrati, è il lavoro assunto a un grado di pressione estenuante, tal che, appena esso ci concede qualche momento, ora o giorno che sia, abbiamo bisogno di « distrarci », cioè di uscire ancora, con ritmo e con scopo diverso, dal nostro cenacolo interiore, dal colloquio che forse vorremmo fare personalmente con noi stessi; ma abbiamo timore di sentirci soli, nel vuoto e nella noia.
Abbiamo timore di scoprire la vanità delle cose ( Cfr. il libro dell'Ecclesiaste, designato nella Bibbia col vocabolo ebraico di Qohèlet; e Pascal, Pensées, 14,ss. ).
Ma no. Se la celebrazione della festa ha avuto davvero qualche importanza spirituale per noi, essa deve in qualche maniera rimanere, non solo nel ricordo, che subito impallidisce e si confonde nella farragine delle memorie del passato, ma nei motivi ricorrenti del nostro pensiero e negli stimoli della nostra condotta.
Rimanere, cioè essere assorbito nella nostra psicologia, e segnare un'impronta nel nostro volto spirituale.
Deve rimanere tanto nel dono di grazia, che il Natale avrà portato con sé, quanto nell'efficacia pedagogica, che la partecipazione alla liturgia va gradualmente svolgendo in chi da essa attinge, come da scuola perenne, l'insegnamento della perfezione cristiana.
Rimanere; siamo pratici, che cosa comporta?
Comporta un atto semplicissimo, ma di grande importanza, com'è quella d'un seme che caduto in buon terreno, mette radice, e cresce in vegetazione e alla fine porta frutto ( Cfr. Mt 13,3,ss ); comporta un « pensarci su », un ripensamento, cioè una riflessione, un tentativo di approfondimento, sia speculativo, che affettivo, una meditazione teologica, o puramente spirituale che sia.
Il Natale di Cristo è un fatto di tale importanza, un mistero di tale ricchezza, che merita questo secondo momento di considerazione.
Abbiamo in proposito un esempio, che a noi è sembrato sempre di grande interesse.
È quello di Maria, la Madre di Gesù.
Vi ricordate come S. Luca, quasi a indicare la fonte autentica del suo incantevole racconto circa la notte di Betlemme, lo concluda con questa preziosa testimonianza: « Maria poi conservava ( dentro di sé ) tutte queste cose, meditandole in Cuor suo » ( Lc 2,19 ).
È una confidenza delicatissima e stupenda.
Essa ci rivela la vita interiore della Madonna, una seconda forma di far sua la vicenda esteriore della nascita di Gesù, della quale ella, beatissima, era stata la protagonista, la Madre.
Ella ripensava, riviveva.
Ella stessa cercava di meglio comprendere, di rendersi conto, di tradurre in termini di pensiero e di amore ( quale pensiero e quale amore in quell'essere immacolato! ), ciò che in lei e mediante lei era avvenuto in termini di fatto, di storia concreta, nelle circostanze esteriori, che noi qualifichiamo come reali.
Ella cercava la realtà superiore e totale di tale fatto, nel suo significato profetico, cioè nel pensiero divino, di cui essa era espressione; cercava di penetrare, di afferrare per quanto possibile, di godere il mistero.
Ella, come c'insegna il Concilio, progrediva nella fede ( Lumen Gentium, 61-65 ).
Così dev'essere analogamente, noi supponiamo, in ogni madre, che rigenera nel cuore il proprio figlio generato nelle sue viscere; deve essere così che si forma il cuore materno.
Ma quale dovette essere questo processo spirituale in Maria, partecipe, come nessun altro, dell'economia divina dell'Incarnazione, se noi troviamo nel medesimo Vangelo di Luca, ripetuto con le stesse parole quel suo atteggiamento contemplativo, a complemento della narrazione dell'episodio, avvenuto dodici anni dopo, dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù fanciullo nel tempio di Gerusalemme?
Ripete infatti il Vangelo: « sua Madre custodiva nel cuore tutte queste cose » ( Lc 2,51 ).
La devozione e l'imitazione dei devoti di Maria trovano in questo spiraglio della vita interiore di lei uno stimolo delizioso e sapiente.
L'esempio sublime parli anche a noi.
Diciamo a noi, uomini poveri di vita interiore, perché siamo tanto ricchi di vita esteriore.
Non sarebbe bello che il Natale generasse dentro di noi il Cristo interiore?
cioè una qualche abitudine alla meditazione, ad un ricordo vivo del grande mistero che abbiamo solennemente commemorato?
ad una persuasione di fede, ormai acquisita e riconfortata: bisogna vivere la nostra vita in unione con la vita di Cristo?
Ripensare il Natale: Dio che si fa uomo per stare con noi ( Gv 1,13 ), per conversare con noi ( Cfr. Bar 3,38 ), per esserci compagno di viaggio, amico, maestro, immagine del Dio invisibile ( Gv 1,18; Gv 13,9 ), salvatore, in una parola ( Lc 2,11 ), Natale: un lume che non si deve spegnere; il lume della vita interiore, nostra, personale, che non potrà essere solitaria e desolata, ma quasi insensibilmente si farà dialogo, si farà preghiera.
Esperienza nuova, umile, facile, bellissima.
Provateci, figli carissimi.
Con la nostra Apostolica Benedizione.