Fr. Teodoreto e la professione del penitente

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Tra le norme che il Sunto Fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane ha lasciato ai suoi religiosi ce n'è una che va sotto il titolo di « professione del penitente » con la quale li obbliga a un tenore di vita molto austero e a particolari mortificazioni.

Se si considera che l'attività di insegnamento presuppone una vita di studio e che l'una e l'altra cosa sono già pesanti di per sé, che inoltre la vita di comunità è pure una penitenza e che i Fratelli sono tutti laici e quindi non godono di quell'autonomia che è inevitabile nelle religioni sacerdotali, si comprende facilmente che la loro vita è di per sé dura e non avrebbe bisogno di ulteriori gravami.

Invece il Santo Fondatore vuole che coltivino positivamente lo spirito di penitenza e che pratichino anche delle mortificazioni volontarie, senza temere che ciò pregiudichi l'attività di insegnamento, persuaso anzi che ne fecondi l'efficacia spirituale.

Questo fa sì che l'Istituto Lasalliano possa considerarsi a buon diritto in Ordine penitente.

Si sa che vi è la mortificazione interna, dello spirito, e quella esteriore dei sensi.

Entrambe sono necessarie a tutti e Gesù stesso lo dice molto esplicitamente: « Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ».

Ma è questione di misura, e l'istinto umano tende a evitare tutte le sofferenze possibili, o almeno a ridarle più che può, mentre la vita si incarica di prepararne d'ordinario per tutti in abbondanza.

Fr. Teodoreto ne faceva tesoro e vi aggiungeva molte mortificazioni volontarie.

Spesso ammalato, anche gravemente.

Sempre oberato di lavoro.

Quando la Regia Opera della Mendicità Istruita chiamò i Fratelli dalla Francia assegnò, assai poco regalmente alla prima comunità di S. Pelagia come dormitorio il sottotetto delle scuole.

« Si potevano toccare con mano le tegole » mi raccontava ridendo il Fr. Teodoreto.

« D'inverno avevamo la brina sulle coperte e dovevamo rompere il ghiaccio nei catini per lavarci la faccia ».

Eppure quella eroica comunità resistette, anzi si accrebbe, e col tempo sciamò e divenne una provincia religiosa con varie scuole.

Durante il giorno il Fr. Teodoreto si occupava della scuola elementare e - alla sera dopo cena, con l'aiuto di alcuni insegnanti secolari, di una scuola serale.

Il direttore di questa, per quanto lo ricordo, fu sempre lo stesso Fr. Teodoreto, che, quindi, non poteva essere a letto prima delle ore 23, per alzarsi al mattino seguente, con tutta la comunità alle ore 4,50.

Per qualche anno lo potei sostituire io alla scuola serale, ma poi ne fui impedito e la scuola serale gli ricadde sulle spalle.

Durante tutto l'anno scolastico il Fr. Teodoreto poteva quindi dormire a sufficienza una sola volta alla settimana: c'era da prendersi un esaurimento nervoso.

Alla sera del sabato la scuola era chiusa ma si faceva l'adunanza dell'Unione SS. Crocifisso e M. I. e il Fr. Teodoreto la presiedeva commentando l'epistola della messa domenicale seguente.

« Il Vangelo », diceva « lo sentirete poi spiegare in chiesa ».

Non ho mai più visto le adunanze dell'Unione così affollale come allora.

Arrivavano giovani da tutte le parti della città, consigliati anche dal clero, e fra essi molti studenti del Politecnico, stranieri o forestieri, venuti a Torino per lo studio.

Uno di questi, un rumeno, Justin Nicoara, si dimostrava particolarmente fervoroso.

Tornato in patria e assunto come dirigente nelle ferrovie dello Stato, morrà poi schiacciato fra due vagoni nel tentativo di salvare un operaio in pericolo.

Qualche volta capitò all'Unione anche Pier Giorgio Frassafi.

Da parte mia e di tanti altri quelle adunanze decisero l'avvenire di tutta la vita.

Senza dubbio l'Unione del SS. Crocifisso era un forte richiamo per tutti i giovani della città, anche fuori delle scuole cristiane, assetati di vita spirituale.

Eppure Fr. Teodoreto non era un oratore brillante o un erudito.

Egli parlava con molta semplicità ed umiltà, come se fosse stato in classe, ma le sue parole avevano una efficacia straordinaria: una luce consolatrice ed entusiasmante di verità, che penetravano in fondo al cuore e una saggezza vera e profonda che conquistava gli animi.

Dove attingeva quella efficacia il Fr. Teodoreto, se non dalla sua unione con Dio, che si manifestava anche all'esterno, e di che cosa era frutto quella unione se non della preghiera e della mortificazione, che erano diventate un atteggiamento abituale del suo spirito?

Se la mortificazione esteriore era già notevole in Fr. Teodoreto, io credo che quella interiore fosse ancor più accentuata.

Quel suo raccoglimento abituale, anche per strada, per cui gli si poteva passar vicino senza che egli se ne accorgesse e bisognava salutarlo ad alta voce per farsi notare, quel suo rosario perpetuamente in mano, quella sua insistenza sull'umiltà, a cui accennava in tutti i suoi discorsi, qualunque ne fosse il tema, erano segni indubitabili della padronanza di sé, frutto di una disciplina inferiore ed esteriore mai allentata.

L'esortazione di S. Paolo: « sine intermissione orate » che può far rimanere perplessi, in lui si vedeva praticata senza tregua e senza apparente difficoltà.

Qualche volta avevo persino scrupolo di interromperlo per parlargli.

Nessuno pensi che gli mancassero le difficoltà.

So di certo che ebbe molto da lottare e da soffrire contro l'aridità, quantunque fosse di temperamento assai sensibile.

Non ricordo alcun discorso suo sulle dolcezze e le consolazioni della preghiera, ma sono persuaso che ne abbia avute molte.

Mi disse una volta, parlando non di sé, ma come di cosa normale dei religiosi, che durante il giorno si sospira il tempo della preghiera e non si vede l'ora di andare in cappella.

Era evidente da vari segni che egli viveva alla presenza di Dio e che la sua orazione non si interrompeva mai.

Ma questo atteggiamento richiede una grande energia e quindi una non comune fatica.

È proprio questa fatica che distoglie molti da quell'unione con Dio, a cui aspirerebbero.

Non per nulla la santità è rara, anche fra quelli che fanno professione di tendervi.

E molto più facile dedicarsi totalmente al lavoro apostolico, sebbene anche l'apostolato richieda sacrificio.

Ma è un'illusione far dipendere tutta l'efficacia apostolica e quindi il valore della propria esistenza dall'attività esterna …

Eppure quant'è facile cadere in questa illusione.

Durante gli Esercizi Spirituali dei Fratelli, che mollo spesso il Fr. Teodoreto era incaricato di presiedere, egli gridava contro questo pericolo e diventava severo.

È l'eterno pericolo di quella mediocrità, così diffuso, come un flagello, che rende sterili tante esistenze, anche di consacrati.

Il Fr. Teodoreto non aveva paura del sacrificio e pagava generosamente il prezzo di una vita fervorosa, cioè penitente.

E, per questo che la sua opera si dimostrò feconda e continua ancor oggi.

C. T.