Le sette parole di Cristo in croce

B261-A2

Riflessioni con applicazioni per la famiglia

Icona del Crocifisso, con Maria Santissima e S. Giovanni.

Il testamento di Gesù dalla croce

Il Crocifisso è un gran libro, come affermato dal servo di Dio fra Leopoldo1 e dal ven. fr. Teodoreto,2 oltre che da molti santi.

Gesù innalzato da terra ci rivela la sua Divinità ( Gv 8,28 ), ci attrae ( Gv 12,32 ), ci manifesta il Padre, ci fa sentire che Dio è amore, ci dona lo Spirito, ci salva.

È modello di perfezione, perché nessun esempio di virtù è assente dalla croce.3)

Ma oltre alle istruzioni che ci provengono dal Crocifisso e dal suo comportamento, Egli ci serba anche delle parole dirette, immediate, che sono quelle che ha pronunciato in croce.

Esse sono come la sintesi profonda di questo libro divino e vivente.

In queste parole c'è un abissale mistero, perché esse sono come la risonanza di tutto il Vangelo, sono la conferma estrema e decisiva del donarsi di Cristo senza limiti al Padre e agli uomini, sono il suo testamento di vita e di amore.

Contempliamo il Crocifisso, piagato e sofferente, uomo del dolore, ma altresì ardente di amore per il Padre e per noi, desideroso di vivere quella che Lui ha chiamato la sua ora, e che dal legno della croce pronunzia le parole estreme.

Adoriamo le piaghe del Crocifisso, da cui sgorgano la risurrezione e la vita ( Is 53,5; 1 Pt 2,24 ).

Frutto di questa realtà è il sacramento del matrimonio, singolare partecipazione al mistero di morte e di risurrezione di Gesù.

« Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa » ( Ef 5,25-26 ).

Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno

Il perdono è la stravolgente rivelazione dell'amore di Cristo, un'autentica rivoluzione delle coscienze.

Ancora oggi colui che perdona all'omicida del figlio, o del padre, come è avvenuto, viene ritenuto stravagante dalla mentalità del mondo.

Cristo ci da il primo esempio del perdono da Lui introdotto e predicato, ed è un perdono senza limiti e condizionamenti, un perdono pronunciato mentre subisce l'affronto e la tortura, un perdono che arriva a giustificare l'aggressore, perché non sa quel che fa, un perdono che si rivolge al Padre, autore della misericordia, un perdono proprio di colui che ama il carnefice.

Regola fondamentale della comunione umana, e della famiglia in particolare, è il perdono, perché l'autentico amore verso il coniugo, i figli e i familiari va al di là delle offese, perché la persona amata è più preziosa delle lacerazioni che può aver apportato con le sue offese, perché non la si vuole perdere a nessun costo, soprattutto perché ci si innesta nei sentimenti di misericordia di Cristo.

Non c'è amore senza perdono.

Oggi tu sarai con me in Paradiso

Gesù si rivela Dio sulla croce, se gli viene chiesta la salvezza nel momento supremo in cui umanamente sembrerebbe soccombere: segno evidente che Egli, prossimo alla morte, appare in grado di vincere la morte.

E a chi questa salvezza implora con umiltà e in conversione.

Gesù l'accorda immediatamente.

Non può sfuggire in questa risposta di Gesù al buon ladrone l'espressione del suo ardente desiderio di volerci tutti con Lui, secondo la sua parola agli apostoli: « Rimanete in me e io rimarrò in voi » ( Gv 15,4 ).

Sulla croce questa volontà di unione è ancora più determinata, poiché è rivolta a un compagno di supplizio e ha come momento di adempimento lo stesso oggi.

Nella famiglia la necessità di comunione, di stare insieme, « di essere perfetti nell'unità » ( Gv 17,23 ), è fondamentale.

Già la stessa definizione scritturale del matrimonio, ribadita da Gesù, « i due formeranno una sola carne » ( Mt 19,5 ), risponde a questa esigenza.

La comunione familiare deve trovare in Gesù la sua sorgente, per superare ogni difficoltà che a essa si frapponga, dall'egoismo all'isolamento, dalla discordia al dominio dell'altro, dall'infedeltà ai conflitti che possono arrivare sino all'odio e alla rottura.

Seguendo la parola di Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce ( Mc 8,34 ), gli sposi potranno vivere l'unione originaria,4 e trovare, nella presenza di Gesù nel loro amore, un segno e un'anticipazione del Paradiso.

Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre

Espressione massima del dono della vita è la madre, e Gesù, donandoci la sua madre, ci attesta dalla croce come la sua offerta sia senza limiti, e sia tutta proiettata nel senso della vita, e della vita piena.

Così Maria è la nostra madre, come frutto dell'immolazione di Cristo, e della stessa immolazione di Maria.

La corredentrice accetta la maternità degli uomini a prezzo della donazione del Figlio.

Nella famiglia la madre e il padre sono chiamati, in applicazione di questo testamento di Gesù, ad essere espressione di vita, a rendere fecondo il ruolo donativo, all'interno e all'esterno, a essere aperti alle necessità degli altri.

E l'espresso riferimento della famiglia alla maternità di Maria, alla sua presenza misteriosa, ma reale, nel focolare domestico, è garanzia di vivere il dono che il Crocifisso ci ha fatto.

Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Queste parole sono l'inizio del salmo così detto messianico, il salmo 22, che Gesù applica a sé, dando un'ulteriore attestazione della sua divinità.

Gesù recita pertanto una preghiera.

Resta comunque il fatto che in quelle parole iniziali del salmo vi è il tragico grido di chi si sente abbandonato da Dio. Lui, uomo-Dio, che è una cosa sola con il Padre,

lamenta l'abbandono, è ciò perché Egli si è fatto veramente carico delle sofferenze e dei peccati, anzi si è fatto peccato senza averlo commesso, sperimentando in tal modo la inconciliabilità assoluta tra Dio, che è amore, e il peccato, che è rifiuto d'amore.

Queste parole ci appaiono come le più misteriose tra quante ci descrivono il « mistero » dell'immolazione del Figlio di Dio per noi.5

Anche nella vita famigliare possono verificarsi momenti di prova in cui per l'incomprensione, volontaria o meno, o per circostanze di crisi, uno si senta abbandonato.

L'esempio di Gesù richiama a trarre dal momento di abbandono un'ulteriore motivazione per perseverare nella fedeltà, nella fiducia e nell'amore.

Occorre che gli sposi, e più in generale i familiari, si facciano carico l'uno dell'altro, nelle situazioni di tensione, di caduta, di debolezza e di difficoltà, per poter allentare la prova e confermare l'amore, eliminando contestazioni e accuse.

Ho sete

Il Crocifisso è autenticamente torturato dalla sete.

Come è detto nel salmo 22, da Gesù richiamato nella precedente parola: « É arido come un coccio il mio palato, la mia lingua è incollata alla gola ».

Tuttavia dall'alto della croce questa parola ha una risonanza che va al di là del tormento fisico, per essere manifestazione del desiderio ardente che Gesù ha di salvare l'uomo, nella pienezza della santità, di salvarlo dall'inferno del rifiuto, ed è questa una sete ben più tremenda.

Anche la famiglia deve essere stimolata dalla sete del bene reciproco, affinché ogni componente aneli alla fonte da cui zampilla l'acqua della comunione, della generosità, dell'altruismo, e questa fonte è lo stesso Gesù, mistico sposo delle anime.

Tutto è compiuto

Tutto è compiuto perché tutto è stato dato.

Cristo ha compiuto perfettamente la volontà del Padre, che è d'amore e di salvezza.

Si è donato sino alla morte e « alla morte di croce » ( Fil 2,8 ), perché ha amato il Padre nella piena obbedienza della sua volontà, e ha amato i fratelli per i quali si è incarnato e ha sacrificato la sua vita.

« Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome » ( Fil 2,9 ).

Anche la famiglia cristiana deve tendere continuamente all'assolvimento compiuto della missione che l'attende per il bene reciproco fra i coniugi, per quello dei figli, nella maturazione umana e cristiana per l'inserimento nella vita e per l'apertura alla vita.

Poter dichiarare con Gesù « Tutto è compiuto », è consapevolezza di obbedire alla volontà del Padre e di affidarsi completamente a Lui.

Padre, nelle tue mani affido il mio spirito

L'abbandono filiale nelle mani del Padre è il compimento dell'amore senza riserve e senza limiti del Crocifisso.

Egli rimette il suo spirito, nel momento supremo della morte, nelle mani di colui che è onnipotente, che è misericordia, che è amore.

L'abbandono al Padre nel momento cruciale in cui si conclude la vita terrena è perseveranza nell'obbedienza alla sua volontà, è rinnovato atto di amore, è fiducia e certezza nella vita.

Il Crocifisso pertanto muore nell'obbedienza e nell'amore, è nel rimettere il suo spirito ci dona lo Spirito santo, che è l'amore del Padre e del Figlio.

Così la famiglia deve rimettersi totalmente nelle mani del Padre, offrendo le proprie vite in fiducia e in abbandono.

Forte supporto e basamento del matrimonio è il rimettersi nelle mani del Padre, è credere nella vita, è sperare nella crescita umana e spirituale, è amare Iddio attraverso l'amore sponsale e familiare.

L'alto grido

Il grido lanciato da Gesù prima di morire è nella sua essenza anche una parola, pur senza l'uso di vocaboli.

É un diretto moto dell'anima che esprime ciò che forse sarebbe altrimenti incomunicabile attraverso parole consuete.

Va notato in primo luogo come questo grido, che gli evangelisti precisano essere stato « alto » ( Mt 27,50; Mc 15,37 ) è non solo misterioso, ma miracoloso.

Infatti v'è da chiedersi come un crocifisso, all'estremo dell'asfissia e della spossatezza per la torturante posizione, impedito di respirare, colpito da lancinanti dolori a ogni minimo movimento, e probabilmente in preda alla contrattura tetanica, potesse non tanto emettere delle parole, ma addirittura un alto grido.

É un ennesimo segno della sua divinità, manifestata proprio sulla croce, per cui, secondo l'annotazione di Marco, « il centurione, che stava dirimpetto a lui, vedendolo spirare in quel modo, disse: " Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio " » ( Mc 15,39 ).

Ma vi è pure il mistero di questo grido, che è il congedo di Gesù dalla sua vita mortale, ma ad un tempo il prologo della veglia eucaristica, nel triduo di morte, che prelude alla risurrezione;

è il suggello della sua dedizione totale, compimento della redenzione;

è lo schianto di fronte alla morte, ma altresì il grido di vittoria sulla morte;

è la ricapitolazione del suo annientamento e del suo olocausto, fino a farsi peccato, ma è pure la cancellazione del peccato per chi si incorpora in Lui;

è il paradosso di Dio che si assoggetta alla morte, ancorché nella natura umana, ma è soprattutto l'eliminazione del dolore e della morte negli eletti;

è la manifestazione del culminante sconforto del Crocifisso a fronte della possibilità dell'uomo di rigettare comunque l'offerta della salvezza, ma è altresì il richiamo supremo all'uomo perché accetti la redenzione e la proposta di amore.

E un grido di una carica espressiva incommensurabile, che rivela l'inesprimibile sulla volontà e sulla misura del donarsi.

Quante volte nella vita di famiglia la comunicazione è affidata a movimenti dell'animo, a gesti e atteggiamenti di solidarietà e di assenso, talora a silenzi, talvolta a sospiri, a pianto o anche a grida.

L'importante è che i moti del cuore siano sempre espressione di disponibilità e di amore, e non solo sfoghi della propria sensibilità, per quanto giustificati da difficoltà e da tensioni.

Se nella famiglia è costante il linguaggio dell'amore, esso contrassegnerà non solo le parole, ma anche le pause, le interpunzioni, le interrogazioni, le esclamazioni.

Ed esemplare anche in questo resta sempre il Crocifisso, con il suo grido vivificante, oltre che con le sue parole e i suoi silenzi sulla croce, silenzi densi e carichi di penetrante comunicatività e di abbandono senza limiti.

Conclusioni

La riflessione sulle parole in croce e sulla morte di Cristo deve portare in noi un sovvertimento - come avvenne per gli eventi che accompagnarono tale morte, ad esempio il terremoto - deve condurre a una conversione.

Occorre che ci sentiamo profondamente toccati dal dramma di dolore, ma soprattutto di amore che Gesù ha vissuto, e misteriosamente continua a vivere per noi nell'Eucaristia e nella Chiesa.

Ogni famiglia deve essere coinvolta dalla morte di Gesù, essere in qualche modo con Lui sepolta, come il seme da sotterrare perché porti frutto.

In tal modo si parteciperà alla resurrezione del Crocifisso.

Dopo aver ascoltato e meditato le parole che Gesù ci ha rivolto dall'alto della croce, è opportuno che da parte nostra gli si dia una risposta di consenso, di ringraziamento e di amore.

Particolarmente opportuna a tale riguardo è l'Adorazione a Gesù Crocifisso, scritta dal servo di Dio fra Leopoldo M. Musso e divulgata dal ven. fr. Teodoreto.

É una pratica che può essere molto preziosa per affermare ogni giorno nella vita familiare la centralità dell'amore a Gesù Crocifisso.

Questa preghiera, oltretutto, si adegua perfettamente agli orientamenti conciliari sulle pratiche di pietà, in particolare all'esortazione affinché i pii esercizi del popolo cristiano ispirino al sentimento di « portare continuamente nel nostro corpo i patimenti di Gesù morente »6

V. M.


1 « Il Crocifisso è un gran libro d'istruzioni santissime. Maestro esemplare divino » ( diario di fra Leopoldo M. Musso, 18 agosto 1906 ).

2 « Gesù Crocifisso è il libro della vita; prendiamolo ogni giorno e meditiamolo: ci insegnerà ogni verità » ( dai pensieri del ven. fr. Teodoreto ).

3 S. Tommaso d'Aquino.

4 Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 1606 e 1615.

5 GV su Charitas, bollettino rosminiano del febbraio 1993.

6 Costituzione sulla Liturgia, 12.