Chiesa e lavoratori nel cambiamento

Indice

II. - La Chiesa e il suo impegno di pastorale sociale nel cambiamento

17. - « In religioso ascolto della Parola di Dio - ha ricordato Giovanni Paolo II a Loreto - radicate nel mistero di Cristo mediante la partecipazione alla divina litugia, impegnate nella testimonianza della carità, raccolte intorno ai Vescovi, successori degli apostoli, le Chiese particolari sono, nel mondo e per il mondo, segno visibile e tangibile dell'amore misericordioso del Padre, per il conforto e la piena liberazione dell'uomo.

A questa missione i singoli cristiani sono chiamati a partecipare, secondo il grado del loro ministero ».5

Il richiamo del Papa ci sospinge con forza, a rigenerare il nostro impegno pastorale in questo periodo storico di profondo cambiamento.

Il quale, più che un « fare », un organizzare delle attività specifiche o particolari, deve consistere nell'esprimersi dell'essere della Chiesa, di una Chiesa particolare, nella storia e nel territorio.

In questo senso non può esserci pastorale che non sia « sociale » che non interagisca con la società, la cultura, il territorio.

Per rinnovare il nostro impegno di pastorale sociale in ordine alle finalità che intendiamo perseguire, abbiamo bisogno di maturare una precisa e solida coscienza dell'identità della Chiesa, dei suoi contenuti, dei soggetti che la esprimono, attingendo alle fonti che la individuano, la fanno emergere e le danno consistenza.

La pastorale sociale esprime l'essere della Chiesa

18. - La Chiesa in ascolto della Parola

Le nostre Chiese locali, sempre più provocate nel loro impegno pastorale dalle complesse situazioni culturali, sociali e politiche della gente e del Paese, dei lavoratori in particolare, avvertono con urgenza la necessità di radicarsi sempre più nel mistero stesso di Dio; la loro vitalità infatti non è alimentata da spinte di natura socioculturale, ma trova nella Parola di Dio la sua sorgente prima e più vivace.

La Chiesa avverte l'imprescindibile necessità di porsi in ascolto della Parola, in atteggiamento obbedienziale, nella disponibilità alla conversione.

Ascoltare la Parola significa per la chiesa assumere l'ottica di Dio nel guardare la storia, gli eventi particolari, le realtà umane e gli uomini stessi.

Avvertiamo forte, per tutte le nostre comunità cristiane, il bisogno di assumere lo sguardo di Dio, sapiente e ricco di misericordia, anche di fronte ai profondi mutamenti del nostro tempo.

È la Parola di Dio che abilita al discernimento le persone e le comunità cristiane.

Alla luce della Parola si svela a noi il senso degli avvenimenti, il loro significato in riferimento al progetto salvifico che anche oggi Dio va tessendo nella trama delle libertà umane.

Più che domandare alla Parola indicazioni risolutorie per i problemi della nostra epoca, dalla Parola accogliamo un'indicazione precisa di senso, un orientamento per la nostra storia, un arricchimento di valori per chi è chiamato e vuole vivere responsabilmente nel suo tempo.

La Parola di Dio, che è creatrice, suscita nella comunità, che l'ascolta e la celebra, la capacità di operare la salvezza; dona il dinamismo della grazia.

Per questo, farsi servi della Parola e lasciarsi da essa convertire è fede che vive e che cresce.

Riconoscere il primato della Parola equivale a riconoscere, accettare e testimoniare il primato di Dio sull'uomo e sulla storia, il primato della sua logica, dei suoi obiettivi; e non sempre, non automaticamente, la logica e gli obiettivi di Dio coincidono con la logica e gli obiettivi degli uomini.

La Parola di Dio che converte la Chiesa, non allontana mai dall'uomo e dalla storia; provoca anzi un'effettiva solidarietà e fattiva corresponsabilità.

Solidarietà e corresponsabilità sono la verifica dell'autenticità dell'ascolto della Parola.

Come è accaduto per Cristo, il quale assunse su di sé il peso della storia, condividendo con gli uomini fratelli i problemi, le speranze, i dolori e le gioie, rivelandone il senso, il dinamismo salvifico, così accade per la Chiesa che si lascia convertire dalla Parola.

È la persona di Cristo, Parola fatta carne, che diventa per noi e per le comunità cristiane il termine della nostra fedeltà e della nostra conversione.

Dalla comunione con Lui impariamo la solidarietà e la condivisione, il giudizio critico e la presa di distanza, il rispetto e la valorizzazione di ogni realtà ed evento anche di questo nostro tempo.

19. - La Chiesa che accoglie il dono di Dio

Dall'accoglienza della Parola nasce la capacità di accogliere l'azione salvifica di Dio nei gesti sacramentali.

In Cristo Gesù il Padre porta a compimento le grandi opere di salvezza di cui sono testimonianza le pagine dell'Antico Testamento: la creazione, l'esodo, l'alleanza, la legge, la profezia la sapienza, il culto.

In Cristo il tempo, dell'uomo diventa tempo di Dio, l'oggi storico diventa l'oggi della salvezza.

Oggi Dio continua la sua opera di salvezza in Cristo Gesù attraverso i gesti sacramentali; egli rinnova nella sua Chiesa e per la sua Chiesa le grandi opere della salvezza.

E la Chiesa vive di esse e per esse.

Il Padre rinnova la meraviglia della creazione sempre nuova, della liberazione da ogni male, dell'alleanza nuova ed eterna, dell'effusione dello Spirito Santo che è dono per la verità, la giustizia, la carità e la libertà.

Il nostro tempo si muove tra l'azione di Dio che è salvezza già compiuta e l'azione dell'uomo nella storia che non ha ancora portato a compimento il progetto del Padre.

La Chiesa, come comunità che vive della Parola e dell'azione di Dio, si pone nella storia tra l'oggi di Dio e l'oggi degli uomini.

La Chiesa non ha altro da annunciare oltre la Parola di Dio; non ha altro dono da offrire oltre l'azione salvifica del Padre in Cristo Gesù per lo Spirito Santo.

Di qui nasce tutta la pastorale della Chiesa; qui si radica anche la pastorale sociale; qui la Chiesa cerca l'offerta da fare agli uomini del suo tempo.

20. - La missione come comunicazione del dono ricevuto

Il dono che la Chiesa riceve non lo tiene per sé; il dono di Dio rimane vivo e vitale se viene comunicato.

Siamo chiamati a comunicare il dono ricevuto; siamo chiamati alla missione.

E la missione è proporzionale alla ricchezza del dono ricevuto e da trasmettere.

Tutto questo rientra nello stile di Dio; l'elezione è sempre per la missione.

Dio salva per continuare a salvare; sceglie Israele per raggiungere tutti i popoli.

Cristo sceglie i dodici come primizia di un nuovo popolo, di ogni lingua e nazione.

« Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.

Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato.

Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo » ( Mt 28,18-20 ).

Il traguardo finale che, nel suo faticoso cammino, la Chiesa e l'umanità sono chiamate a raggiungere è quello di essere famiglia di Dio e casa abitabile per ogni uomo e per ogni popolo.

Come cristiani, radicati nel mistero di Cristo, non siamo in cammino verso nostri traguardi, ma verso il traguardo dell'umanità intera; non il nostro trionfo cerchiamo ma, con umiltà e nel servizio, il trionfo della famiglia umana secondo il progetto di Dio.6

Da queste considerazioni emerge l'urgente necessità di rigenerare la pastorale sociale attraverso la testimonianza della piena « verità » della Chiesa:

essa è creatura di Dio, contro le tentazioni di renderla soltanto una struttura umana e sociale;

la sua evangelizzazione è annuncio della salvezza operata da Dio;

il suo culto è opera di salvezza che Dio continua ad operare per noi oggi;

la sua carità l'espressione dell'amore del Padre, manifestato attraverso gli uomini.

Questa è la verità della Chiesa, di cui ogni comunità cristiana deve avere coscienza precisa7 e alla quale bisogna educarsi ed educare.8

Occorre anche dare corpo alla formazione teologica a tutti i livelli: dalla catechesi agli adulti, alle scuole di formazione teologica, a quelle di formazione sociale in prospettiva etico-teologica.

Occorre essere nel cambiamento con una mentalità di fede capace di leggere in esso i « segni dei tempi ».

Ciò significa vedere la realtà umana, specialmente il lavoro e il travaglio del cambiamento, come luoghi e segnali della presenza e dell'azione salvifica di Dio.

Significa creare una « cultura di fede » che, senza cadere nel fideismo, sappia leggere le tracce di Dio, capace di valutare gli eventi, di discernere o di interagire.9

21. - Alcuni principi dell'esperienza della Chiesa

La vita della Chiesa si è sempre intrecciata con la vita degli uomini del suo tempo.

La Tradizione è la testimonianza della fedeltà della Chiesa alla sua verità e alla sua missione, nonché della sua continua novità nel tempo.

Anche oggi la Chiesa, ricca di esperienza e di passione per l'uomo, cerca le strade per camminare con gli uomini del nostro tempo.

« L'insegnamento sociale della Chiesa è nato dall'incontro del messaggio evangelico e dalle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell'amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita della società.

Esso si è costituito come dottrina, valendosi delle risorse della sapienza e delle scienze umane; verte sull'aspetto etico di questa vita e tiene in debito conto gli aspetti tecnici dei problemi, ma sempre per giudicarli dal punto di vista morale.

Essenzialmente orientato verso l'azione, questo insegnamento si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia.

Appunto per questo, pur ispirato a principi sempre validi, esso comporta anche dei giudizi contingenti.

Lungi dal costituire un sistema chiuso, esso resta costantemente aperto alle nuove questioni che si presentano di continuo, ad esige il contributo di tutti i carismi, esperienze e competenze.

Esperta in umanità, la Chiesa attraverso la sua dottrina sociale offre un insieme di principi di riflessione e di criteri di giudizio e quindi di direttive di azione, perché siano realizzati quei profondi cambiamenti che le situazioni di miseria e di ingiustizia esigono, e ciò sia fatto in un modo che contribuisca al vero bene degli uomini ».10

Si può condensare l'insegnamento della Chiesa, in riferimento al nostro problema, in alcuni principi etici generali, capaci di guidare l'azione dei cristiani e la pastorale della comunità cristiana in questo periodo di profonde trasformazioni.

a) Il primo principio riguarda il primato dell'uomo su ogni altra realtà sociale, strutturale e scientifica.

Non appaia superfluo il richiamo che la Chiesa continua a fare di questo principio etico fondamentale.

Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno della "vita sociale" ».11

« L'ordine sociale pertanto - continua il testo conciliare della Gaudium et Spes - e il suo progresso debbono sempre lasciare prevalere il bene delle persone, giacché nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il contrario, secondo quanto suggerisce il Signore stesso quando dice che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato ».12

Anche il lavoro, l'attività economica e politica pertanto non potranno essere pensate e ordinate se non in riferimento concreto alle persone che vivono in un determinato territorio e con uno stile di servizio.

b) Un secondo principio riguarda la visione globale dell'uomo e dell'umanità, in rifermento alla quale si deve mirare alla « promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo ».13

È necessario oggi richiamare questa totalità o globalità della persona umana, che prima di essere un dato filosofico è un dato esperienziale e biblico; è necessario richiamarla di fronte alle sempre nuove forme di povertà che oggi non sono soltanto di carattere economico e materiale, ma soprattutto di carattere sociale, culturale e politico.

Non è perseguibile un progetto di civiltà e di progresso che, nel paese o nel mondo, penalizzi categorie di persone, zone, gruppi o popoli interi.

c) Un terzo principio riguarda il controllo dell'attività socio-politico-economica.

« Lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell'uomo, e non si deve abbandonare all'arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né di alcune più potenti nazioni ».14

Quanto il testo conciliare dice dell'attività economica, si deve dire anche dell'attività politica, specialmente di fronte alle possibilità odierne di controllo sociale stabilite delle tecnologie informatiche.

È necessario richiamare un principio classico dell'insegnamento della Chiesa: il principio della sussidiarietà.15

d) Un quarto principio fa riferimento alla partecipazione democratica alle attività sociali globalmente assunte.

Dai livelli più bassi e più vicini alle persone nel territorio, fino ai livelli più alti è diritto-dovere di tutti essere partecipi e corresponsabili nell'elaborazione dei progetti e nella realizzazione degli stessi, pur nella necessaria distinzione dei ruoli.

« Per questo bisogna denunciare gli errori tanto delle dottrine che, in nome di un falso concetto di libertà, si oppongono alle riforme necessarie, quanto di quelle che sacrificano i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all'organizzazione collettiva della produzione.

Si ricordino, d'altra parte, tutti i cittadini che essi hanno il diritto e il dovere - da riconoscersi anche da parte dei poteri politici - di contribuire secondo le loro capacità al progresso della propria comunità ».16

Sarà necessario talvolta passare da una concezione e da un atteggiamento rivendicativi nei confronti della società a una concezione e a un atteggiamento propositivi nella comunicazione, nella collaborazione, nella comunione.

e) Un ultimo principio che vale la pena ricordare fa riferimento all'obiettivo del bene comune come elemento che richiede, giustifica e informa la presenza e l'attività sociale sia dei cittadini come delle istituzioni e delle autorità costituite.

Il bene comune - come « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente »17 e che di fatto si concretizzano nella capacità di onorare i diritti e i doveri delle persone come dei gruppi sociali - è sempre oggetto di ricerca storica per individuarne le modalità necessarie e possibili.

È una ricerca esigente, critica e propositiva nei confronti dei singoli, delle istituzioni e dell'autorità.

Esso stabilisce il grado di moralità pubblica.

È a questi principi che i cristiani e le comunità ispirano la proposta e l'azione anche nel nostro tempo; è da questi principi che nasce la ricerca di una operatività pastorale per le nostre comunità in cammino con gli uomini del nostro tempo e nell'intento di far diventare tempo di grazia anche questo scorcio del secondo millennio.

22. - I cristiani laici e la pastorale sociale nella comunità cristiana

« Appare pertanto indispensabile che si rafforzi nelle Chiese locali, in forma sempre più organica e compiuta, un'adeguata azione pastorale di viva attenzione ai problemi e alla cultura degli uomini del lavoro, in modo che a essi non venga mai a mancare un'adeguata proposta della redenzione che Cristo ha realizzato nella pienezza dei tempi.

Questa pastorale per gli uomini del lavoro è tanto più necessaria oggi che è tempo di nuovo avvento, tempo di attesa ».18

Questo preciso richiamo del Papa deve far maturare la consapevolezza che tutta la comunità è soggetto della pastorale, in proporzione di quanto vive una fede che non estranea dalla storia e dalla scala dei valori; una fede che sa incarnarsi e storicizzarsi.

È questa una dimensione e una dinamica irrinunciabile della fede cristiana e della Chiesa stessa.

Non si potrà mai realizzare tutto questo, però, senza la presenza e i contributi dei laici.

Quando dunque nella Chiesa si parla di « laici » non si intende, e non si può far riferimento a cristiani di serie B, costretti a corrompere la purezza della fede, a scendere a compromessi con la realtà, con la storia, spesso considerata come elemento negativo.

I laici sono invece discepoli del Signore, chiamati a vivere la fede nelle realtà di tutti gli uomini e di tutti i giorni, cioè nella famiglia, nella società, nel lavoro, nella cultura, nell'economia, ecc.

Essere « laici » è dunque una chiamata, una vocazione, un dono che viene da Dio e che invia a un compito alto e difficile: incarnare la fede e darle forma nelle realtà quotidiane.

È soprattutto nei laici che avviene l'innesto tra la fede e la storia, tra la Chiesa e il mondo.

23. - Come emerge dalla Costituzione Gaudium et Spes del Vaticano II, purtroppo, permane una dolorosa e pericolosa frattura fra fede e vita, ritenuta come « uno tra i più gravi errori del nostro tempo ».19

Si dovrà invece giungere a « una sintesi vitale ».

Che cosa significa, pertanto, vivere la fede in questa fase storica di profondo cambiamento?

Significa:

- cogliere la valenza teologale delle cose e degli eventi con una mentalità di fede;

- cogliere il farsi della storia della salvezza e inserirsi nel suo dinamismo;

- far diventare tutte le realtà espressione della « vita nuova » donata da Cristo.

Secondo il dettato della Gaudium et Spes, la fede - e con essa la Chiesa e il cristianesimo - assume le realtà terrene, cioè le prende sul serio anche con la loro pesantezza creaturale; ne assume con coraggio la legittima « autonomia »; purifica, denuncia gli aspetti negativi e lotta per il loro superamento; eleva, cioè fa diventare le realtà espressione di carità di Dio per l'uomo.20

La Chiesa, in tal modo, è presente dove sono presenti e operanti i cristiani laici, che della Chiesa sono parte e incarnazione: nelle famiglie, nelle fabbriche, negli uffici, nelle istituzioni civili, ecc.

Presente e operante in proporzione della vita di fede dei cristiani stessi.

Non sarà necessario mandare un prete in certi ambienti « difficili », come gli ambienti di lavoro; la Chiesa dovrà essere già presente e attiva nei cristiani, purché abbiano coscienza della loro identità e della loro missione come cristiani.

I laici, in quanto credenti e inseriti nel Signore Gesù, sono « popolo sacerdotale », sacerdoti del Dio vivente; la loro vita, vissuta nella fedeltà al Signore, diventa sacrificio gradito a Dio per la salvezza del mondo.

24. - Se è vero che i cristiani laici rendono presente la Chiesa nelle realtà terrene, per lo stesso motivo rendono anche presenti alle comunità cristiane le realtà degli uomini, i problemi della gente.

Ad essi spetta rendere presente la Chiesa al mondo e rendere presente il mondo alla Chiesa.

Succede invece spesso che le comunità cristiane sono estranee alle vicende del loro territorio e della loro storia perché i cristiani non sono abbastanza « laici » nella comunità o non sono sufficientemente responsabili in essa.

La presenza dei laici dovrà farsi vivace in tutte le espressioni costitutive e costruttive della comunità cristiana.

Dovrà esprimersi nell'evangelizzazione, nella liturgia, nella carità pastorale; con laici capaci di cogliere e di vivere la Parola di Dio nelle loro realtà e nella loro storia; capaci di dare un contributo « laicale » all'opera di evangelizzazione, alla vita cultuale, alle attenzioni della carità di una comunità cristiana.

All'interno della comunità cristiana si dovrà verificare pertanto quanto auspicato dalla Gaudium et Spes e ripreso dal Convegno di Loreto: un'interazione, una reciprocità, una complementarietà tra preti e laici, pur nella specificità dei carismi e dei ministeri, ma in ordine allo stesso essere e alle stesse finalità della comunità cristiana.

25. - Vale la pena, a questo punto, sottolineare la « dimensione ecclesiale », che deve qualificare i soggetti agenti della pastorale, cioè tutti i membri della comunità.

Ogni cristiano, sia esso prete, religioso o laico, esprime la Chiesa e realizza il progetto di salvezza.

Nessuno agisce a nome e per mandato proprio.

Tutti nella Chiesa sono strumenti di salvezza, che è sempre opera di Dio, anche quando passa attraverso gli uomini o le istituzioni e le attività.

Questo comporta la consapevolezza di essere espressione della Chiesa di Cristo; esige il riferimento a un progetto concreto di pastorale; domanda la comunicazione tra operatori diversi della pastorale.

La qualifica « ecclesiale » non è mai da dare per scontata.

Non è un'etichetta; non è un titolo acquisito; non è una garanzia preventiva di autenticità.

E quanto vale per le persone vale anche per i gruppi, per i movimenti, per le associazioni.

La Chiesa deve apparire sempre più come una comunità gerarchicamente ordinata, di fratelli protesi all'opera di salvezza che Dio intende realizzare.

26. - Riscoperta del senso del vivere sociale

« Missione è avere il coraggio di amare senza riserve », dice il documento di Loreto.21

La frase è molto impegnativa e si inserisce nel cammino della Chiesa italiana nel dopo-concilio.

Il convegno di Loreto ha approfondito l'urgenza alla quale le comunità cristiane devono porre attenzione: quella di ritessere il tessuto sociale.

Più che porre mano ai singoli problemi, ciò che oggi occorre tenere sott'occhio è il fatto sociale stesso, nella sua globalità, e la sua necessità di essere rimotivato e rifondato.

Siamo eredi di una cultura che ha considerato il fatto sociale o come un accessorio della vita privata, o come strumentale all'individuo.

Stenta, perciò ancor oggi, ad emergere, nonostante i decenni di vita democratica, una cultura del sociale: che sospinga a realizzare un'interazione tra il singolo e il soggetto sociale; che evidenzi, per il singolo, il senso del vivere insieme ad altri soggetti all'interno di una storia particolare, di un territorio, di una struttura; che metta in risalto, per il soggetto sociale, lo spessore della dignità irrinunciabile del singolo individuo, dotato di libertà e di responsabilità.

È ovviamente un problema culturale, prima ancora che sociale e politico.

Occorre pertanto elaborare una cultura che sappia coniugare libertà e corresponsabilità, autonomia e interdipendenza, efficacia e solidarietà, ricerca del bene comune e difesa del bene dei singoli.

L'attuale cultura del sociale sembra invece oscillare, sia in campo economico che in quello culturale e politico, tra l'individualismo e il collettivismo.

27. - Anche per molti cristiani il fatto sociale è privo di senso e di importanza.

Più che essere portatore di valori, è l'ambito su cui applicare le norme che nascono - se pur nascono - dall'appartenenza religiosa.

Troppo spesso però la fede le la pratica religiosa rimangono insignificanti sul versante sociale.

Occorre, a questo proposito, superare un equivoco che più o meno consciamente ed esplicitamente, riduce il dinamismo della pastorale sociale.

L'equivoco cioè che la necessaria fede cristiana sia titolo sufficiente per gestire correttamente un'istituzione, per comprendere e risolvere adeguatamente un problema sociale.

Proprio la fede richiede un ulteriore lavoro - oggi assolutamente necessario - la scoperta del senso evangelico e antropologico del vivere sociale.

Il senso, o significato del fatto sociale, infatti, per il cristiano, è radicato nel progetto della salvezza che Dio vuole e persegue per tutti gli uomini e per l'intera umanità.

Il vivere con gli altri, con tutte le implicanze e le strutture che comporta, non è estraneo al dinamismo della salvezza; e la fede è anche illuminazione della valenza teologale di un fatto umano, come il fatto sociale, e dei conseguenti valori etici.

Così ad esempio, alla luce e nella logica della fede, le istituzioni pubbliche appariranno come servizi agli uomini e alle loro necessità storicamente espresse e vissute, e come tali dovranno perciò essere gestite;

lo Stato è come la condizione e la realizzazione del maggior bene comune possibile per la collettività;

la politica come la ricerca e la scelta degli strumenti e delle proposte adatte per realizzare il bene comune.

Non occorre evidenziare, per chi si muove nell'ottica della salvezza, come questo modo di vedere e di vivere il fatto sociale si oppone sia alla banalizzazione di esso, come alla sua strumentalizzazione per scolpi individuali.

28. - Per avanzare verso questo traguardo, oggi la pastorale sociale ha bisogno innanzitutto:

- di un impegno culturale più serio, sia a livello teologico che sociologico, politico, scientifico, ecc.

È ancora necessario richiamare l'importanza delle competenze professionali;

- di formazione etica su tutti i fronti, specialmente su quelli delineati dalle nuove scoperte tecnologiche e dalle nuove questioni sociali e politiche inerenti al cambiamento;

- di partecipazione e di corresponsabilità in tutte le strutture della vita sociale e politica, con un senso di profonda moralità e di ricerca dialogata del maggiore bene comune possibile;

- di presenza nella pubblica opinione; non possiamo limitarci a « giocare in casa », a interessarci solamente dei « nostri problemi ».

Si tratta di lavorare con chi già lavora nel grande cantiere della società per edificare una casa abitabile per l'uomo d'oggi, e specialmente per quello di domani.

29. - Il metodo del discernimento nella pastorale sociale e del lavoro

Il cambiamento sociale in atto può essere, per la comunità cristiana, occasione di diserzione o di profezia.

Può diventare tempo dei « lapsi », tempo di appiattimento, oppure di testimonianze mature e forti.

In altre parole: o si cede alla tentazione dell'estraneazione o ci si impegna a ripensare l'azione pastorale a partire dal cambiamento in atto.

Per approfondire le diverse istanze storiche è fondamentale che la comunità cristiana si dia un metodo pastorale.

Molte comunità, invece, di fronte a queste istanze si trovano mute, impotenti, impaurite.

Il Convegno di Loreto ha sancito e riproposto il metodo del discernimento pastorale,22 che sollecita la riflessione collettiva e personale di tutti i soggetti ecclesiali ed esige una progressione di ricerca su questa linea:

a) lettura dell'esistente: ciò suppone la capacità di interpretare criticamente i dati disponibili e richiede perciò seri strumenti di ricerca e di indagine, attenzione alle multiformi realtà locali e ai cambiamenti di significato nei concetti tradizionali;

b) confronto con la Parola e con la Tradizione ecclesiale: è il momento in cui, attingendo alle fonti della Rivelazione, ci si lascia coinvolgere dalla fede.

La Parola di Dio ci conduce, infatti, a vedere il nostro oggi come « oggi di Dio », come luogo del Regno, per accoglierlo nella speranza cristiana; ci aiuta, di conseguenza, a superare la tentazione di costruire un progetto pastorale che prescinde dal contesto sociale, dalle sue povertà, ma anche dai suoi germi di speranza.

La Tradizione ecclesiale è la mediazione più autorevole della Parola di Dio; attraverso il magistero sociale della Chiesa universale e locale, la testimonianza dei santi, le esperienze del popolo di Dio e le riflessioni dei teologi, essa offre l'aiuto più concreto al discernimento spirituale, etico e pastorale della comunità;

c) scelte pastorali: è un appuntamento in cui la comunità cristiana individua gli ambiti concreti della sua testimonianza.

Di fronte al cambiamento profondo in atto e dopo aver ascoltato il grido dei poveri e la voce dei pastori, l'atteggiamento spirituale della comunità cristiana è simile allo stupore del popolo che nella Pentecoste domanda: « che significa questo? » ( At 2,12 ).

Si dovrà allora fare il tentativo di abbozzare un progetto pastorale, cioè una sintesi articolata delle possibilità pastorali concretamente realizzabili, i cui punti fondamentali siano:

- l'annuncio della solidarietà, la quale, sia nella comunità cristiana, sia nella società, non è una virtù accanto ad altre, ma espressione unificante della vita cristiana.

Ciò porta a ricollocare al centro dei piani catechistici parrocchiali la catechesi a degli adulti « in situazione », valorizzandone sia gli incontri sistematici che quelli occasionali.

Sul versante laico della società la tensione missionaria della comunità deve alimentare un processo di evangelizzazione a partire dai problemi più gravi suscitati dal cambiamento sociale, quelli che interessano l'uomo e il bene comune.

L'obiettivo pastorale è quello di costruire un consenso intorno all'uomo e al bene comune in quanto assoluti etici, per poi innervarli di segnali evangelici ( opzione preferenziale dei poveri, accoglienza, perdono e conversione fraterna, gratuità … ).

È opportuno a questo fine inventare luoghi di incontro e di formazione, per responsabilizzare lavoratori, sindacalisti, economisti, imprenditori e politici cristiani, o comunque, « uomini di buona volontà ».

Ogni mezzo di comunicazione sarà prezioso, purché si annunci la solidarietà come risvolto socio-politico della carità.

Così la comunità cristiana potrà diventare « cattedra alternativa » alla pedagogia della società dei consumi e della frammentazione individualistica;

- il servizio critico-profetico, cioè il pronunciamento critico della comunità sugli eventi, sulle situazioni, sui problemi, sulle logiche correnti.

È l'esercizio dell'« annunziare con tutta franchezza » la Parola ( At 4,29 ), esprimendo, quando è necessario, giudizi anche severi ma sempre costruttivi, segno della competenza e della partecipazione sofferta.

L'intento propositivo della denuncia potrà emergere anche dalla capacità di dar valore, nella speranza, a tutte le opportunità civili e istituzionali atte a promuovere la solidarietà, quali possono essere oggi, ad esempio, i contratti di solidarietà, la riduzione dell'orario di lavoro, il part-time, la cooperazione, i fondi di solidarietà, la rinunica al doppio lavoro e al lavoro straordinario non gravemente indispensabile;

- la testimonianza oggettiva del discorso dei gesti: è l'annuncio silenzioso e fortemente carico di sorpresa e di provocazione che prepara e dà credibilità all'annuncio esplicito.

La comunità cristiana, di fronte a gravi problemi legati al lavoro, offre gesti testimoniali di condivisione, di coinvolgimento, di gratuità, di aiuto concreto.

È necessario, tuttavia passare dalle solidarietà « corte » dell'assistenza a quelle « lunghe » dell'impegno sociale e politico.

In tema di « testimonianza oggettiva » suggeriamo e incoraggiamo, in particolare, alcune iniziative di recente sperimentate con insperabile profitto pastorale in non poche diocesi: la « Giornata della Solidarietà », la Veglia dello 1° Maggio, le cooperative di solidarietà sociale, di produzione-lavoro e di servizio, e tutte quelle strutture di riferimento per giovani disoccupati che, con molta generosità e con geniale intuizione, sono state promosse da diverse associazioni;

- l'impegno formativo e educativo: è la responsabilità pastorale più urgente e continua, che ha come mèta la formazione dei credenti alle virtù civili, alla partecipazione, al servizio, ma soprattutto alla capacità critica e alla coerenza etica.

Si tratta di legare l'esperienza della fede all'impegno sociale e politico, seguendo una logica di solidarietà che valorizzi la socialità e la creatività in una visione di sviluppo sobrio e mondiale.

In questo compito devono essere coinvolte tutte le istituzioni educative ( famiglia, scuola, sindacato, parrocchia, movimenti e associazioni … ), in particolare quei « mondi vitali » che aggregano i giovani.

30. - Ambiti urgenti di impegno

Nella parte conclusiva di questo documento vogliamo attirare l'attenzione delle nostre comunità su alcuni ambiti prioritari di impegno, che esigono il loro generoso coinvolgimento per la serietà e la sostanza etica delle questioni in essi implicate.

Il rapporto tra etica ed economia

- Il carattere specifico dell'attività economica è che essa è volta alla creazione della ricchezza materiale per l'uomo e per la società secondo la peculiarità delle regole che la guidano, oltre che delle competenze e delle capacita imprenditive in essa richieste.

- Ma, appunto perché fine immediato e proprio dell'attività economica è la produzione di ricchezze per l'uomo e per la società, essa, nel suo concreto funzionamento e nei suoi sbocchi organizzativi, non può tradursi in strumenti di emarginazione e di mortificazione delle energie e delle risorse umane.

L'economia deve perciò assumere la valorizzazione delle risorse umane come il bene prioritario e la ricchezza principale da perseguire e da ampliare.

Diversamente, il conseguimento della ricchezza materiale rischierebbe di rovesciarsi in forme di impoverimento umano.

- Tutto ciò vincola l'economia a parametri di razionalità sociale, oltre che strettamente economica, i quali non possono non ispirarsi a criteri etici di solidarietà e di giustizia nel governo dell'economia sia su grande scala sia nelle singole imprese.

- La nuova mentalità etica riguardo all'economia investe la stessa concezione del lavoro, da intendersi sempre più come bene da condividere e non come strumento di affermazione individualistica, secondo modelli di competizione selvaggia e accaparramento esclusivo.

Da ciò scaturisce l'esigenza di inventare nuove modalità di distribuzione del lavoro e di condivisione dei suoi frutti.

- La prospettiva etica sull'economia e i suoi processi deve orientarsi concretamente a una revisione degli stessi stili di vita e di realizzazione della persona, in un contesto di cultura e di convivenza civile nel quale i beni universalistici e le mete spirituali ( rapporti interpersonali, fruizione della natura, tempo della formazione, della festa, dell'impegno politico … ) prevalgano sui modelli dell'individualismo e della crescita puramente materiale.

L'iniziativa pastorale è qui chiamata a misurarsi creativamente con il problema della qualità dello sviluppo nelle sue implicanze educative per la persona e per la società.

Le nuove povertà derivate dal lavoro che cambia e che manca

Le trasformazioni quantitative e qualitative, che con impressionante accelerazione investono il mondo del lavoro, mentre accendono fondate speranze di progresso materiale e spirituale, sollevano anche inquietanti problemi e severe domande all'azione pastorale della Chiesa locale.

Essi riguardano le forme di povertà legate alla crisi del lavoro, che escono dai parametri teorici delle descrizioni sociologiche per assumere il contorno definitivo e personalizzato dei nuovi emarginati: disoccupati, inoccupati, sottoccupati, arrabbiati e perfino disperati.

Emerge sempre più drammaticamente dal sottobosco sociale la folla degli esclusi o frustrati dal « banco, di lavoro », per i quali le cifre statistiche danno segnali amari.

L'intervento pastorale, maturato nel discernimento spirituale, dovrà rivisitare, in tutta la loro estensione, profondità e potenzialità, le valenze politiche della solidarietà, per farla transitare da puro supplemento d'anima di una società efficientistica a sfida e strategia per una nuova qualità sociale dell'esistenza.

La corresponsabilità delle parti sociali

La complessità del nuovo quadro socio-culturale, in cui si collocano il lavoro e i lavoratori, e gli stimoli morali che salgono dalle coscienze più vive interpellano la responsabilità di tutti: delle istituzioni politiche, dei ricercatori scientifici, delle organizzazioni imprenditoriali, delle associazioni sindacali e in genere delle forze culturali.

Non è legittimabile alcun atteggiamento di rassegnazione, di disimpegno o di chiusura egoistica; anche se gli attuali processi di trasformazione risultano contraddittori e sembrano di fatto irreversibili, occorrerà non subirli passivamente, ma tentare con tenacia lungimirante e con creativa sapienza di governare il cambiamento, investendo le risorse più preziose di uomini e di mezzi nella ricerca e nel !progetto.

La solidarietà sembra la misura etica che per la società civile può espletare tutte le esigenze ldella giustizia e dell'efficienza e per i credenti traduce efficacemente in pratica gli oibblighi della carità evangelica.

Una solidarietà che sola può radunare fruttuosamente intorno allo stesso tavolo i soggetti protagonisti della società che cambia.

Indice

5 Giovanni Paolo II, Allocuzione al 2° Convegno Ecclesiale di Loreto, n. 2.
6 Cf. Gaudium et spes, n. 3 e n. 45.
7 Cf. C.E.I., Nota pastorale La Chiesa in Italia dopo Loreto, ( 9-6-1985 ).
8 Cf. Ivi, n. 15.
9 Cf. Ivi, n. 32.
10 Congr. Dottrina fede, Istr. Libertà cristiana e liberazione, n. 72, ( 22-3-1986 ).
11 Gaudium et spes, n. 25.
12 Ivi, n. 26.
13 Paolo VI , Lett. Enc. Populorum progressio, n. 14, ( 26-3-1967 ).
14 Gaudium et spes, n. 65.
15 Cf. Pio XI, AAS 23 ( 1931 ) p. 203;
Cf. pure Pio XII, AAS 38 ( 1940 ) p. 144.
16 Gaudium et spes, n. 65.
17 Ivi, n. 26.
18 Giovanni Paolo II, Alloc. Convegno Il lavoro è per l'uomo, n. 5, ( 18-11-83 ).
19 Gaudium et spes, n. 43.
20 Cf. Ivi, n. 36 e n. 38.
21 C.E.I., Nota pastorale La Chiesa in Italia dopo Loreto, n. 51.
22 Cf. Ivi, nn. 44-45.