Per un umanesimo del terzo millennio |
Si tratta a questo punto di indicare, seppure solo brevemente le linee fondamentali di questa azione correttiva esercitata dalla dottrina sociale su quella prospettiva moderna che si è sviluppata a partire dal rifiuto e dalla negazione della dimensione religiosa.
Così facendo si riescono anche a definire le linee guida dell'insegnamento sociale della Chiesa.
Innanzitutto, in opposizione all'idea, sostenuta secondo diverse modalità e prospettive ideologiche, della subordinazione del singolo al soggetto collettivo, la Chiesa ha sempre ribadito la priorità della persona.
All'inizio non c'è la società, c'è la persona.
La società è il frutto della capacità culturale e sociale della persona; la prima soggettività sociale non è quella della società, ma è quella della persona e di ciò in cui la persona si esprime: innanzitutto, la famiglia.
L'uomo non è il prodotto della vita sociale « deve esserne e rimanerne il soggetto, il fondamento e il fine ».59
La Chiesa con il suo insegnamento sociale ha voluto sostenere, contro le ideologie che si sono sviluppate e rafforzate lungo i secoli in epoca moderno-contemporanea, che è impossibile ridurre l'uomo a fenomeno biologico o politico, perché esso è fatto a immagine e somiglianza di Dio, è costitutivamente in rapporto con Dio e vive nella comunione con Lui.
La visione della società che nasce dalla fede cristiana « si pone al di sopra e talvolta all'opposto delle ideologie in quanto riconosce Dio, trascendente e Creatore, che interpella, a tutti i livelli della creazione, l'uomo quale essere responsabilmente libero ».60
Merito fondamentale del Magistero è stato allora innanzitutto quello di avere riconosciuto e garantito la libertà, la dignità e il valore assoluto della persona umana.
È, infatti, solo il fondamento ontologico della persona in Dio che le impedisce di diventare un'anonima parte di un sistema, una qualsiasi molecola della vita sociale, un'insignificante particella di materia.
La Chiesa, riaffermando tale fondamento ontologico, ha voluto ribadire nel modo più energico possibile la dignità assoluta della persona, da cui deriva che sono i sistemi economici e politici che devono essere subordinati all'uomo e non l'uomo ad essi: « In nessun caso la persona può essere strumentalizzata per fini estranei al suo stesso sviluppo, che può trovare compimento pieno e definitivo soltanto in Dio e nel suo progetto salvifico […].
La persona non può essere finalizzata a progetti di carattere economico, sociale e politico imposti da qualsivoglia autorità, sia pure in nome di presunti progressi della comunità civile nel suo insieme o di altre persone, nel presente o nel futuro ».61
Ciò che il Magistero sociale ha voluto evidenziare è pertanto la centralità della persona.
Al contrario di quanto ha cercato di fare il pensiero laicista, la persona è stata sempre concepita dal Magistero come sostanziale rapporto con Dio che la costituisce.
Solo nel rispetto di questo originario rapporto è possibile pensare adeguatamente il rapporto della persona con la realtà.
L'uomo, infatti, è soggetto di relazione in quanto traduce all'esterno di sé quel dialogo con Dio che da significato al suo stesso essere.
La radice della persona è la sua appartenenza a Dio e da questa deriva, come sua caratteristica ontologica ed etica fondamentale, la sua irriducibilità al mondo.
La persona umana consiste ed è ben definita solo a partire dal suo rapporto con Dio, al quale è naturalmente aperta e del quale è creata immagine e somiglianza.
Creata per se stessa, non può mai essere ridotta a mezzo; ha dignità infinita, è soggetto di diritti inalienabili; deve restare alla radice, al centro e al vertice di ogni forma di socialità.
Inoltre dall'incontro con Cristo, la persona riceve una novità ontologica e un nuovo principio di conoscenza e di azione.
Tutto ciò evita che sia ridotta a frammento della materia fisica o a numero anonimo di qualsiasi collettivismo.
Le situazioni culturali, socio-eco-nomiche e politiche, dei diversi tempi e luoghi, poco o tanto la condizionano; ma non la determinano mai del tutto.
Con la sua libertà creativa intrattiene relazioni e costruisce una società al suo servizio.
In altri termini, per affrontare adeguatamente dal punto di vista antropologico il problema sociale, occorre partire dalla questione fondamentale del senso della vita, della ricerca della verità e dell'apertura al Mistero.
L'inevitabile domanda di senso ultimo rende presente in ogni uomo un'originaria tensione verso l'Assoluto.
Ciò gli conferisce un valore che non può essere negato da alcun condizionamento estrinseco.
Poiché la struttura dell'uomo è domanda inesauribile, se non si ammettesse l'esistenza di una risposta ad essa, si sopprimerebbe la domanda e si rinnegherebbe la stessa natura umana.
Dunque, soltanto l'affermazione del Mistero come realtà esistente oltre le capacità dell'uomo corrisponde pienamente alla struttura originale della persona.
Un impegno dell'uomo con il senso della vita, quindi un impegno teso a comprendere tutti i fattori di essa, proietta l'uomo oltre sé.
È, infatti, inevitabile che egli si trovi oltre i suoi confini temporali e spaziali, che cioè percepisca in sé un principio che trascende gli stessi fattori di cui è composto.
Soltanto se lo sguardo profondo della sua coscienza e del suo spirito si spinge oltre la temporalità, egli può comprendersi unitariamente.
In questo senso si può dire che la persona vive in sé il principio della trascendenza.
Ogni cultura, per quanto tenti di comprendere realisticamente l'uomo, di impegnarsi con il senso della vita abbracciando tutte le sue componenti esistenziali, configura già un rapporto con qualcosa d'Altro che va oltre l'uomo, con un Mistero che lo caratterizza profondamente.
La trascendenza, pertanto, è un'inevitabile connotazione religiosa della cultura: « Al centro di ogni cultura sta l'atteggiamento che l'uomo assume davanti al mistero più grande: il mistero di Dio.
Le culture delle diverse Nazioni sono, in fondo, altrettanti modi di affrontare la domanda circa il senso dell'esistenza personale: quando tale domanda viene eliminata, si corrompono la cultura e la vita morale delle Nazioni ».62
Il cristianesimo ha quindi contribuito in modo decisivo, nel corso della storia dell'occidente, ad edificare una civiltà capace di valorizzare la ragione come domanda di verità e la libertà come responsabilità dell'uomo di fronte alla verità.
Responsabilità che può essere vissuta positivamente o negativamente, ma che comunque è inderogabile per la singola persona e che non può essere delegata a nessun altro uomo o a nessun'altra istituzione.
Questa valorizzazione della libertà e della ragione si esprime nella vita sociale con la capacità di rispetto.
La civiltà promossa dalla Chiesa è caratterizzata da un profondo rispetto delle diversità.
La dottrina sociale cerca quindi di difendere e promuovere l'uomo come persona, sia a partire dal contenuto della Rivelazione che lo definisce fatto ad immagine e somiglianza di Dio, sia a partire dalla strutturale dinamica trascendente che contraddistingue l'essere umano.
Il recupero di tale dimensione costitutiva dell'uomo permette non solo di difendere la dignità dell'uomo, ma anche di rendere più facile l'annuncio della verità di Cristo.
Per questo motivo nella Fides et ratio Giovanni Paolo II ha sottolineato l'importanza per la Chiesa di promuovere e favorire una filosofìa autentica, capace di indagare il senso ultimo della realtà: « Insistendo in tal modo sull'importanza e sulle vere dimensioni del pensiero filosofico, la Chiesa promuove insieme sia la difesa della dignità dell'uomo sia l'annuncio del messaggio evangelico.
Per tali compiti non vi è oggi, infatti, preparazione più urgente di questa: portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere il vero e del loro anelito verso un senso ultimo e definitivo dell'esistenza.
Nella prospettiva di queste esigenze profonde, iscritte da Dio nella natura umana, appare anche più chiaro il significato umano e umanizzante della parola di Dio.
Grazie alla mediazione di una filosofia divenuta anche vera saggezza, l'uomo contemporaneo giungerà cosi a riconoscere che egli sarà tanto più uomo quanto più, affidandosi al Vangelo, aprirà se stesso a Cristo ».63
La Chiesa è quindi impegnata in prima persona in una battaglia per l'uomo.
Una battaglia perché l'uomo possa recuperare ogni giorno la grande domanda di senso e possa vivere la grande libertà, che è il mettersi in rapporto con se stesso e con Dio, e, accanto a questo, possa sentire la testimonianza di chi ha incontrato il senso ultimo della vita nel mistero di Cristo.
La battaglia deve essere fatta contro la barbarie in cui l'uomo modemo-contemporaneo si è venuto a trovare.
Una barbarie raffinata, ma pur sempre una barbarie, esercitata da coloro che dispongono oggi di enormi apparati tecnologici e scientifici, che Bemanos nei suoi scritti politici chiamava, con una formula estremamente efficace, « barbari vestiti da galantuomini ».
È la barbarie delle manipolazioni, delle clonazioni, è la barbarie dell'uomo ridotto a solo oggetto del potere scientifico e tecnologico.
Tale barbarie si vince con la ragione e con la fede e la Chiesa non può cessare di sostenerlo.
La barbarie può essere arrestata solo se esiste "un popolo della fede" e se esiste "un popolo della ragione" che dialogano, entrano in contatto fra di loro, si sostengono, e si confrontano.
Con "popolo della ragione" intendo un popolo fatto da coloro che non accettano che la vita sia quella che Shakespeare ha definito una « tavoletta senza senso recitata da un idiota ».64
Un popolo in cui vibra la ragione come apertura al senso ultimo della vita; come tensione e come volontà di comprendere la realtà, anche quella complessa e variegata, della vita personale e sociale, secondo tutti gli aspetti di cui è fatta.
Il "popolo della fede" è il popolo di coloro che riconoscono che soltanto in Cristo c'è la salvezza per l'uomo e per il mondo.
Dal dialogo proficuo tra il popolo della ragione e quello della fede può scaturire il riconoscimento e l'affermazione del valore assoluto dell'uomo come persona.
L'uomo, proprio perché è persona, possiede se stesso ed è essenzialmente unico ed irripetibile, e, in quanto egli è coscienza, libertà, volontà e azione, si afferma come un mondo spirituale proprio.
Il Compendio della dottrina sociale lo ha affermato in modo chiaro: « L'uomo esiste come essere unico e irripetibile, esiste come un "io", capace di auto comprendersi, di autopossedersi, di autodeterminarsi.
[ … ] Non sono, tuttavia, l'intelligenza, la coscienza e la libertà a definire la persona, ma è la persona che sta alla base degli atti di intelligenza, di coscienza, di libertà.
Tali atti possono anche mancare, senza che per questo l'uomo cessi di essere persona ».65
Tale unicità e irripetibilità dell'essere persona è naturalmente da intendersi secondo quella prospettiva di profonda unità tra anima e corpo che rifiuta egualmente spiritualismo e materialismo: « La persona, incluso il corpo è affidata interamente a se stessa, ed è nell'unità dell'anima e del corpo che essa è il soggetto dei propri atti morali ».66
Benedetto XVI nella sua Enciclica sull'amore lo ha ribadito: « L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità [ … ]
Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuoi rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità.
E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza ».67
Per questo i singoli uomini non possono essere omologati, e se l'ordine biologico ammette la possibilità di considerare gli esseri umani come viventi che si equivalgono, secondo l'ordine personale tale ipotesi non è nemmeno teoreticamente pensabile.
Il Magistero sociale, dunque, ha indicato e indica tuttora come fattore irrinunciabile la persona con i suoi caratteri di trascendenza, di unicità, irriducibilità e di unità, da cui ne deriva la difesa della libertà e dei suoi diritti fondamentali.
Intende, inoltre, promuovere una società creata da tale libertà.
Il criterio di valutazione di una società diventa, perciò, la difesa della libertà della persona, che non solo deve essere riconosciuta, ma attuata.
In tal senso è di fondamentale importanza l'insegnamento conciliare sulla libertà religiosa, perché oltre a richiamare l'essenziale libertà dell'atto di fede, ha un valore culturale e sociale: dichiara la libertà religiosa un diritto insopprimibile della persona e dei popoli.
Così, dal Concilio in avanti, il criterio per stabilire la democraticità di uno Stato può essere considerato il suo rispetto della libertà religiosa.
I cristiani di oggi hanno una assoluta responsabilità in ordine alla difesa della dignità della persona umana, proprio attraverso la fedeltà a Cristo.
Tuttavia, in questa difesa non sono soli: hanno accanto a loro quelli che la tradizione cristiana chiama gli « uomini di buona volontà ».
La società civile è costituita da tanti cristiani e da tantissimi laici, da un popolo che è unito nel desiderio di vivere la vita in modo autentico e di trasfondere questa autenticità nella vita concreta e addirittura nelle istituzioni e nelle strutture regolatrici della vita sociale.
La Chiesa è perciò impegnata a proseguire quello che Papa Paolo VI definì nella Ecclesiam suam « il dialogo della salvezza »68 e a dare concretezza e visibilità, anche sociale, alla grande intuizione di Giovanni Paolo II, secondo la quale la Chiesa vive per mantenere aperto il dialogo fra Cristo e il cuore dell'uomo.
Per questo alla Chiesa interessa essere presente alla vita di ogni uomo, nel fermento concreto della società, senza perdere tempo con l'interloquire con gli epigoni intolleranti di quel laicismo anticlericale, ormai definitivamente superato dall'evoluzione della storia e della società.
La Chiesa, attraverso la dottrina sociale pensa ai suoi figli credenti e pensa, insieme e con la medesima affezione, a tutto quel grande "popolo della ragione" che intende vivere la propria vita personale e sociale non secondo la meschinità dei suoi interessi privati, ma secondo la profondità e l'ampiezza di quella domanda di senso che rende l'uomo, secondo l'acutissima intuizione di Mons. Luigi Giussani « l'autocoscienza del cosmo ».69
L'uomo del nostro tempo ha più che mai bisogno di essere introdotto alla religione del Dio che si è fatto uomo perché l'uomo, secondo la straordinaria formula dei Padri greci, possa diventare come Dio.70
La Chiesa non si è posta contro il formarsi degli stati moderni in quanto tale.
Tuttavia, non ha mai mancato di denunciare la componente ideologica presente all'interno del processo che ha portato alla formazione dello Stato moderno.
L'esito di tale processo ha coinciso, infatti, non con un effettivo esercizio del potere democratico, ma con una concezione totalitaria della vita sociale e dello Stato, tragicamente sperimentata sotto i regimi del XX secolo.71
La Chiesa ha, più precisamente, condannato la realizzazione di quel progetto che, tramite la costruzione di una realtà culturale e sociale anticristiana, ha assolutizzato la dimensione politica e la struttura regolativa della vita politica, svincolandole obiettivamente da qualsiasi riferimento che le trascendesse.
Come è stato descritto precedentemente, questo progetto, che contraddistingue la componente laicista della modernità, si è fondato sulla negazione della domanda religiosa propria dell'uomo.
Ad una concezione metafìsico-religiosa che vede l'uomo come inesauribile ricercatore della verità e del senso ultimo della propria esistenza, proiettato verso un quid che lo supera infinitamente, si è sostituita un'antropologia che aveva come punto di partenza l'affermazione che l'uomo può tutto.
La visione antropologica dell'uomo autosuffìciente, che conosce definitivamente la realtà e la manipola fino alle sue conseguenze sociali, è una visione formulata astrattamente sull'immagine del potere.
L'uomo, definito come potere dall'età moderna, ha finito per trovare la sua ultima organizzazione in una struttura di potere: lo Stato.
L'età moderna nella sua concezione dello stato ha introdotto un presupposto ideologico: lo Stato viene ad identificarsi con la società, pretende di assorbire in sé la società, come aveva del resto ben evidenziato già Rosmini, indicando con il nome di società civile quello che noi oggi chiamiamo Stato: « Si suol dire la società senza più indicare la società civile.
Questa maniera di parlare annunzia già l'errore introdottosi nelle menti; ella suppone che la società civile assorba nel suo seno tutte le altre società: ella confonde la società civile colla società del genere umano [ … ] questa maniera di concepire e di esprimersi dà necessariamente alla società civile ogni potere, non lascia sussistere altra società al suo fianco ».72
Hegel ha forse fornito la formulazione più chiara di questo processo di assorbimento della società nello Stato, affermando che solo nello Stato si realizza un'esistenza pienamente razionale.
Secondo una tale prospettiva, la società non è altro che uno stadio di imperfezione, di irrazionalità e di istintività, che deve essere appunto trasceso nello Stato: « Lo stato è la sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile. [ … ]
Lo stato è il centro degli altri aspetti concreti della vita, cioè del diritto, dell'arte, dei costumi, delle comodità.
Nello stato la libertà è realizzata oggettivamente e positivamente.
[ … ] Sono piuttosto il diritto, la morale, lo stato, e solo essi, la positiva realtà e soddisfazione della libertà.
L'arbitrio del singolo non è, infatti, libertà.
[ … ] Solo nello stato l'uomo ha esistenza razionale ».73
Lo Stato moderno è nato dunque con la pretesa assolutistica di esaurire la vita della società e del singolo.
La sua formulazione culturale è ideologica, poiché tende ad occupare tutti i campi della società e a porsi come soggetto etico.
Non a caso lo Stato ha preteso di organizzare anche la vita ecclesiale e le stesse strutture ecclesiastiche.
Ciò è stato possibile perché, se non si riconosce la consistenza propria dell'uomo nel suo essere libero e responsabile di fronte a Dio, si finisce per farlo dipendere totalmente dal suo essere parte dello stato: « Certo l'individuo può farsi dello stato un mezzo, per conseguire questo o quell'altro.
Ma la verità, consiste nel fatto che ognuno voglia la cosa in se stessa, e abbia eliminato ciò che non è essenziale.
Tutto quello che l'uomo è, egli lo deve allo stato: solo in esso egli ha la sua essenza.
Ogni valore, ogni realtà spirituale, l'uomo l'ha solo per mezzo dello stato.
[ … ] La volontà soggettiva, la passione, è quel che mette in moto, che realizza.
L'idea è il momento interiore; lo stato è la vita esistente, effettivamente morale.
Esso è infatti l'unità della volontà universale, essenziale, e di quella soggettiva.
[ … ] Che questa totalità morale sussista, è l'assoluto interesse della ragione.
[ … ] Lo stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fine, e quelli sono i suoi strumenti.
[ … ] Lo stato non è infatti una realtà astratta, che si contrapponga ai cittadini: ben sì essi sono momenti come nella vita organica, in cui nessun membro è fine e nessuno è mezzo.
L'elemento divino dello stato è l'idea, com'è presente sulla terra ».74
Una tale prospettiva porta a non riconoscere il valore positivo della società, a non vedere o a leggere negativamente il carattere originario della socievolezza umana, a vedere una contrapposizione originaria tra l'individuo e la società.
Il cristiano, invece, non avverte opposizione con la società, perché fa esperienza di una forma di società che non lo inganna: la Chiesa.
Quest'ultima, partendo da questa esperienza positiva e dal riconoscimento della natura sociale dell'uomo, attraverso la dottrina sociale, ha cercato da sempre di affermare che lo Stato non esaurisce il complesso sociale.
La società precede naturalmente lo Stato.
Come ha ricordato il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes « l'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti ».75
La persona umana per sua natura è un essere sociale, data la sua innata indigenza e la sua connaturale tendenza a comunicare con gli altri.
Ne consegue che per la crescita integrale della persona è necessaria la partecipazione e l'integrazione sociale; ma qualsiasi forma di società civile deve restare sempre al servizio della persona.
Per questo motivo lo Stato non può e non deve sostituirsi alla società.
Deve piuttosto servire la società, deve essere a servizio del bene comune, cioè della libertà delle persone e dei gruppi.
Le persone si esprimono e crescono, dando liberamente origine a diverse forme di società dette "organismi intermedi": famiglia, associazioni e forme di cooperazione educative e lavorative, enti locali, ecc.
Il potere politico, il diritto e le strutture economiche devono essere al loro servizio e integrarne le insufficienze in vista del bene comune.
Il potere politico non deve ostacolare, ma promuovere la creatività dell'uomo.
Egli deve essere in grado di esprimere la sua personalità attraverso le conoscenze che acquisisce, le imprese che compie con il lavoro e l'organizzazione sociale, i rapporti affettivi che stabilisce, in primo luogo con la famiglia, che genera ed educa i figli, aprendosi ad altre famiglie.
La dottrina sociale della Chiesa ha cercato di richiamare l'uomo moderno contemporaneo al fatto che la società è l'insieme delle esperienze di libertà, ovvero delle strutture, delle istituzioni create dalla liberà dei singoli e dei gruppi, mentre lo Stato deve avere solo un principio regolativo: la preoccupazione del bene comune.
Essendo lo Stato una struttura umana, possiede un valore etico, ma non una soggettività etica, come hanno invece preteso tutte le ideologie totalitarie.
Le parole di Pio XII pronunciate nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, nell'epoca dei grandi totalitarismi, risultano a questo riguardo particolarmente significative: « tutta l'attività dello Stato, politica ed economica, serve per l'attuazione duratura del bene comune; cioè, di quelle esterne condizioni, le quali sono necessarie all'insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa, in quanto, [ … ] le forze e le energie della famiglia e degli altri organismi, a cui spetta una naturale precedenza, non bastano ».76
Tali parole non sono però da considerarsi superate, relegate ad un'altra epoca.
Anche Benedetto XVI nella sua prima enciclica ha voluto ribadire che uno Stato che si sostituisce alla società non risponde veramente ai bisogni dell'uomo: « Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente - ogni uomo - ha bisogno: l'amorevole dedizione personale.
Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto.
La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell'amore suscitato dallo Spirito di Cristo.
Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell'anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale ».77
Quindi non solo la Chiesa non si è posta e non si pone contro la democrazia, ma essa difendendo la natura metafìsica dell'uomo, quindi la sua irriducibilità al mondo socio politico, insieme alla sua naturale dinamica sociale, ha contribuito in maniera decisiva alla costruzione di un'autentica democrazia.
Essa ha promosso e continua a difendere un ethos, un modo di concepire l'uomo in cui sono difese la centralità e la priorità della persona e della società sullo Stato.
Al di fuori di questa posizione, l'uomo risulta permanentemente vulnerabile di fronte al contesto materiale socio-politico.
Attraverso la missione, cioè la presenza viva e solidale del popolo cristiano, caratterizzato da una precisa identità culturale, che non può non denunciare tutti gli ostacoli che si intendessero porre al riconoscimento della dignità e della libertà dell'uomo e dei suoi irrinunciabili diritti, la Chiesa contribuisce a costruire, con la sua stessa presenza, una socialità ampia, articolata, solidale e rispettosa di ogni differenza, animata da una volontà di carità rivolta ad ogni persona, in qualsiasi situazione si trovi.
Il dolore, fisico o morale, ed i vari disagi che accompagnano in un modo che può sembrare ossessivo questa società dell'opulenza, sono un campo singolare di missione, di amore alla persona, di difesa e di promozione della sua libertà.
La dottrina sociale non è, infatti, riducibile a mero discorso sulla società; essa, come già anche in precedenza richiamato, è da considerarsi teoria che nasce da una reale azione sociale e caritatevole che fin dal suo sorgere ha sempre contraddistinto la vita della Chiesa.
Giovanni Paolo II ha definito l'esperienza della presenza cristiana nel mondo, scaturita dal carisma di San Benedetto, con questa espressione: "Era necessario che l'eroico diventasse quotidiano e il quotidiano eroico".
Con questa formula ha inteso indicare che la strada della missione è la quotidianità, la quale però risulta investita da una gratuità, da una misura che non è più quella dell'uomo, che assume tratti eroici, non per i meriti di chi ne è protagonista, ma perché vive nella certezza dell'appartenenza a Cristo.
Per il cristiano l'unica cosa che da significato e valore e dignità a tutto, all'istante, come al pensiero più sublime, come all'esperienza più vergognosa del limite, è solo la presenza di Cristo.
Per questo nell'azione caritativa della Chiesa la prima parola da tenere presente è la missione.
Le opere nascono per la missione di Cristo nel mondo, nella quotidianità e nella normalità della vita.
Il cristiano esercita la carità perché vive la gratitudine di essere stato accolto ed amato egli stesso per primo.
Chi come me ha vissuto per decine d'anni in una casa sostenuta dalla fede e dalla carità di una madre e di un padre, sa quanto questa sia una cosa vera, che acquista un significato tutto particolare per l'uomo di oggi sballottato, distrutto, massificato, espropriato.
E l'amore di cui si sente investito, nella sua partecipazione all'Avvenimento di Cristo, ciò che spinge il cristiano a creare strutture d'aiuto, di sostegno reciproco, che cambiano il modo con cui guardare i problemi.
È attraverso la condivisone del bisogno che il cristiano è chiamato a testimoniare la verità di Cristo.
Per il cristiano tutto quello che fa e crea, tutti i limiti che lo hanno segnato e tutta la gioia che ha vissuto, tutto il dolore che ha sopportato, tutto questo è chiamato a dare spessore e consistenza all'unica cosa che da più di 2000 anni la Chiesa grida: vieni, Signore Gesù.
L'esperienza di accoglienza, di carità esercitata nella normalità e nella quotidianità della vita, deve sapere rendere ogni giorno più vero questo grido, deve incrementare questo grido che la Chiesa rivolge ogni giorno al Signore.
Vieni Signore Gesù: questa è la dimensione esistenziale più profonda da conquistare ogni giorno, ma anche la dimensione che da verità ad ogni istante della vita del cristiano.
In altri termini l'impegno sociale del cristiano non è teso alla costruzione della società perfetta, all'eliminazione radicale dei problemi che angustiano l'uomo, siano essi la povertà, l'ingiustizia o altro, quanto all'affermazione del bisogno radicale della salvezza di Cristo.
Le profonde trasformazioni avvenute negli ultimi decenni del XX secolo del resto hanno accentuato il profondo divario tra la vita delle singole persone e il funzionamento delle strutture sociali, creando una situazione di grave disagio.
L'immagine stessa dell'uomo contemporaneo, formatasi ormai da alcuni secoli sulla base dell'ideale di autonomia, è stata messa fortemente in crisi dalla condizione di debolezza e di impotenza in cui la persona umana si è venuta a trovare.
In generale, si è creata una forte sfiducia nelle varie istituzioni statali a tutti i livelli, venendo a mancare quel principio di autorità laica, e spesso laicista, che aveva contraddistinto il mondo moderno in contrapposizione alla cristianità medievale, che proponeva il riferimento costante all'autorità religiosa.
Lo Stato moderno, fonte di ogni diritto e potere, oggi è fortemente criticato e proprio il fenomeno della globalizzazione non fa che accentuare questa crisi.
La gente comune fatica a riconoscere l'importanza delle istituzioni civili, spesso dominate dalla corruzione e dalla conflittualità per il potere.
La partecipazione alla vita politica attraverso i meccanismi della democrazia soffre di una crisi acutissima.
La rinascita di forme estreme di nazionalismo e localismo è da intendersi come una reazione a volte addirittura isterica alla debolezza delle istituzioni pubbliche, spesso in nome di tradizioni passate che hanno ormai poco significato reale nel presente.
L'amore alla patria diventa spirito di conflittualità aggressiva, che cerca nella contrapposizione al nemico vero o presunto i termini di un'identità da tempo perduta.
Oggi la Chiesa è chiamata a rimodellare la coscienza sociale, indicando nell'evento di Cristo il punto da cui partire, per riscoprire le fondamenta reali del potere e del servizio, il senso dell'autorità vera e dell'unità dei popoli per il bene comune.
Proprio la dimensione mondiale dello sviluppo sociale favorisce questo compito: la cattolicità, cioè l'universalità della Chiesa, è l'unica fonte di autorità spirituale che non è messa in crisi dal crollo dello stato moderno e ha quindi la responsabilità di riscoprire e riproporre la propria natura in modo credibile, senza farsi strumentalizzare dai movimenti radicali apocalittici, che vedono nella globalizzazione un evento demoniaco distruttivo, o dai movimenti sciovinisti che difendono un astratto particolare etnico o nazionale.
L'ecclesiologia del Concilio Vaticano II ha riproposto un'ideale patristico di Chiesa come comunione spirituale: oggi questo ideale deve essere nuovamente saldato alla realtà della Chiesa come istituzione sociale, non "perfetta" e chiusa in se stessa, ma aperta e dialogante con un mondo alla ricerca dell'identità.
Del resto, il problema dell'identità non ha solo una dimensione sociale e pubblica, ma anche e soprattutto personale e spirituale.
L'illusione dell'autonomia rende l'uomo non soltanto impotente di fronte all'oppressione delle varie forme di potere, ma lo fa sentire anche profondamente solo e disperato di fronte al proprio destino.
La disperazione è forse la malattia più grave dell'uomo contemporaneo ed è resa evidente dalla spaventosa crisi della famiglia, l'istituzione più naturalmente legata alla persona.
La famiglia è in crisi ovunque e sembra quasi si voglia sradicarla dalla coscienza delle persone.
I rapporti interpersonali fondamentali, tra genitori e figli, tra fratelli e parenti, e di conseguenza tutta la catena dei rapporti sociali, sono ridotti a forme di strumentalizzazione reciproca, non di unità umana profonda e feconda.
Si sta insieme per convenienza e la convenienza finisce sempre per avere dei termini molto limitati.
La legge che regola i rapporti è quella dell'indifferenza etica, dell'insignificanza per la persona, e quindi della precarietà più assoluta, che porta anche a una notevole aridità.
La famiglia, per quel poco che resiste nel suo insieme, non è più luogo di comunicazione umana e di comunicazione della verità, non accompagna nelle grandi questioni della vita ed è perfino ormai poco capace di generare: le società occidentali sono ormai incapaci di rigenerarsi e sono davanti allo spettro della depopolazione e della immigrazione incontrollata, con tutti gli sconvolgimenti sociali che questo comporta.
L'attacco alla famiglia e alla sua stessa costituzione naturale risulta essere una minaccia profonda alla dignità stessa dell'uomo: « Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il "matrimonio di prova", fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell'uomo.
Una tale pseudo-libertà si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell'uomo.
Il suo presupposto è che l'uomo può fare di sé ciò che vuole: il suo corpo diventa così una cosa secondaria dal punto di vista umano, da utilizzare come si vuole.
Il libertarismo, che si fa passare per scoperta del corpo e del suo valore, è in realtà un dualismo che rende spregevole il corpo, collocandolo per così dire fuori dall'autentico essere e dignità della persona ».78
Si tratta di una banalizzazione dell'uomo perché tale posizione dimentica, se non addirittura nega esplicitamente, l'autentico significato e valore del matrimonio e della famiglia, ribadito con chiarezza dalle parole di Benedetto XVI: « matrimonio e famiglia non sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche.
Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l'uomo e la donna affonda le sue radici dentro l'essenza più profonda dell'essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui.
Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell'uomo su se stesso: chi sono? cosa è l'uomo?
E questa domanda, a sua volta, non può essere separata dall'interrogativo su Dio: esiste Dio? e chi è Dio? qual è veramente il suo volto? ».79
Il vincolo familiare si radica quindi nella naturale dinamica ontologica costitutiva della persona umana e ogni costruzione sociale nel legiferare sulla famiglia non può non tenerne conto.
Di fronte a questo attacco alla famiglia « la Chiesa non può cedere alle pressioni di una certa cultura, anche se diffusa e talvolta militante ».80
La Chiesa non si è stancata di ribadire che « la prima e fondamentale struttura a favore dell'"ecologia umana" è la famiglia, in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuoi dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuoi dire in concreto essere una persona ».81
La Chiesa ha sempre difeso il primato della famiglia, il suo essere « la prima società umana »,82 perché è sempre stata consapevole che ridurre la famiglia « ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all'autentica crescita dell'intero corpo sociale ».83
La pastorale della famiglia, così fortemente sostenuta dal Magistero di Giovanni Paolo II, è uno degli esempi più evidenti del grande compito missionario della Chiesa nel terzo millennio: riscoprire il significato della famiglia significa dare una concreta possibilità all'uomo di ritrovare se stesso in quel deserto che è il mondo contemporaneo.
Come più volte ha richiamato lo stesso Giovanni Paolo II, è infatti l'uomo la via tracciata alla Chiesa da Cristo con il mistero della sua incarnazione e redenzione.
Per questo la Chiesa deve prendersi cura e avere responsabilità per l'uomo reale, concreto e storico, inserito nella complessa rete delle relazioni che sono proprie delle società moderne.84
La Chiesa si è impegnata e si impegna, attraverso la dottrina sociale, affinché il diritto di natura sia affermato come precedente la norma positiva e la famiglia sia riconosciuta come il fondamento stesso della vita associata: « La famiglia, fondata sul matrimonio contratto liberamente, unitario e indissolubile, è e deve essere considerata il nucleo naturale ed essenziale della società.
Verso di essa vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidano la stabilità e facilitano l'adempimento della sua specifica missione ».85
L'uomo, infatti, nel suo sviluppo naturale origina un popolo, la cui cellula primaria è la famiglia.
Il popolo, che nasce dalla tradizione cristiana, ha un origine ed una vita propria che si sviluppa in primo luogo attraverso l'educazione familiare; origine e vita propria che precedono lo Stato.
Quest'ultimo, secondo tale prospettiva, deve avere come compito quello di garantire lo svolgersi della vita del popolo e non quello di imporsi su di essa, o in alcuni casi addirittura contro di essa. Leone XIII nella celebre Rerum novarum afferma chiaramente che « se l'uomo, se la famiglia, entrando a far parte della società civile, trovassero nello Stato non un aiuto, ma offesa, non tutela, ma diminuzione dei propri diritti la civile convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare ».86
Proprio perché la famiglia non è solo il cuore della vita cristiana ma è anche il fondamento della vita sociale e civile, essa costituisce un capitolo centrale nell'insegnamento sociale cristiano.
Pio XII di fronte alla distruzione della guerra, all'immane tragedia vissuta dalle popolazioni nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ha indicato nella difesa e nella promozione della famiglia una delle condizioni fondamentali per la costruzione della pace e per il rinnovamento della società: « Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società [ … ] dia alla famiglia, insostituibile cellula del popolo, spazio, luce, respiro, affinché possa attendere alla missione di perpetuare nuova vita e di educare i figli in uno spirito, corrispondente alle proprie vere convinzioni religiose ».87
Molto più recentemente in un contesto storico ben diverso anche Giovanni Paolo II ha voluto ribadire che la famiglia è fondamentale per il bene della Chiesa e della società e che risulta perciò di primaria importanza difenderla: « In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia ( Gaudium et spes 47 ), sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana, e contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso Popolo di Dio ».88
Quali sono più specificamente la missione e i compiti della famiglia secondo l'insegnamento sociale della Chiesa?
« La famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta troverà il suo componimento nel Regno di Dio [ … ] la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa ».89
Seguendo sempre l'insegnamento di Giovanni Paolo II, si può dire che tale missione si articola secondo quattro compiti generali: la formazione di una comunità di persone; il servizio alla vita; la partecipazione allo sviluppo della società; la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.
Pertanto la famiglia, oltre a essere « il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana »,90 risulta
anche essere luogo fondamentale per la vita della Chiesa e per la vita della società civile.
Per quanto concerne la vita della Chiesa la famiglia può testimoniare una vita vissuta cristianamente, una vita di condivisione e di missione.
La Chiesa, guardando la famiglia, diventa maggiormente se stessa.
Il modo, per contribuire allo sviluppo della Chiesa da parte della famiglia, non è necessariamente l'impegno concreto, che si esprime nell'assumere cariche o rivestire ruoli all'interno della vita parrocchiale, ma innanzitutto quello di essere Chiesa.
Il primo contributo importante è la propria testimonianza di esser Chiesa: « la stessa vita di famiglia diventa itinerario di fede e in qualche modo iniziazione cristiana e scuola della sequela di Cristo ».91
Perché ciò accada è necessario che la famiglia sia chiamata a una continua conversione dell'intelligenza per fare proprio l'orizzonte della missione, dilatando la propria mentalità, che a volte rischia di essere scambiata con la verità.
Quanto più vive così, tanto più la famiglia costruisce la Chiesa.
L'elevazione a sacramento del matrimonio è ciò che trasforma la natura dell'unione familiare, conferendogli un senso non solo economico e sociale, he è presente naturalmente in tutte le civiltà.
Il sacramento, quindi la Chiesa, sono, infatti, la possibilità concreta che l'amore non degeneri nella riduzione dell'altro familiare ad un oggetto di possesso » sia che si tratti dei figli, sia che si tratti della persona che si sposa.
A sua volta la Chiesa impara dalla famiglia la prossimità e la familiarità, non riducendosi, così, a pietismo religioso o a moralismo.
La fede o è familiarità, e quindi determina una compagnia umana e storica, oppure non è, non esiste.
In altri termini la Chiesa insegna alla famiglia che non è un'isola e la famiglia insegna alla Chiesa che è un popolo.
Proprio perché la fede stessa è una familiarità, una comunità adulta dovrebbe essere un insieme di famiglie, che mostrano al mondo che la Chiesa è una famiglia.
È per questo che la grande battaglia contro la Chiesa è stata anche la battaglia contro la famiglia.
La comunità familiare basata sul matrimonio è stata, infatti, negata, marginalizzata e le sono stati tolti i suoi diritti, primo fra tutti quello all'educazione.
Nella storia della Chiesa il più grande soggetto missionario sono sempre state le famiglie, innanzitutto con la loro missione nel quotidiano, che è diventata opera nel mondo.
Per quanto concerne invece la vita della società l'influenza della famiglia su di essa è il risultato dell'impegno con la vita.
La vita della famiglia, se è il continuo rinnovarsi di un soggetto ecclesiale, sviluppa una cultura che nasce dalla fede.
Il primo contributo alla costruzione della società è da individuare allora nel giudizio, dal momento che il primo servizio che si può offrire all'uomo è quello della verità.
Il primo contributo che una famiglia può dare alla società è lo sviluppo di una coscienza capace di giudicare quello che accade al fine di offrire soluzioni creative e originali, cioè derivanti dalla fede.
La famiglia deve, perciò, essere intesa come un soggetto ecclesiale e allo stesso tempo come un soggetto capace di cultura, dunque in grado di porre criteri di giudizio e di comportamento originali, mostrandosi capace anche di valorizzare gli altri apporti che emergono nel dialogo, secondo quello che si definisce realmente "spirito ecumenico".92
La famiglia può influire sulla realtà che la circonda anche attraverso una seconda modalità, ovvero attraverso la realizzazione di opere, in cui sia affermata la centralità della persona e la sua libertà, create attraverso forme di condivisione di bisogni, ispirate dalla fede e caratterizzate dalla carità.
Questa seconda modalità è in realtà strettamente legata alla precedente, dal momento che l'opera è sempre espressione di una cultura e la cultura per sua natura esige di arrivare alla costruzione di un'opera.
La famiglia è, così, chiamata dal Magistero della Chiesa a diventare protagonista della realtà sociale e politica: « Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l'organizzazione previdenziale ed assistenziale delle pubbliche autorità non riesce a raggiungere.
Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia.
In tal senso le famiglie devono crescere, nella coscienza di essere "protagoniste" della cosiddetta "politica familiare" ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza ».93
Infine, non bisogna dimenticare, il ruolo fondamentale che la dottrina sociale riconosce alle famiglie per quanto riguarda l'educazione: « I genitori posseggono un diritto di priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione ».94
Ciò significa che « il diritto-dovere educativo dei genitori si qualifica come essenziale, connesso com'è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e che pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, ne da altri usurpato ».95
La dottrina sociale ha sempre condannato posizioni che sopprimano la libertà di educazione, perché una tale soppressione minaccia alla radice la naturale dinamica educativa.
Spetta innanzitutto ai genitori provvedere all'educazione dei figli; certamente non in modo esclusivo ma in modo prioritario.96
È naturale per una famiglia potere affidare la formazione dei figli a qualcuno che venga stimato come valido, che trasmetta un senso della vita condiviso, non semplicemente ad un apparato burocratico.
Rifiutando di delegare l'educazione esclusivamente allo stato, il Magistero riconosce alla natura dell'uomo, pur segnata dal peccato, la possibilità di costruire liberamente qualcosa di buono.
La tendenza invece a fare decidere il metodo e i valori di base della formazione scolastica dallo Stato sottintende una disistima nei confronti dell'uomo, il quale deve essere appunto sostituito nel definire il senso dell'esperienza educativa dal potere statale.97
La difesa della famiglia, ovvero del primo nucleo sociale che si sviluppa naturalmente e liberamente, è un'ulteriore conferma al fatto che l'indicazione fondamentale e programmatica della dottrina sociale nel terzo millennio cristiano sia la difesa della centralità dell'uomo.
Mentre lo Stato moderno tende a considerare la religione come parte di sé, secondo quel processo che tende a fare della religione uno strumentum regni, la dottrina sociale ha difeso la distinzione radicale fra la dimensione religiosa e la vita politica in quanto la religione non è problema della società e dello Stato, ma della persona, della sua libertà ultima di coscienza.
Lo Stato moderno, come si è brevemente accennato sopra, mentre afferma che occorre separare Chiesa e Stato, ha invece sostanzialmente perseguito l'assorbimento della Chiesa nello Stato.
Si è sviluppata la tendenza, dunque, a considerare la religione come qualcosa che deve essere socialmente e politicamente controllato dallo Stato.
Il potere politico ha, infatti, spesso preteso che per espletare funzioni religiose fosse necessario il permesso statale o che la nomina e la elezione delle autorità religiose dipendesse anche dall'intervento dello Stato.
Ha cercato cioè di subordinare totalmente a sé la vita religiosa dei propri cittadini, inglobando la Chiesa.
Tale operazione ideologica propria dell'epoca moderna è stata realizzata rinnegando la tradizione cattolica, la quale ha sempre insistito sulla distinzione tra la dimensione politica e quella religiosa.
Si tratta di una distinzione fatta propria dalla posizione cattolica fin dalle origini, che ha trovato la sua espressione esplicita nel Magistero del Vescovo di Roma intorno alla fine del V secolo, assumendo il nome « distinzione gelasiana », dal nome del Papa che l'ha formulata.
Secondo tale distinzione esistono una sfera religiosa ed una sfera politica, che non possono essere assimilabili.
« Per Gelasio si trattava di una questione di diritto: la religione cristiana non poteva adattarsi all'impero romano come già quella pagana.
Di fronte alla Chiesa l'imperatore non poteva rivendicare quello stesso potere assoluto di cui prima disponeva nei confronti della religione ».98
Esiste, pertanto, una priorità ontologica ed una priorità etica della dimensione religiosa su quella politica, ma non nel senso che la prima intervenga nella sfera politica direttamente, bensì solo in quanto chiama quest'ultima a confrontarsi continuamente con ciò che la precede ontologicamente: Dio e la sua legge e, storicamente, la persona e la sua coscienza".99
La distinzione gelasiana ha salvaguardato, dal 500 circa fino all'epoca moderna, sia la libertà della Chiesa, sia quella della persona.
« La difesa della libertà della Chiesa - ha affermato, infatti, Giovanni Paolo II - da indebite ingerenze dello Stato è allo stesso tempo difesa, in nome del primato della coscienza, della libertà della persona nei confronti del potere politico.
In ciò sta il principio basilare di ogni ordine civile conforme alla natura dell'uomo ».100
Questa distinzione rimane fondamentalmente operante al di là di tutte le tensioni pratiche e politiche, e al di là anche delle differenze di sottolineatura teorica.
Benedetto XVI l'ha ribadita nella sua Enciclica Deus caritas est: « Alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio ( Mt 22,21 ), cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l'autonomia delle realtà temporali.
Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare.
Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca ».101
Una distinzione quindi che non è da intendersi, come erroneamente ha fatto la modernità, nel senso della separazione.
È, infatti, necessario tenere presente che lo Stato non è altro che una fragile e contingente forma di convivenza che nasce dal popolo, il quale esiste nella misura in cui è costituito da una certa identità.
Questo significa che senza l'origine del vivere comune, senza una condivisione di senso, non si può parlare né di popolo, né di Stato.
È allora scorretto cercare di separare ciò che alimenta la speranza dei soggetti concreti, che liberamente si associano proprio a partire da quella speranza, dal modo concreto di costruire la società politica. Ecco allora che la dottrina sociale non è da considerarsi come indebita ingerenza, ma al contrario come un contributo importante alla costruzione di una società più giusta.
Nel corso dei secoli, se da un lato si è formata una componente che ha tentato di assimilare la dimensione religiosa a quella politica, dall'altro si è sviluppata una corrente opposta, sostanziata da un pessimo agostinismo, che ha cercato di inglobare la politica all'interbo della religione e di considerare la prima semplicemente come il braccio secolare della seconda.
Contro queste due visioni unificanti la Chiesa però ha sempre proposto la distinzione come salvaguardia non soltanto della libertà della Chiesa stessa, ma anche della libertà della coscienza personale e popolare.
Difendendo la libertà della Chiesa la dottrina sociale ha in questi cento anni difeso anche la libertà della persona e della coscienza, fino al punto che il Concilio Vaticano II e Giovanni Paolo II hanno indicato nel rispetto e nella promozione della libertà religiosa il criterio fondamentale che definisce la democraticità di uno Stato.
Il rispetto della libertà religiosa è indice, infatti, « dell'autentico progresso dell'uomo in ogni regime, in ogni società, sistema o ambiente ».102
Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis, rifacendosi esplicitamente alla Dichiarazione Dignitatis humanae, ha voluto sottolineare come nell'epoca contemporanea la Chiesa nello svolgimento della sua missione, quindi senza invadere campi che non le appartengono, è diventata custode della libertà umana: « La Dichiarazione sulla Libertà Religiosa ci manifesta, in modo convincente, come Cristo e, in seguito, i suoi Apostoli, nell'annunciare la verità che non proviene dagli uomini, ma da Dio ( « la mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato », cioè del Padre ), pur agendo con tutta la forza dello spirito, conservino una profonda stima per l'uomo, per il suo intelletto, la sua volontà, la sua coscienza e la sua libertà.
In tal modo, la stessa dignità della persona umana diventa contenuto di quell'annuncio, anche se privo di parole, mediante il comportamento nei suoi riguardi.
Tale comportamento sembra corrispondere ai bisogni particolari dei nostri tempi.
Siccome non in tutto quello che i vari sistemi ed anche singoli uomini vedono e propagano come libertà è la vera libertà dell'uomo, tanto più la Chiesa, in forza della sua divina missione, diventa custode di questa libertà, la quale è condizione e base della vera dignità della persona umana ».103
Del resto si può dire che Giovanni Paolo II ha incarnato questa difesa della libertà.
Il suo pontificato è stato sicuramente decisivo dal punto di vista storico per la liberazione dei popoli sottomessi dal totalitarismo sovietico.
Particolarmente significativo a questo riguardo rimane il primo viaggio di Giovanni Paolo II nella sua Polonia, ancora comunista, in cui la sua semplice presenza, il suo pellegrinaggio, perché di questo si è trattato, non certo di un viaggio con finalità di carattere socio-politico, è stato sufficiente per risvegliare nei cuori di milioni di polacchi il desiderio di Dio e con esso della libertà: « E tutto questo, a detta dei testimoni oculari e degli studiosi, sarebbe stato inimmaginabile senza il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II [ … ].
Il pellegrinaggio del Papa aveva dato a credenti e non credenti un nuovo senso del proprio valore, una nuova esperienza della dignità personale e una nuova determinazione a non lasciarsi più intimidire dal "potere" ».104
Giovanni Paolo II ha spesso anche richiamato esplicitamente l'importanza del rispetto della libertà di coscienza per la promozione di una società veramente umana: « I molti popoli che formano l'unica famiglia umana cercano oggi, sempre più frequentemente, l'effettivo riconoscimento e la tutela giuridica della libertà di coscienza, la quale è essenziale per la libertà di ogni essere umano [ … ]
Negare a una persona la piena libertà di coscienza e in particolare la libertà di cercare la verità, o tentare di imporle un particolare modo di comprendere la verità, va contro il suo diritto più intimo ».105
C'è chi sostiene però che l'idea della libertà religiosa e della libertà di coscienza sia un guadagno della modernità e che la Chiesa l'abbia riconosciuta ed accettata solo in tempi recenti, in modo chiaro e distinto solo con il Concilio Vaticano II.
Nei secoli precedenti la Chiesa avrebbe assunto una posizione ostile alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza, come risulterebbe ad esempio da numerose affermazioni del pensiero moderno condannate dal Sillabo di Pio IX.106
Tale interpretazione non tiene conto della reale posizione della Chiesa circa la libertà religiosa.
Il Sillabo, infatti, condanna non la libertà di coscienza in quanto tale, come spesso è stato denunciato, quanto la mentalità relativistica che incominciava a diffondersi, negando la possibilità di una verità assoluta e affermando l'equivalenza di tutte le religioni.
Il Magistero della Chiesa allora come oggi se da un lato ha sempre sostenuto che l'atto di fede è un atto libero e personale, a cui nessuno può essere obbligato contro la propria coscienza, difendendone l'assoluta libertà, dall'altro ha sempre sostenuto il fondamentale legame della libertà con la verità e anche l'unicità e definitività della salvezza in Gesù Cristo.107
Il valore della libertà religiosa, così come è proclamato all'interno del Concilio Vaticano II nella Dignitatis humanae, risulta, infatti, fondato, non sull'impossibilità di giungere al vero, sull'indifferentismo, condannati da Pio IX, ma sulla dignità dell'uomo inteso come essere che cerca la verità.
Le parole di Paolo VI a riguardo non lasciano alcun dubbio: « Il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, che riguardano questo campo, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono a opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e nell'adesione ad essa ».108
Chi si ferma ad una lettura superficiale del Magistero normalmente contrappone Sillabo e Dignitatis humanae, non cogliendo il loro accordo di fondo e non capendo che l'apparente contraddittorietà deriva dalla diversa prospettiva che le caratterizza: « Il Sillabo non colpì né condannò [ … ] la libertà, ma la sua dissociazione dall'ordine oggettivo.
[ … ] Se ne deduce non la contraddittorietà, ma la diversità formale fra la Dignitatis humanae e il Sillabo: questo spaziava sull'orizzonte oggettivo dei rapporti sociali, quella entra nel sacrario della coscienza individuale per tutelarlo da qualunque aggressione.
Non diversamente dal pensiero e dalla prassi di Pio IX, anzi della Chiesa stessa, come dimostra la costante proibizione delle conversioni forzate e del Battesimo contro volontà ».109
La libertà religiosa che oggi la Chiesa proclama e difende è in continuità con quanto in passato il suo Magistero ha affermato, ad esempio attraverso il Sillabo, perché il valore promosso con l'affermazione di tale diritto è innanzitutto la difesa della concreta possibilità di scelta del popolo.
La costitutiva vocazione dell'uomo alla verità non si attua in astratto, ma sempre dentro la particolare situazione storica in cui l'uomo è posto.
Se si tiene conto di ciò, il Sillabo, inteso talora come un ostacolo al cammino della libertà e del progresso, si rivela invece come un'appassionata difesa della libertà concreta.
Difesa, cioè, di quella libertà del popolo che, di fronte ad un evidente tentativo da parte di un élite minoritaria di manipolare per scopi politici la mentalità comune, ha trovato nella Chiesa un sostegno ed un appoggio per affrontare la realtà culturale, sociale e quotidiana, senza chiudersi in una posizione nostalgica di semplice riproposizione del passato.
La lotta alla Chiesa, che ha caratterizzato gran parte del movimento liberale ottocentesco, è stata realizzata anche attraverso il sostenere la possibilità di coltivare come ragionevole qualsiasi culto religioso o politico.
La Chiesa vi si è opposta, non solo per difendere la ricchezza del patrimonio culturale e religioso della tradizione cattolica, ma anche per impedire le conseguenze negative di una libertà indifferente alla verità.
La condanna contenuta nel Sillabo non è alla libertà di culto, ma al sostenere contro la tradizione cattolica una libertà indiscriminata di culto, dove ad uguale titolo possa essere considerata legittima ogni forma di setta religiosa, comprese quelle che risultano nocive per la stessa umanità.
In sintesi, l'insegnamento di Pio IX non condanna « la libertà di pensiero, di parola, di stampa, di coscienza e di culto sic et simpliciter, ma respinge la sfrenata libertà di pensiero, quella, cioè, che non riconosce nemmeno la destinazione essenziale del pensiero alla verità, che per un cattolico è, non esclusivamente bensì fondamentalmente, la verità divina rivelata; non la libertà di parola in astratto, ma la libertà di parola che non tenga conto della suggestionabilità dei deboli, degli ignoranti o meno provveduti, e del pericolo di trarli in errore e far perdere loro il beneficio della fede; non la libertà di coscienza e di culto in astratto, cioè di chi non conosca o non sia riuscito, in buona fede, a convincersi della trascendente ed unica verità del Cristianesimo, ma quelle libertà in quanto rivendicate in nome di un totale indifferentismo religioso e d'un intransigente agnosticismo ».110
Non si può trascurare il fatto che l'esaltazione della libertà come conseguenza dell'indifferenza nei confronti della verità ha fatto della possibilità di scelta il cardine della libertà, ma allo stesso tempo ha finito per paralizzare l'uomo nel suo esercizio di scelta.
Se tutto è indifferente, se nulla è più o meno vero, più o meno buono, in base a cosa scegliere?
Non c'è più un criterio insito nell'uomo: l'anelito alla verità, alla giustizia, al bene non sono più i criteri comuni ed universali insiti nel cuore dell'uomo in base ai quali giudicare della realtà.
Rimane solo il criterio che è imposto dal potere, da chi cioè detiene i mezzi per imporre del tutto arbitrariamente una propria visione della realtà.
Svincolato il problema della libertà dal problema della verità, l'uomo, senza che se ne accorga, finisce così per dipendere da una visione della realtà imposta, che non lascia spazio ad altro, assumendo sempre più i caratteri dell'idolo, perché non in grado di spiegare veramente la realtà.
Con le parole di Del Noce possiamo dire che « il male dell'occidentalismo presente sta nell'aver scisso il tema della libertà da quello dell'immagine di Dio »,111 ovvero della verità ultima.
Quello che la Chiesa ha sempre sostenuto, sia prima che dopo il Concilio Vaticano II, è che non esiste libertà senza verità.
Non esiste libertà se non come responsabilità di fronte al vero.
L'avere sciolto il nesso verità-libertà ha significato trasformare la libertà semplicemente in istintività, rendendo così l'uomo più facilmente manipolabile dal potere.
La libertà è, infatti, da considerarsi come quell'impeto, assolutamente personale, con cui ogni uomo risponde alla grande domanda sul senso ultimo della vita, al grande problema della verità.
Se si elimina la domanda sul senso, la domanda su Dio, il naturale movimento dell'uomo verso Dio, l'uomo è ridotto ultimamente a qualcosa di inconsistente, alla mercé di chi domina, di chi grida di più, di chi ha più forza per imporre i propri interessi, di chi è più capace di manipolare il consenso.
Senza questa tensione al vero, al bene, al bello, al giusto, senza questo "oltre" che dice la struttura profonda della vita e il dinamismo dell'intelligenza e del cuore, l'uomo non ha radici, è sradicato e diventa un pezzo di materia che la scienza pretende di normare in maniera definitiva, o addirittura di manipolare.
Il Magistero a partire quindi dalla condanna del materialismo insita nel Sillabo, fino ad arrivare all'insegnamento di Giovanni Paolo II, non ha mai smesso di ricordare che il vero protagonista della storia è l'uomo, che, sebbene condizionato dalle circostanze, è libero.
Una libertà che appunto non è assoluta, e quindi sempre limitata, ma che rende capace l'uomo di sperare, di cercare, di incontrare, di amare e dilatare la presenza del vero, del bene, del giusto.
Le due parole verità e libertà, solo se sono tenute insieme, esprimono in modo adeguato l'esperienza umana.
L'uomo è tutto nel suo cuore, cioè in questa tensione a conoscere il vero, in questo andare oltre i limiti della propria esperienza umana, perché l'esperienza umana non è sufficiente, non ha in sé la sua ragione.
L'uomo non può vivere di istinto e non può vivere neanche di conoscenze particolari, o di situazioni particolari.
L'uomo è percorso da un'inquietudine che lo porta verso qualche cosa di diverso che pure è radice di ciò che vede tutti i giorni.
Quando un uomo dice "io" apre nella sua vita il mistero del suo cammino verso Dio, ma apre questo cammino perché è libero, radicalmente può dire "voglio" o "non voglio", può assecondare questo intendimento o negarlo, ma quando lo asseconda capisce che la radice del suo muoversi è la fonte della libertà.
La libertà non può essere astrattamente separata dal riconoscimento della verità, intendendo con libertà l'assoluta indifferenza di fronte alla verità.
L'uomo è libero perché cerca Dio.
L'uomo non è libero perché fa quello che gli pare e piace.
La libertà non può consistere innanzitutto nel fare ciò che si vuole, perché se non si deve costringere nessuno ad aderire alla verità non si può neanche rimanere indifferenti di fronte alla verità.
Diceva Kierkegaard che l'uomo non è né un esteta, né un produttore, ma un religioso.
L'uomo non è né un esteta ( esteta nel senso del sensibile, cioè che reagisce e ordina le sue reazioni ) e non è neanche un produttore, quello che manipola la realtà in modo da creare situazioni sempre più adeguate.
Questi sono aspetti importanti, ma secondari.
L'uomo è la ricerca di Dio, del senso ultimo, ed in questo l'uomo gioca integralmente la sua responsabilità, la sua libertà.
La radice misteriosa della sua libertà è questo "oltre" verso cui egli si muove.
Se togliamo l'oltre, si perde la libertà, non a livello teorico, ma soprattutto e drammaticamente come concreta esperienza.
Non solo la libertà nella tensione a conoscere il senso ultimo implica un'apertura al reale, un legame fondamentale e inscindibile con la verità; la libertà implica da sempre anche un'apertura all'altro, perché la realtà non è costituita soltanto da cose, dalla natura, dagli eventi; la realtà a cui la vita si apre, con cui la mia libertà si gioca, è anche l'altro accanto a me.
Allora la libertà è sfidata dall'altro. Chi è l'altro per me?
L'oggetto di una manipolazione, il punto di una reazione affettiva, sentimentale, psicologica, sessuale?
L'altro è qualcuno che mi accorgo essere misteriosamente come me all'interno del grande mistero delle cose.
La libertà che si gioca con l'altro capisce che confusamente l'altro è accanto a me come una realtà simile a me, quasi come me.
L'apertura che è la libertà verso l'altro si declina allora come amore.
La natura umana nulla sente più vicino a sé della dedizione.
La libertà si coniuga come ricerca del vero, come grande tensione al mistero, cioè come amore.
È per questo che un uomo che dice Tu alla sua donna dice sì al Mistero.
Come dice Shakespeare: « Mostrami un'amante che sia pur bellissima.
Ma che servirà la sua bellezza, se non come un segno dove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella ».112
Il vero grande antidoto alla falsa idea di libertà, che è affermata a prescindere dalla verità, è correre fino in fondo il rischio della libertà come impegno con la realtà, come tensione a comprendere la realtà.
Un tale impegno porta l'uomo ad amare l'altro, a vedere nell'amore per l'altro la legge fondamentale della propria esistenza, ovvero il modo attraverso il quale realizzarsi pienamente.
La libertà non può pertanto essere scissa dal problema della verità e dalla dinamica di amore che contraddistingue l'esistenza dell'uomo riassunta nella formula evangelica « ama il prossimo tuo come te stesso ».
La libertà è ragione ed amore: quando un uomo dice "Io" e si rapporta alla realtà e sente dentro di sé quella che Agostino ha chiamato in modo indimenticabile e insuperabile "inquietudine",113 fa esperienza autentica della libertà.
La libertà è ragione e amore, ma la ragione e l'amore di cui è fatto il cuore dell'uomo convivono misteriosamente con un'originale debolezza e negatività.
Per questo la libertà ha bisogno di essere guarita, ha bisogno dell'immagine della redenzione, che per secoli è stata la più cara alla tradizione cattolica, soprattutto per la testimonianza fornita dalla patristica orientale, cioè quella del Cristo Guaritore.
Secondo tale immagine l'uomo ferito, deluso, ingannato dai ladroni, che attualizzando la parabola evangelica possiamo dire che oggi rappresentano le grandi illusioni ideologiche socio-politiche, filosofiche o scientifiche della modernità, trova nel Cristo il suo guaritore.
Nella parabola evangelica del buon samaritano l'uomo, lasciato per strada mezzo morto dai briganti, trova improvvisamente accanto il buon samaritano, colui che si piega su di lui, ne compartecipa e ne condivide le sofferenze, ne cura le ferite e lo guarisce, prendendolo sulle spalle e portandolo in albergo.
Il Cristo guaritore allo stesso modo allora è colui che fa entrare l'uomo ferito in una casa nuova e diversa, quella in cui la grande potenzialità umana, ragione e amore, vengono custodite ed educate.
La libertà, che è una grande potenzialità che l'uomo ha nel suo cuore dall'inizio del mondo, avendolo Dio fatto a sua immagine e somiglianza, è stata pienamente riscattata da Cristo.
Quella possibilità di corruzione, quella debolezza comune, che tende a controvertere in negativo questa potenzialità, ha incontrato il mistero dell'uomo Dio, di Dio che si è fatto uomo perché l'uomo potesse diventare Dio.
Occorre, allora, che tutto il grande movimento della ragione, senza perdere il fascino del compiersi come ragione, si apra a questo incontro inedito, inaspettato, imprevedibile, non previsto, non deducibile dai suoi antecedenti.
Occorre che la ragione si compia nella fede e la fede, accogliendo la ragione, si compia anch'essa in qualche modo nella ragione, perché la fede che si incontra nella ragione dimostra la sua verità, diventa capace di dare le proprie ragioni e quindi diventa capace di comunicarsi.
La fede cristiana si comunica, infatti, attraverso la vita di coloro che credendo mangiano, bevono, vivono e muoiono con una ragione diversa da quella di tutti gli altri.
La parola è dentro il cuore di ciascuno uomo che vive la battaglia di tutti i giorni.
Il cuore dell'uomo è un campo di battaglia tra l'essere e il nulla; battaglia che può volgere verso la sconfitta, verso il prevalere della tentazione ideologica, oppure verso il sopravvento della verità.
Tuttavia, nel groviglio delle contraddizioni e dei limiti, in quell'ultima e insondabile complicazione che risulta essere il cuore dell'uomo, per grazia è venuto Cristo nel vivo della storia.
E qui, nel vivo della storia, c'è la Chiesa, c'è il popolo dove il Signore è presente, c'è il popolo dove la nostra guarigione può accadere continuamente, il luogo dove la maternità e la paternità di Dio - perché Dio è padre e madre, quindi è l'estrema e ultima tenerezza, da cui nasciamo e da cui torniamo - ci fanno compagnia educativa.
Un cammino, il nostro, segnato da tanti errori e da tanti limiti, ma anche un cammino sicuro verso la pienezza della verità, perché la pienezza della gloria di Dio coincide storicamente con una umanità nuova.
Un uomo nuovo che vive nel mondo, questa è la gloria di Dio.
Il Magistero sociale della Chiesa ha sempre denunciato il pericolo dell'assolutismo: la concezione assolutistica della vita politica e dello Stato riduce tutti i diritti dell'uomo a mera sopravvivenza fisica, negando l'insieme delle esigenze primarie che la dottrina sociale ha da sempre collegato alla persona.
La Chiesa, inoltre, ha voluto, innanzitutto, evidenziare come l'assolutismo si sia presentato nella storia della modernità con una connotazione culturale, teorica, prima ancora che pratica e politica.
Da qui l'esigenza di elaborare un Magistero che evidenziasse l'origine del dramma sociale e politico dell'uomo moderno-contemporaneo, ovvero l'impoverimento sostanziale dell'uomo, che ha finito per perdere sia la sua eticità, sia la sua responsabilità ultima di fronte al destino, essendo venuta a mancare la drammaticità dell'esistenza umana come esperienza di rapporto con la verità della vita.
Tale forma di meccanicismo ha finito paradossalmente, contro quelle che erano le sue intenzioni iniziali, per celebrare non certo il potere dell'uomo, bensì il potere dello Stato sull'uomo stesso.
Di fronte a ciò la Chiesa ha, con sempre maggiore energia, affermato l'esistenza di diritti inalienabili della persona che devono essere riconosciuti e difesi all'interno della società: « In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili ».114
Diritti che hanno perciò il loro fondamento ultimo in Dio: « l'uomo è creatura di Dio, e per questo i diritti dell'uomo hanno in Dio la loro origine, riposano nel disegno della creazione e rientrano nel piano della redenzione.
Si potrebbe quasi dire, con espressione audace, che i diritti dell'uomo sono anche i diritti di Dio ».115
Nella Centesimus annus non solo troviamo un elenco dettagliato di tali diritti, ma troviamo anche ribadito il concetto che a fondamento di essi vi è il diritto alla libertà religiosa: « Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità.
Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona ».116
Dunque, la libertà è principio fondamentale di coscienza e di vita, riconoscerlo significa che l'uomo non può mai essere ridotto a nessuna struttura biofisiologica o a nessun intreccio di carattere socio-politico.
L'uomo è saldamente radicato sulla terra ma le sue radici sono altrove, nel cuore segreto e potente del Mistero.
Per questo motivo la libertà di coscienza è difesa con estrema chiarezza dalla Chiesa, senza rinunciare però ad indicare l'essenziale nesso che la lega alla verità: « Nessuna autorità umana ha il diritto di intervenire nella coscienza di alcun uomo.
Questa è il testimone della trascendenza della persona anche nei confronti della società e, come tale, è inviolabile.
Essa, però, non è un assoluto, posto al di sopra della verità e dell'errore; anzi, la sua intima natura implica il rapporto con la verità obiettiva, universale e uguale per tutti, che tutti possono e devono cercare.
In questo rapporto con la verità obiettiva la libertà di coscienza trova la sua giustificazione, in quanto condizione necessaria per la ricerca della verità degna dell'uomo e per l'adesione ad essa, quando è stata adeguatamente conosciuta.
Ciò implica, a sua volta, che tutti devono rispettare la coscienza di ognuno e non cercare di imporre ad alcuno la propria "verità", restando integro il diritto di professarla, senza per questo disprezzare chi la pensa diversamente.
La verità non si impone che in virtù di se stessa ».117
La stessa vita, oggi di fronte a quella che abbiamo indicato prima come "cultura di morte", secondo le parole di Giovanni Paolo II, è minacciata.
È come se il valore della vita subisse « una specie di "eclissi", per quanto la coscienza non cessi di additarlo quale valore sacro e intangibile, come dimostra il fatto stesso che si tende a coprire alcuni delitti contro la vita nascente o terminale con locuzioni di tipo sanitario, che distolgono lo sguardo dal fatto che è in gioco il diritto all'esistenza di una concreta persona umana ».118
Ecco allora il forte impegno della dottrina sociale nella difesa del diritto alla vita e nell'affermazione della sacralità della stessa.
È lo sguardo rivolto al fondamento ultimo e trascendente dell'esistenza che consente alla Chiesa nel suo insegnamento sociale, come si è del resto già evidenziato più volte nel corso di questo lavoro, di valorizzare in tutta la sua pienezza la vita umana, conferendogli un valore assoluto.
È proprio questo sguardo che è all'origine della lotta che la Chiesa sostiene per difendere la vita dell'uomo dal suo concepimento fino alla sua morte naturale: « L'uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.
L'altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale.
La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell'intero e unitario processo dell'esistenza umana.
Un processo che, inaspettatamente e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell'eternità ( 1 Gv 3,1-2 ).
Nello stesso tempo, proprio questa chiamata soprannaturale sottolinea la relatività della vita terrena dell'uomo e della donna.
Essa, in verità, non è realtà "ultima", ma "penultima"; è comunque realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione nell'amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli ».119
Proclamare il Vangelo di Gesù Cristo è proclamare coerentemente e conseguentemente il Vangelo della vita.
La vita della persona è sacra, perché la persona appartiene integralmente al mistero di Cristo e di Dio e, in questo mistero e per questo mistero, la persona umana è "per sempre".
La vita fisica è la condizione inevitabile perché la persona umana viva sulla terra e viva quindi il suo cammino di responsabilità verso Cristo nelle varie circostanze della sua esistenza; poiché è condizione dell'esistenza storica della persona umana, la vita fisica affonda le sue radici dove affonda le sue radici la persona, cioè nel mistero di Dio.
Per questo la vita fisica non è a disposizione di nessuno, né dei genitori, né dello Stato, né della scienza, né della tecnica, perché è dono di Dio concesso misteriosamente ad una libertà umana perché potesse vivere la sua avventura terrena come cammino verso Dio o contro Dio.
La fine della vita fisica, mediante la morte fisica, non annulla la persona come avvenimento di perennità in Dio, muta solo le condizioni entro le quali la persona vive il dramma del suo amore o del suo odio al mistero di Dio.
L'appello della Chiesa in difesa del diritto della vita è di fondamentale importanza, perché « sul riconoscimento di tale diritto si fonda l'umana convivenza e la stessa comunità politica ».120
Inoltre, è da considerarsi rivolto a tutti gli uomini, non solo ai cristiani.
Infatti, « la Chiesa sa che questo Vangelo della vita, consegnatele dal suo Signore, ha un'eco profonda e persuasiva nel cuore di ogni persona, credente e anche non credente, perché esso, mentre ne supera infinitamente le attese, vi corrisponde in modo sorprendente ».121
Questo perché « pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore ( Rm 2,14-15 ) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario ».122
La proclamazione della cultura della vita, attraverso la testimonianza impegnata di tanti cristiani, che fanno dell'amore alla vita, anche nei suoi aspetti più gravi o più deboli o dei suoi condizionamenti più penosi, occasione di testimonianza quotidiana di fronte al mondo e alla sua violenza, è la grande responsabilità che incombe su tutta la Chiesa e su ogni cristiano.
Si tratta cioè di aprire ogni giorno con la parola e con le opere quella via nuova che va dal cuore di Dio al mondo e che rende il mondo un luogo di positività, contro ogni tentazione di violenza, di sopraffazione o di meschinità: « Nell'accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più necessaria quanto più dominante si è fatta una "cultura di morte".
Infatti la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà.
Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel "Sì", di quell'Amen", che è Cristo stesso ( 2 Cor 1,19; Ap 3,14 ).
Al "no" che invade e affligge il mondo, contrappone questo vivente "Sì", difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita ( Familiaris consortio, 30 ).
Tocca ai fedeli laici, che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti nell'accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il "sì" della Chiesa alla vita umana ».123
Indice |
59 | Pio XII, Radiomessaggio, 24 dicembre 1944, 5 |
60 | Paolo VI, Octogesima adveniens 27 |
61 | Comp. dottrina sociale della Chiesa 133 |
62 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 24 |
63 | Giovanni Paolo II, Fides et ratio 102 |
64 | Cfr Shakespeare, Macbeth, atto V - scena V |
65 | Comp. dottrina sociale della Chiesa 131 |
66 | Giovanni Paolo II, Veritatis splendor 48 |
67 | Benedetto XVI, Deus caritas est 5 |
68 | Paolo VI, Ecclesiam suam 73 |
69 | Cfr L. Giussani, L'autocoscienza del cosmo, ed. BUR, Milano 2000 |
70 | « Diciamo infatti che Dio e l'uomo servono mutuamente l'uno a modello dell'altro, e che Dio si umanizza per l'uomo, nel suo amore dell'uomo, nella stessa misura in cui l'uomo, fortificato dalla carità, si trasforma per Dio in dio » ( Massimo il Confessore, Ambigua, PG 91,1113 bc ) |
71 | Per una più precisa trattazione del problema si veda L. Negri, Ripensare la modernità, ed. Cantagalli, Siena 2003 |
72 | A. Rosmini, Della naturale costituzione della società civile, Grigoletti. Rovereto 1887, p. 8 |
73 | G W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, tr. It. B. Croce, Laterza, Bari 1984, § 535 |
74 | G. W. F. Hegel, Lezioni di filosofia della storia, tr. It. G Calogero e C. Fatta, La Nuova Italia, Firenze, 1966,1, pp. 104-110 |
75 | Concilio Vaticano II, Gaudium et spes 12 |
76 | Pio XII, Radiomessaggio natalizio, 24 dicembre 1942 |
77 | Benedetto XVI, Deus caritas est 28 |
78 | Benedetto XVI, Discorso all'apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su famiglia e comunità cristiana, 6 giugno 2005 |
79 | Benedetto XVI, Discorso all'apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma su famiglia e comunità cristiana, 6 giugno 2005 |
80 | Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte 47 |
81 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 39 |
82 | Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane 7 |
83 | Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane 17 |
84 | « L'uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale - nell'ambito della propria famiglia, nell'ambito di società e di contesti tanto diversi, nell'ambito della propria nazione, o popolo ( e, forse, ancora solo del clan, o tribù ), nell'ambito di tutta l'umanità - quest'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nelcompimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione » ( Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 14 ) |
85 | Giovanni XXIII, Mater et magistra 9 |
86 | Leone XIII, Rerum novarum 10 |
87 | Pio XII, Radiomessaggio sull'ordine interno delle Nazioni, Natale 1942 |
88 | Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 3 |
89 | Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 17 |
90 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 39 |
91 | Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 39 |
92 | « Ecumenismo vuoi dire esperienza della verità nella sua ultima autenticità così che, qualunque cosa tu incontri, abbia una virgola giusta su tutto un disegno sbagliato, esalti quella virgola, sei capace di lodarla e di esaltarla » ( L. Giussani, Si può ( veramente ) vivere così?, ed. Rizzoli, Milano 1996, pp. 583-584 ) |
93 | Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 44 |
94 | Giovanni XXIII, Mater et magistra 9 |
95 | Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 36 |
96 | « I genitori sono i primi, ma non gli unici, educatori dei loro figli. Spetta a loro, dunque, esercitare con senso di responsabilità l'opera educativa in stretta e vigile collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiastici» ( Comp. dottrina sociale della Chiesa, 240 ) |
97 | Se si tiene presente ciò si capisce allora perché Pio IX nel Sillabo condanni la proposizione XLV, la quale afferma: « Tutto il regime delle pubbliche scuole, in cui si istruisce la gioventù di qualsiasi Stato cristiano può e deve essere affidato atta civile autorità; e per siffatta guisa affidato, che non si riconosca nessun diritto di altra qualunque autorità di immischiarsi nella disciplina delle scuole, nel regolamento degli studi, nel conferimento dei gradi, nella scelta ed approvazione dei maestri » |
98 | M. Greschat - E. Guerriero, II grande libro dei Papi, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, p. 83 |
99 | Papa Gelasio I così scriveva all'imperatore Anastasio: « Vi sono due princìpi. Maestà imperiale, per mezzo dei quali questo mondo è governato nei suoi gradi più elevati: la santa autorità dei vescovi e la potestà imperiale. Di ambedue, il peso dei sacerdoti è tanto più pesante per il fatto che essi dovranno rendere conto di fronte al tribunale di Dio anche per i sovrani degli uomini. Voi, figlio prediletto, lo sapete: certo tutto il genere umano si inchina alla vostra dignità imperiale; piegate tuttavia il capo davanti ai ministri delle realtà divine e attendete da esse i mezzi per la salvezza delle anime. Similmente, accogliendo i sacramenti celesti, quando essi siano convenientemente amministrati, secondo l'ordine sacro riconoscete di essere non coloro che danno ordini ma coloro che umilmente li ricevono. Di fronte dunque a queste realtà siate dunque dipendenti dal giudizio dei sacerdoti e non vogliate sottometterli alla vostra volontà » ( Ad imperatorem Anastasium, 494 ) |
100 | Giovanni Paolo II, Lett. apost. Motu Proprio per la proclamazione di San Tommaso Moro Patrono dei Governanti e dei Politici, 4 |
101 | Benedetto XVI, Deus caritas est 28 |
102 | Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 17 |
103 | Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 12 |
104 | G. Weigel, Testimone della speranza, Mondadori, Milano 1999, p.403 |
105 | Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXIV giornata mondiale della pace "Se vuoi la pace rispetta la coscienza di ogni uomo ", 1991,1 |
106 | Luigi Negri, Attualità e profezia di Pio IX, ed. Ares, Milano 2005 |
107 | Congregazione per la dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Jesus circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 6 agosto 2000 |
108 | Paolo V° Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, 20 dicembre 1976 |
109 | B. Gherardini, Pio IX. Una parola chiara, in « L'Osservatore Romano », 26 agosto 2000 |
110 | M. Brunetti, Il Sillabo. Un elenco dei principali errori dell'epoca, in « L'Osservatore Romano », 3 settembre 2000 |
111 | A. Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofIa contemporanea, a cura di Leonardo Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, p. 183 |
112 | Shakespeare, Romeo e Giulietta, atto I - scena I |
113 | « Ci hai creati per tè. Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te » ( S. Agostino, Confessioni, I,1 ) |
114 | Giovanni XXIII, Pacem in terris 5 |
115 | Giovarmi Paolo II, Lett. apost. Motu Proprio per la proclamazione di San Tommaso Moro Patrono dei Governanti e dei Politici, 4 |
116 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 47 |
117 | Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXIV giornata mondiale della pace "Se vuoi la pace rispetta la coscienza di ogni uomo ", 1991,1 |
118 | Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 11 |
119 | Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 2 |
120 | Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 2 |
121 | Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 1 |
122 | Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 2 |
123 | Giovanni Paolo II, Christìfideles laici 38 |