Per un umanesimo del terzo millennio |
Chiarite le linee fondamentali dell'azione correttiva esercitata dalla Chiesa, nei confronti di quella prospettiva moderna che ha cercato di costruire la società rifiutando e negando Dio, si sono voluti qui brevemente indicare i princìpi fondamentali del Magistero sociale.
Si tratta del principio del bene comune, del principio della sussidiarietà, del principio della solidarietà e del principio della dignità della persona.
È in quest'ultimo che trovano il loro fondamento gli altri tre.
Questi princìpi « costituiscono i veri e propri cardini dell'insegnamento sociale cattolico ».124
Essi devono essere considerati insieme, nella loro costitutiva connessione e articolazione: « L'attenzione verso ogni singolo principio nella sua specificità non deve condurre ad un utilizzo parziale ed errato, che avviene qualora lo si invochi come fosse disarticolato e sconnesso rispetto a tutti gli altri ».125
In realtà all'interno di questo lavoro essi sono già emersi nel considerare la posizione critica assunta dalla Chiesa nei confronti della modernità.
Si vuole, cioè, qui esplicitare del tutto ciò che era già presente implicitamente nei precedenti capitoli.
In particolare, visto che della dignità della persona si è già ampiamente trattato, si intende compiere alcune precisazioni circa gli altri tre.
Che cos'è il bene comune? « Per bene comune s'intende l'insieme di quelle condizioni di vita sociale che permettono ai gruppi e ai singoli di realizzare la propria perfezione ».126
Si tratta di condizioni di natura materiale e spirituale perché riguardano l'uomo nella sua integrità: « il bene comune ha attinenza a tutto l'uomo: tanto ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito ».127
Esso ha un importanza fondamentale in quanto l'uomo non può vivere da solo e naturalmente è portato a costruire la società.
Quest'ultima può realizzarsi adeguatamente solo nella misura in cui risulta organizzata secondo il bene comune: « Nessuna forma espressiva della socialità - dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni - può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza ».128
Il bene comune, quindi, si riferisce essenzialmente alla dimensione sociale della vita umana, non può essere considerato semplicemente come la somma dei beni particolari di ciascun individuo.
Il perseguimento del bene comune non può comunque mai richiedere il sacrificio del valore assoluto della persona.
Anzi, esso comporta « il rispetto e la promozione dei diritti fondamentali della persona; lo sviluppo dei beni spirituali e temporali delle persone e della società; la pace di tutti ».129
Tutti gli uomini sono chiamati a fornire, secondo le proprie capacità e secondo le circostanze particolari che vivono, il proprio contributo alla realizzazione del bene comune.
È, infatti, dalla dignità della persona che « scaturisce il diritto di prender parte attiva alla vita pubblica e addurre un apporto personale all'attuazione del bene comune ».130
Il principio del bene comune si regge sul principio della destinazione universale dei beni: « Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità ».131
Esso non è in opposizione con il diritto alla proprietà privata, spesso difeso dalla Chiesa contro prospettive di tipo collettivistiche.
Infatti, la Chiesa ne ha mai affermato il valore assoluto della proprietà privata, ne ha mai visto in essa qualcosa di necessariamente negativo.
La Chiesa ha sempre ritenuto legittimo il diritto alla proprietà privata, ma allo stesso tempo ha sempre affermato la necessità di regolamentarlo in base al principio della destinazione universale dei beni.
Lo stesso Stato e le stesse istituzioni devono essere concepite e organizzate in funzione del bene comune, la cui attuazione « costituisce la stessa ragione di essere dei poteri pubblici; i quali sono tenuti ad attuarlo nel riconoscimento e nel rispetto dei suoi elementi essenziali e secondo contenuti postulati dalle situazioni storiche ».132
Lo Stato, come ha insegnato il cristianesimo fin dai primi secoli, non deve essere il punto di riferimento ultimo della vita sociale, ma solo il suo punto normativo.
Lo Stato ha il compito di servire il bene comune che è il risultato della varietà delle espressioni della libertà e della responsabilità dell'uomo.
Lo Stato è concepito adeguatamente nella misura in cui si arresta di fronte alla dimensione della coscienza personale, che è sempre una dimensione religiosa e inviolabile.
È per questo motivo che « il bene comune della società non è un fine a sé stante », ma « ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona ».133
Sulla base dell'insegnamento sociale della Chiesa e dell'apporto concreto delle comunità ecclesiali è possibile pensare di realizzare uno Stato al servizio del bene comune.
La presenza del popolo cristiano come popolo che vive la missione, può generare nella vita della intera società un movimento positivo.
La Chiesa chiede a tutte le realtà religiose, laiche, culturali e sociali di essere presenti nella vita sociale in modo creativo e coerentemente con la propria identità.
Così, la società può diventare una realtà viva, organica, vivace, diversificata e lo Stato può vivere in maniera assolutamente irrinunciabile quel servizio alla vita sociale che è la caratteristica fondamentale del suo compito: promuovere il bene comune.
Il principio di sussidiarietà è considerato dal Magistero sociale della Chiesa un principio fondamentale che è necessario tenere presente per un corretto modo di intendere le istituzioni.
Le istituzioni devono, infatti, esistere per sussidiare i diritti fondamentali della vita sociale, per favorire il libero processo di costruzione sociale promosso dalle persone singole o associate.
Secondo quanto affermato da Giovanni Paolo II, infatti, « una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune ».134
Si può dire che, secondo tale prospettiva, lo Stato stesso, in qualche modo, nasca dall'esercizio del principio di sussidiarietà.
La dottrina sociale della Chiesa ha sempre difeso i diritti della società, chiedendo allo Stato di servire la società e non di "imporsi" ad essa.
Uno dei contributi più significativi della dottrina sociale al dibattito sulla natura e il valore dello stato, nel corso degli ultimi due secoli, è proprio quello di avere favorito l'idea che lo Stato non coincide con la società.
Stato e società sono stati invece fatti coincidere secondo il grande dogma della concezione totalitaria del potere.
Lo Stato è concepito dalla dottrina sociale al servizio della società.
Lo Stato è considerato da essa sempre in funzione della promozione del bene comune, che, già S. Tommaso d'Aquino, indicava come il risultato della libertà delle persone e della vita sociale.135
La sussidiartela, indubbiamente, favorisce una prassi autenticamente democratica.
La democrazia può considerarsi piena solo se esiste il riconoscimento e l'effettiva attuazione del principio di sussidiarietà.
Il non rispetto di questo principio fondamentale ha delle conseguenze deleterie sia per la persona in quanto tale, perché viene in qualche modo privata della propria responsabilità, sia per la società stessa, che risulta organizzata secondo logiche non umane.
Giovanni Paolo II ha così descritto alcune delle conseguenze negative del mancato riconoscimento del principio di sussidiarietà per quanto concerne i servizi socio-assistenziali: « Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese.
Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso.
Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più profonda.
Si pensi anche alla condizione dei profughi, degli immigrati, degli anziani o dei malati ed a tutte le svariate forme che richiedono assistenza, come nel caso dei tossico-dipendenti: persone tutte che possono essere efficacemente aiutate solo da chi offre loro, oltre alle necessarie cure, un sostegno sinceramente fraterno ».136
La non applicazione del principio di sussidiarietà ha delle conseguenze gravissime anche dal punto di vista dell'educazione.
Così facendo non si favorisce il diritto naturale delle famiglie di educare i propri figli, non si favorisce la possibilità che le scuole nascano dalla libera iniziativa di persone, di gruppi sociali, e si finisce invece per imporre un modello di scuola unica, statale, con conseguenze negative per la stessa scuola.
L'assenza di concorrenza genera un abbassamento progressivo del livello dell'istruzione, si impone un modello educativo senza che i genitori possano scegliere, viene negato un reale pluralismo e si favorisce l'imporsi di un sistema educativo ideologico.
Appartiene essenzialmente alla dottrina sociale della Chiesa la difesa e la promozione dei diritti della famiglia e dell'educazione: quindi il superamento del monopolio "statale".
Il principio di solidarietà è ugualmente un principio fondamentale nella dottrina sociale della Chiesa: « il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà, [ … ] si dimostra come uno dei princìpi basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica.
Esso è più volte enunciato da Leone XIII col nome di "amicizia", che troviamo già nella filosofia greca; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di "carità sociale", mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di "civiltà dell'amore" ».137
Il principio di solidarietà richiede che nella costruzione della società avvenga una giusta ripartizione dei beni, un'equa remunerazione del lavoro, un impegno per un ordine sociale più giusto.
L'uomo è naturalmente portato ad interessarsi all'altro, è spinto a interessarsi del bisogno dell'altro.
Il principio di solidarietà si radica su questa naturale propensione dell'uomo ed è strettamente legato al problema del bene comune.
Quando si parla di solidarietà non si parla quindi di « un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane.
Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ».138
Tuttavia, l'uomo in quanto peccatore tende ad affermare egoisticamente sé.
È necessario allora operare perché dal punto di vista sociale ciò non diventi un problema: « La solidarietà deve essere colta, innanzitutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le "strutture di peccato", che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l'opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti ».139
Pertanto, la dottrina sociale della Chiesa, se da un lato condanna e rifiuta le eccessive ingerenze dello Stato, secondo la logica dello statalismo, dall'altro condanna anche uno Stato completamente assente.
Quest'ultimo, nel pieno e totale rispetto della persona e dei suoi diritti fondamentali, deve intervenire per sanare situazioni difficili e sostenere i più deboli.
Ad esempio, per quanto riguarda le attività economiche risulta chiaro, da quanto fin qui detto, che lo Stato è chiamato ad intervenire secondo due modalità: « Indirettamente secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica, che porti ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza.
Direttamente secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all'autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato ».140
Indubbiamente il principio di solidarietà richiede anche un impegno del cristiano per lo sviluppo delle condizioni sociali di quella parte di mondo ancora oggi sottosviluppato.
Si tratta allora di una solidarietà a raggio universale, esercitata non solo all'interno delle particolari società, ma anche a livello di relazioni internazionali: « L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata sul principio che i beni della creazione sono destinati a tutti [ … ]
Superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di conservare la propria egemonia, le Nazioni più forti e più dotate debbono sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema internazionale, che si regga sul fondamento dell'eguaglianza di tutti i popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze ».141
La solidarietà, nella prospettiva cristiana, ha un'origine teologica, la carità, la quale ha il suo fondamento ultimo nell'amore di Dio.
Tuttavia, diffondendosi nella società diventa partecipabile anche da chi non ne condivide la radice.
Lo sviluppo non è incrementato solo dai cristiani, ma non è pensabile senza i cristiani, perché essi possiedono, per grazia, il quadro definitivo dello sviluppo umano da testimoniare nelle circostanze della vita: l'umanità di Cristo.
Per questo motivo essi sono chiamati a mettersi insieme per far fronte ai problemi personali e mondiali.
È sbagliato pensare ad una egemonia cattolica nell'azione a favore dello sviluppo sociale, ma non si può non riconoscere ai cristiani e alla Chiesa un'autorità fondamentale a questo riguardo, derivatagli dal fatto che il soggetto ecclesiale è in grado, più di chiunque altro, di distinguere che cosa sia autentico sviluppo.
Rimane, comunque, lo spazio per il coinvolgimento di tutti coloro i quali guardano innanzitutto allo sviluppo dell'uomo e non del sistema socio-politico.
Anche per questo motivo Giovanni Paolo II non ha mai mancato di promuovere il dialogo con i non cristiani, senza però rinunciare alla propria identità.
Giovanni Paolo II ha, infatti, mostrato come dialogare non significhi rinunciare alla propria identità.
Anzi, quanto più si è coscienti della propria identità tanto più si diventa capaci di dialogo; si riconosce ciò che di autentico è stato realizzato per l'uomo e lo si assume, mentre non si rinuncia a condannare ciò che si rivela contrario all'uomo.
Indice |
124 | Comp. dottrina sociale della Chiesa 160 |
125 | Comp. dottrina sociale della Chiesa 162 |
126 | Cat. Chiesa Cat.
Compendio 407; Concilio Vaticano II, Gaudium et spes 26 |
127 | Giovanni XXIII, Pacem in terris 35 |
128 | Comp. dottrina sociale della Chiesa 165 |
129 | Cat. Chiesa Cat. Compendio 408 |
130 | Giovanni XXIII, Pacem in terris 13 |
131 | Concilio Vaticano II, Gaudium et spes 69 |
132 | Giovanni XXIII, Pacem in terris 32 |
133 | Comp. dottrina sociale della Chiesa, 170 |
134 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 48 |
135 | Come ha ricordato Regine Pemoud in Luce del Medioevo il principio fondamentale che soggiace alla dottrina politica di San Tommaso è il seguente: « Il popolo non è fatto per il principe, ma il principe per il popolo » ( R. Pemoud, Luce del Medioevo, ed. Gribaudi, Milano 2000, p. 77 ) |
136 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 48 |
137 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 10 |
138 | Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis 38 |
139 | Comp. dottrina sociale della Chiesa, 193 |
140 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus 15 |
141 | Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis 39 |