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Con il riconoscimento di Cristo risorto e vivo, i due discepoli potevano pensare che il loro viaggio fosse terminato a Emmaus e che Gesù restasse con loro.
Invece, proprio allora, quando « si aprirono i loro occhi e lo riconobbero », il Risorto « sparì dalla loro vista » ( Lc 24,31 ).
Né la comprensione consolante della Scrittura, né l'esperienza gioiosa dell'Eucaristia erano il termine del loro viaggio.
Esso aveva come meta Gerusalemme: la città di Dio, il luogo della vera convivenza umana, la città ideale, simbolo di ogni vicenda storico-civile e della città definitiva, risplendente della gloria di Dio ( cfr. Ap 21,10 ).
A dire che il riconoscimento di Gesù come Risorto e vivente, presente nella sua Chiesa, conduce necessariamente alla « missione », vissuta nella concretezza della storia fino al compimento definitivo che si avrà con il ritorno del Signore.
Per questo, « i due partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro » ( Lc 24,33 ).
Si allude qui a una dimensione essenziale della missione: essa non può che essere vissuta nella comunione non solo attorno alla Parola e all'Eucaristia, ma anche attorno agli Apostoli e ai loro successori.
Possiamo, anzi dire che la missione è esigenza intrinseca della comunione, della comunione con Gesù dalla quale deriva la comunione dei cristiani tra di loro: « la comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione ».54
Giunti a Gerusalemme, i due sentirono risuonare l'annuncio « Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone » ( Lc 24,34 ) e, per parte loro, « riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane » ( Lc 24,35 ).
Siamo rimandati così al contenuto fondamentale da annunciare, celebrare e servire attraverso l'intera missione della Chiesa: l'annuncio che Cristo risorto e vivo è l'unico Salvatore di tutti gli uomini deve continuare a risuonare oggi e sempre, nelle singole Chiese, tra le diverse Chiese e fino agli estremi confini del mondo.
È quanto il Sinodo intende sollecitare e verificare, nella convinzione che quanto abbiamo gratuitamente ricevuto da Dio attraverso la tradizione vivente dei nostri Padri, lungo tutta la storia dell'evangelizzazione nel nostro Continente, e quanto abbiamo assimilato mediante l'ascolto della Parola e la celebrazione dei Sacramenti, dobbiamoa nostra volta offrirlo gratuitamente all'europeo di oggi e a tutti coloro ai quali il Signore ci manda.
La gioia che il Risorto ci fa provare spiegandoci le Scritture e spezzando il pane per noi, spinge noi e tutte le nostre Chiese a « partire da Emmaus » per ridare a molti altri quel senso pieno della vita che ci è stato donato e di cui essi stessi hanno profonda nostalgia, anche quando sono indifferenti o sembrano rifiutarlo.
Anche per esse, come per tutte le Chiese sparse del mondo, risuonano responsabilizzanti le parole di Giovanni Paolo II: « Ispirandosi alla pedagogia dell'Incarnazione, la Comunità cristiana è chiamata a camminare con Cristo accanto all'uomo di oggi, sostenendolo nella difficile ricerca della Verità e facendogli in qualche modo percepire la presenza del Redentore laddove egli conduce la sua quotidiana vicenda, segnata dall'incertezza per il domani, dall'ingiustizia, dal disorientamento e qualche volta dalla disperazione.
Confidando nella presenza del Signore, attraverso l'ascolto, il dialogo, la celebrazione della Parola e dei Sacramenti, i cristiani sapranno così condurre i loro contemporanei dalla sfiducia alla testimonianza gioiosa del Cristo risorto ».55
Di fronte a queste prospettive concernenti la dimensione missionaria del mistero della Chiesa sembra di dover riscontrare nelle nostre Chiese una certa debolezza: la missione è spesso ridotta all'ordinarietà della vita e della prassi ecclesiale, secondo una pastorale di « conservazione »; si riscontra una certa fatica a « uscire da sé » e a dare vita a una pastorale più propositiva e innovativa ( fatica questa che talvolta, almeno in alcune comunità ecclesiali dei paesi ex-comunisti, sembra indotta anche da quel complesso clima di paura, sospetto, dipendenza e mancanza di creatività imposto per decenni dal regime allora dominante ); la stessa « missione ad gentes », pur essendo ancora stimata anche per la presenza spesso eroica dei missionari originari delle proprie Chiese, conosce qualche difficoltà per il calo delle vocazioni dovuto anche a una sorta di chiusura delle Chiese nei loro bisogni.
Ma questo stato di cose, lungi dallo scoraggiare o dall'immobilizzare, diventa stimolo ulteriore a diventare capaci di una missione che ridoni speranza all'Europa di oggi.
Il Sinodo intende proclamare che la speranza dell'Europa è nella croce di Cristo, « simbolo dell'amore di Dio verso gli uomini, un amore che riconcilia, che supera dolore e morte, e che è promessa di fraternità per tutti gli uomini ed i popoli, divina sorgente di forza, per l'inizio di un rinnovamento di tutta la Creazione »56 e che la speranza ha solide fondamenta quando cerchiamo di conformarci alla volontà di Dio attraverso una personale disponibilità alla fede.57
Nel fare ciò ci sostiene e ci guida la certezza che « Cristo Signore è il cammino; egli guarisce le nostre ferite interne ed esterne, ricostituisce in noi l'immagine divina che abbiamo offuscato con il peccato »58 e che le radici cristiane dell'Europa, se riscoperte e rivitalizzate, possono infondere in tutti una speranza viva e un dinamismo nuovo che portano a superare le difficoltà del momento presente e ad assicurare un avvenire di crescente progresso spirituale e umano.59
Nutrire queste convinzioni per offrire nuova speranza all'Europa è urgente oggi, alle soglie del nuovo millennio.
Infatti, « la Porta Santa dell'Anno Duemila si aprirà su una società che ha bisogno di essere illuminata dalla luce di Cristo.
La « vecchia Europa » ha ricevuto il dono del Vangelo, ma invoca ora un rinnovato annuncio cristiano, che aiuti le persone e le Nazioni a coniugare libertà e verità ed assicuri fondamenti spirituali ed etici all'unificazione economica e politica del continente ».60
Non c'è dubbio, per altro, che il rinnovamento anche sociale dell'Europa può saldamente fondarsi solo su Cristo risorto e che le Chiese con i loro Pastori potranno contribuire a tale rinnovamento stringendosi a Cristo, ponendo in lui, presente e vivente tra noi fino alla fine dei tempi, la loro fiducia e fondando solo su di lui i loro progetti e la loro azione pastorale.61
Né può venir meno la fiducia, nonostante tutti i problemi e le difficoltà, perché come ha ripetuto il Papa con insistenza, nonostante le voci dei profeti del pessimismo « in prossimità del terzo millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l'inizio ( Redemptoris missio, 86 ) ».62
38. Se guardiamo, da questo punto di vista, alla realtà delle nostre Chiese e ascoltiamo la lettura che esse fanno di sé stesse, diffusa è la convinzione che Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, continua ad essere sorgente di speranza per l'Europa.
Ma, nello stesso tempo, viene messo in rilievo che ciò avviene non certo automaticamente, ma nella misura in cui le Chiese di oggi, con tutte le loro molteplici articolazioni, si sforzano concretamente di rivivere e riattualizzare la prassi evangelizzatrice attuata da Gesù di Nazaret nella sua esistenza storica:
la sua umanità e umiltà, il suo rapporto filiale col Padre della vita, il suo sentirsi consacrato dallo Spirito e inviato al mondo;
la sua compassione fattiva per la povera gente, i suoi tanti gesti tesi a liberare da tante forme di oppressione, a ridare salute, vita e gioia;
il suo amore per la verità, la sua testimonianza del regno di giustizia e di pace fino al sacrificio totale di sé.
Di qui, una larga convergenza nel sottolineare la necessità di ridare un senso alla vita per l'europeo di oggi e di creare alcune condizioni perché la Chiesa possa dare vita a questa presentazione di Gesù come speranza per l'Europa:
il riconoscere nella fedeltà del Signore e nella sua risurrezione la fonte e il sostegno della propria speranza;
la necessità di mostrare in maniera intelligibile ma anche stimolante la persona di Cristo e i valori cristiani;
aprire le persone e le culture al soprannaturale;
offrire l'esperienza della potenza risanatrice della misericordia divina;
predicare la fede con le parole e con la vita e con un linguaggio intelligibile dalla gente di oggi e, in particolare, dai giovani;
offrire, soprattutto in alcuni contesti, la testimonianza di una comunione nella diversità, anche a livello sociale.
In particolare, l'apporto della Chiesa alla crescita della speranza in Europa può essere così tratteggiato:
la spiritualità può rappresentare una risposta alla vacuità e alla frustrazione della civiltà dei consumi;
lo spirito comunitario può spezzare le barriere delle prevenzioni, i nazionalismi, l'atomizzazione della società;
la testimonianza missionaria è espressione di sollecitudine per il bene di ogni individuo affinché scopra il senso della sua vita.
A livello fondativo, si tratta di credere e di annunciare, soprattutto in tempi di pluralismo come i nostri, che la Trinità è la fonte e la sorgente della vita di tutto l'uomo e per tutti gli uomini e che nella rivelazione della Trinità trova la sua radice la dignità di ogni uomo e donna quali figli del Padre, chiamati alla condivisione e a costruire con lo Spirito una comunità di amore.
Si tratta pure di essere una Chiesa che, nella fedeltà alle note teologiche del Credo unità, santità, cattolicità, apostolicità sia capace di offrire e di testimoniare:
fede autentica;
carità fraterna;
una vita vissuta secondo le beatitudini di cui Gesù è il modello;
una vita di umanità e umiltà;
il perdono in una comunità di fratelli;
la prontezza a collaborare e a lavorare con gli uomini di buona volontà per il bene di tutti e in particolare dei bisognosi.
In una Chiesa siffatta, i credenti uniti al Padre e consacrati nello Spirito nella verità sapranno comunicare speranza, rivivendo la vita di Gesù, camminando con lui come pellegrini alla casa del Padre, essendo trasparenza della sua umanità e umiltà, comunicando compassione e perdono oltre che liberazione e gioia, costruendo la giustizia e la pace, vivendo a livello personale e liturgico una vita di preghiera quale incontro personale con il Signore.
39. C'è, però, chi rileva che la relazione tra Gesù Cristo, la Chiesa e la speranza non è così evidente nel tessuto concreto di tante comunità.
Si riconosce pure l'esistenza nelle diverse Chiese di atteggiamenti e comportamenti, variamente rilevabili, che offuscano la speranza.
Tra questi vengono richiamati:
la tentazione del potere temporale e di appoggiarsi sulla forza delle finanze e di una organizzazione ben funzionante;
una forma, seppure latente, di nuovo clericalismo;
il fascino subdolo di servirsi di maniere forti nelle proposte, col pericolo di manipolare le coscienze e di evitare un lavoro previo di evangelizzazione;
il rischio di cedere a forme raffinate di paternalismo nella realizzazione di tanti servizi caritativi, assistenziali.
Ne seguono:
il bisogno di fare un esame di coscienza;
la necessità di dare spazio a un rinnovato impegno di « conversione » al fine di eliminare o, per lo meno, di ridurre il divario più o meno largo esistente tra Vangelo proclamato a parole e Vangelo vissuto nei fatti;
l'urgenza di dare spazio a rapporti di solidarietà vera nelle singole Chiese, tra ricchi e poveri, ma anche con le Chiese al di fuori dell'Europa, in una reale apertura al mondo.
C'è anche chi sottolinea la necessità, per comunicare speranza, di:
promuovere la formazione cristiana dei professionisti, dei politici e dei diversi funzionari pubblici;
creare, attraverso i mass media, un'opinione pubblica animata dai valori cristiani;
formare al senso dell'Europa e della mondialità come esigenza della fede.
Soprattutto, però, ci sono alcune condizioni preliminari perché le nostre Chiese possano essere apportatrici di speranza per l'Europa di oggi.
Sono condizioni che attengono al volto della Chiesa stessa e al suo modo di essere e di vivere.
Su di esse, il Sinodo intende attirare l'attenzione e sollecitare l'esame di coscienza.
La speranza si affievolisce o scompare quando si affievolisce o scompare la certezza che nelle vicende della vita personale, familiare, sociale ed ecclesiale continua a essere presente il Signore con il suo Spirito e si fa strada la convinzione che tutto sia lasciato al caso e sia in qualche modo votato al non senso.
Se questa, come parrebbe, è una delle dimensioni fondamentali della crisi nodale della nostra epoca, compito imprescindibile della Chiesa è quello di credere e testimoniare che, anche oggi, Gesù Cristo continua ad essere presente nella storia con il dono del suo Spirito.
Si tratta, allora, di nutrire la convinzione che lo Spirito di Cristo c'è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi: egli, nell'invisibilità e spesso nella piccolezza e nella debolezza, sta realmente giocando la sua partita vittoriosa.
È lui che prolunga nel tempo e nello spazio la missione di Cristo Signore e costituisce la Chiesa come flusso di vita nuova, che scorre entro la storia degli uomini quale segno di speranza per tutti.
Nella sua vita e nella sua missione, la Chiesa è quindi chiamata a muoversi credendo e testimoniando che lo Spirito è capace di superare le divisioni e le frammentazioni, sa dare pace ai cuori e saldarli nella gioia della comunione con il Padre e con il Figlio in lui, è l'anima dell'unità della Chiesa e rende la comunità cristiana stessa segno, strumento e profezia dell'unità del mondo.
Si tratta di credere e, conseguentemente, di riconoscere che, nello Spirito Santo, Gesù prende possesso oggi dei cuori che si aprono a lui sia nell'ascolto della Parola e nella partecipazione ai sacramenti, sia più in generale nell'accettazione del mistero della vita e della morte e nell'esperienza della carità, della solidarietà e della giustizia.
Si tratta di essere una Chiesa che crede e testimonia con il suo stile che lo Spirito Santo è il Signore che dà la vita perché rende presente qui e ora il Vivente, al di là di tutte le barriere sociali, razziali, culturali e religiose e che questo stesso Spirito è all'opera nel cuore di ogni uomo, nel cuore delle città e della storia dell'Europa e del mondo, per suscitare in esse, oggi come ieri, persone e gruppi che siano come Gesù, che come lui pensino, agiscano, soffrano da veri figli di Dio e come lui donino la vita per i fratelli.
Segno di questo modo di essere e di vivere sono, tral'altro, la capacità di discernimento realistico sulle condizioni positive e negative della fede nella nostra epoca, senza indulgere né a vuoti ottimismi né a sterili pessimismi, e di intravedere e favorire quella rete di relazioni di amore che lo Spirito stesso sta formando anche oggi in Europa e che sono riflesso di quella rete di relazioni di amore che è la Trinità santa.
Se così non fosse, anche le nostre comunità ecclesiali cadrebbero in una delle tentazioni più sottili e perfide che consiste, appunto, nel dimenticare la presenza dello Spirito.
E questo condurrebbe inevitabilmente alla stanchezza, alla delusione, all'insignificanza e alla mera ripetitività pastorale.
Sarebbe il segno del venire meno della fiducia, tipica di chi pensa che Dio ci abbia abbandonati in un mondo cattivo, contro il quale lottare ad armi impari, perché l'indifferenza, l'egoismo e la dimenticanza di Dio hanno a poco a poco e inesorabilmente il sopravvento.
La Chiesa, in tal modo, invece che essere apportatrice di speranza, contribuirebbe ad accrescere quel senso di tristezza che pare già attraversare l'Europa.
Tra i segni e i doni della presenza e dell'azione dello Spirito nel nostro tempo, che sono al tempo stesso degli importanti indicatori per il nostro cammino, vanno annoverati, il Concilio Vaticano II, il Catechismo della Chiesa Cattolica, la celebrazione e le indicazioni del Sinodo per l'Europa del 1991.63
Oggi è necessario avere costantemente davanti agli occhi questi tre grandi doni-indicatori di strada, che lo Spirito Santo ha posto sulla via della Chiesa, e interrogarci sia su quanto abbiamo fatto tesoro di questi doni e ci siamo lasciati guidare da questi indicatori lungo gli anni trascorsi, sia sulle prospettive che gli stessi doni-indicatori possono dischiudere per il futuro.
Se, come si è richiamato, la Chiesa è tutta relativa a Cristo, è frutto del suo amore di donazione piena ( cf Ef 5,25 ) ed è anzi questo stesso amore presente e operante nella storia, è necessario che la sua pastorale non si basi e non ponga la sua fiducia sulle forze umane, ma sulla grazia di Dio, sul suo amore provvidente e onnipotente, sulle forze che sono donate da Cristo e dal suo Spirito.
La radice viva e vivificante dell'agire della Chiesa deve, quindi, risiedere nella sua comunione con Cristo, nell'amore crescente a lui, nella intimità di vita con lui.
Per essere specchio limpido di Cristo, la Chiesa deve contemplare Cristo suo sposo con amore instancabile.
La preghiera rivolta a lui, l'ascolto della sua parola, la meditazione dei suoi gesti, l'assimilazione al suo mistero, la partecipazione della sua grazia sono gli elementi essenziali e le condizioni ineliminabili per essere reale trasparenza di Cristo, fonte di fiducia e di speranza.
Primo compito essenziale è, coerentemente, quello di verificare il volto delle nostre Chiese per renderlo sempre più conforme al volto di Cristo.
Se, infatti, la Chiesa dipende totalmente dalla Parola del Signore, da cui è generata, parlando di lei dobbiamo avere la coscienza che parliamo di Gesù e descrivendo il suo volto dobbiamo fare riferimento a quello di Gesù, per far sì che la contemplazione del suo volto possa tradursi in azioni, strutture e regole nella gioia e nella pace dello Spirito Santo.
Se vogliono essere capaci di testimoniare e diffondere la speranza, le nostre Chiese devono voler essere il Corpo di Cristo crocifisso nella storia, la ripresentazione del Suo volto nel tempo, confidando nella grazia dello Spirito e nella misericordia di Colui che perdona le mancanze con cui sfiguriamo quotidianamente questo volto dolcissimo e santo.
Oggi, in particolare, si tratta di capire, contemplando il volto dell'uomo dei dolori, davanti a cui ci sicopre la faccia, che il nostro volto non potrà essere diverso dal Suo; che la nostra debolezza sarà forza e vittoria se sarà la ripresentazione del mistero della debolezza, dell'umiltà e della mitezza del nostro Dio.
È questa mistica ecclesiale della « imitatio Christi » quella che ha ispirato il Concilio e che ritorna all'inizio e in altri passi della costituzione sulla Chiesa: « la luce di Lui, splendente sul volto della Chiesa, deve illuminare tutti gli uomini »;64 la Chiesa « dalla virtù del Signore risuscitato trova forza per vincere con pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà e per svelare al mondo, anche se non perfettamente, il mistero di Lui ».65
A questo, il Sinodo deve richiamare e spronare e su questo deve sollecitare un coraggioso e salutare esame di coscienza.
42. Nella medesima direzione, ci si deve chiedere se nell'azione pastorale, al di là di una programmazione e di un'organizzazione pure necessarie, non si corra il rischio di misurarne il successo a partire dal numero delle iniziative intraprese e delle persone che vi danno risposta, o dai mezzi e dalle forze che si hanno a disposizione.
Contro ogni tentazione di cadere nell'attivismo, per potere contribuire a rinnovare la speranza, occorre salvare ad ogni costo, nella pastorale, il primato dello spirituale, innanzitutto mediante un incessante ricorso alla preghiera, certi che quest'ultima « significa sempre una specie di "confessione", di riconoscimento della presenza di Dio nella storia e della sua opera a favore degli uomini e dei popoli » e che, « al tempo stesso la preghiera promuove una più stretta unione con Lui e un reciproco avvicinamento tra gli uomini ».66
Con la convinzione, per altro, che non ci può essere vero rinnovamento anche sociale che non parta dalla contemplazione: « l'incontro con Dio nella preghiera immette nelle pieghe della storia una forza misteriosa che tocca i cuori, li induce alla conversione e al rinnovamento e proprio in questo diventa anche una potente forza storica di trasformazione delle strutture sociali ».67
In questa prospettiva, il Sinodo dovrà vedere se le Chiese in Europa, prima di essere Chiese che « fanno » qualcosa, sono Chiese che lodano Dio, ne riconoscono il primato assoluto, stanno davanti a lui in silenziosa adorazione.
In ordine a queste radicali condizioni che possono permettere alle Chiese europee di essere apportatrici di gioiosa speranza, viene notato da più parti che, pur nel complessivo processo di secolarizzazione che caratterizza il continente europeo, non mancano, soprattutto tra i giovani, segnali che dicono il bisogno e la ricerca di spiritualità, a volte generica e in qualche modo « selvaggia », che chiede di essere interpretata e guidata, richiamando e aiutando a vivere le dimensioni fondamentali di un'autentica spiritualità cristiana come conversione personale, esperienza di Chiesa, sequela del Signore e servizio ai fratelli.
L'ideale dell'autorealizzazione di sé, accompagnato da un clima di individualismo, soggettivismo, pragmatismo ed edonismo, se per un verso continua a provocare una sorta di destrutturazione del mondo simbolico religioso e ad aggravare la crisi del linguaggio religioso tradizionale, per un altro verso stimola la ricerca di esperienze religiose di vario tipo che vorrebbero rispondere a domande di accoglienza, di calore nei rapporti interpersonali, di gratificazione personale, di sostegno, di sicurezza.
In questa linea, e nell'ottica di una ricerca della propria identità per non soccombere nell'attuale atomizzazione della società, vanno visti il successo di nuove forme di espressività religiosa e l'emergere di nuovi movimenti religiosi extra-ecclesiali, di credenze parallele, di « sette », di nuove forme di integrismo, della corsa verso le religioni orientali, della « New Age » e, addirittura, del ricorso a varie forme di satanismo.
In sintesi, sembra di poter dire che la mappa del comportamento religioso degli europei e, in particolare, delle giovani generazioni presenta lineamenti caratterizzati, da un lato, da stemperamento del modello tradizionale di religiosità e depotenziamento di varie credenze religiose e, dall'altro, da un generale aumento del bisogno di riferimenti religiosi, di sicurezza e di spiritualità, che sovente però restano assai globali, vaghi e generici, senza ricadute immediate sui comportamenti etici e sulle scelte personali.
Più positivamente, in numerose comunità dell'Est come dell'Ovest, è in atto il passaggio da una religiosità sacrale e di tradizione a una religione di convinzione e di coinvolgimento personale.
Frutto di libera scelta e di convinta appartenenza ecclesiale che si traducono in comportamenti virtuosi, in spiritualità autentica e in operoso impegno apostolico, tale traguardo, in molti paesi, appare condiviso solo da minoranze, più o meno consistenti, di cristiani e cristiane, tra le quali vanno annoverati le comunità di vita consacrata e le aggregazioni laicali ad esse collegate, gli appartenenti a gruppi e movimenti ecclesiali e anche singoli e famiglie delle diverse parrocchie.
44. Non mancano, tuttavia, neppure segnali preoccupanti che attraversano le comunità cristiane, come:
l'affievolirsi o il venir meno della preghiera personale e in famiglia;
un certo abbandono del sacramento della riconciliazione;
la ricerca di eventi straordinari e miracolistici;
la fuga verso esperienze religiose esoteriche e verso le sette.
Ne segue l'urgenza e la necessità di un approfondito discernimento, che aiuti a vigilare di fronte al rischio di una spiritualità selettiva sincretistica che sceglie tra le varie « offerte di senso alla vita » quegli elementi adatti alla persona, ma che non è pronta e capace di impegnarsi in una fede concretamente vissuta.
In particolare, va messo in rilievo che, in una autentica spiritualità ecclesiale, i diversi elementi e le diverse strade, lungi dal trasformarsi in forme dannose di polarizzazione, devono integrarsi e completarsi a vicenda e che è necessario collegare tra loro dimensione personale e dimensione comunitaria, così da non ridurre mai la spiritualità a una generica sorta di « religiosità privata ».
Per quanto concerne, infine, i mezzi per favorire e educare una corretta spiritualità cristiana, spesso si va
dalla creazione di piccole comunità ferventi carismatiche e non,
alla promozione e animazione spirituale di piccoli gruppi;
dall'apertura di centri di spiritualità e dal costante aggiornamento di quelli esistenti,
alla promozione di pellegrinaggi a santuari e a luoghi ( specialmente comunità monastiche e religiose ) dove vengono vissute esperienze significative di preghiera, di contemplazione, di silenzio, di deserto;
dalla programmazione di tempi di ritiro spirituale offerti a coppie e a giovani,
a nuovi tipi di catecumenato per adulti cristiani;
dall'offerta di un'aggiornata letteratura che presenta e approfondisce argomenti di spiritualità,
a proposte di una più viva animazione spirituale e di una più ricca vita di preghiera nelle comunità parrocchiali, soprattutto ponendo al centro la Parola di Dio e la sua meditazione, in particolare attraverso il metodo della « lectio divina ».
Senza tralasciare, anche per la rilevanza che essa riveste un po' in tutto il continente, una pratica cristianamente corretta del culto mariano e della stessa pietà popolare.
Perché la Chiesa possa presentarsi davvero come corpo vivo di Cristo, segno credibile della presenza del Padre mediante Cristo Salvatore nella potenza dello Spirito, flusso apportatore di vita nuova dentro la storia degli uomini, è necessario che i discepoli di Cristo diventino una cosa sola nell'amore.
Solo così essi sono riflesso splendente della Trinità: « Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato » ( Gv 17,21 ).
Se, infatti, l'Eucaristia è la presenza più grande del Signore risorto, l'amore reciproco vissuto con radicalità evangelica è la presenza più trasparente, che più interpella e induce a credere.
Ci si deve, quindi, interrogare su quale immagine di comunità cristiana occorre offrire per annunciare, celebrare e servire il « Vangelo della speranza ».
La risposta non può che essere cercata in un modello di comunità fraterna e missionaria, da edificare con maggiore decisione e coerenza in ogni singola Chiesa.
Un clima di rapporti amichevoli, di comunicazione, di servizio, di corresponsabilità e partecipazione, di coscienza missionaria diffusa, di attenzione alle varie forme di povertà.
Una cultura della reciprocità come emerge continuamente negli scritti di san Paolo: stimarsi, accogliersi, edificarsi, servirsi, sostenersi, correggersi, confrontarsi vicendevolmente ( Cfr. ad esempio: Rm 12,10; Rm 15,7.14; Gal 5,13; Gal 6,2; Col 3,13; 1 Ts 5,11 ).
Una valorizzazione della varietà dei carismi, delle vocazioni e delle responsabilità, in modo da convergere verso l'unità e arricchirla ( cfr. 1 Cor 12 ).
Una cordiale collaborazione tra le diverse aggregazioni di fedeli.
Una molteplicità di operatori pastorali qualificati sul piano spirituale, teologico e pastorale che, in comunione affettiva ed effettiva con il Vescovo e con i presbiteri, siano responsabili di specifici servizi ecclesiali.
Un rilancio degli organismi di partecipazione, percepiti come segni e strumenti efficaci per la crescita della comunione e la promozione di una concorde azione missionaria.
Una pastorale ecclesiale unitaria e differenziata.
Una pastorale educativa e missionaria sul territorio, aperta alla missione universale « ad gentes ».
Sono queste le linee essenziali che concorrono a tratteggiare il volto di una comunità ecclesiale viva, capace di generare e di educare alla fede oggi.
In generale, si deve riconoscere che, pur avendo fatto notevoli passi in avanti nell'elaborare una teologia della « koinonia », continua a sussistere una prassi non adeguatamente comunicativa nella Chiesa.
Di qui l'esigenza di approfondire, attraverso un vicendevole e franco dialogo, le conseguenze della teologia della comunione nel rapporto tra la Chiesa che presiede alla comunione universale e le Chiese particolari, nelle stesse Chiese particolari, nel vissuto quotidiano delle Chiese locali e, in particolare, nelle dinamiche decisionali ecclesiali.
Tra i segni più concreti ed evidenti nei quali si manifesta la comunione nelle Chiese d'Europa, vengono normalmente ricordati:
la vita associativa nei gruppi e nei movimenti;
il diffondersi del fenomeno del volontariato;
le innumerevoli iniziative di solidarietà verso i più bisognosi sia del proprio paese che dei paesi più poveri specialmente dell'emisfero sud e dell'oriente.
Non manca chi, tra i fattori di comunione e di unità dentro la comunità cristiana, sottolinea:
la imprescindibilità della comunità parrocchiale quale luogo fondamentale di comunione;
la comunione nel presbiterio e tra le diverse comunità anche mediante nuove forme di articolazione delle medesime ( come le cosiddette unità pastorali );
la cooperazione tra le Chiese nella missione « ad gentes »,
sia in ordine all'annuncio evangelico,
sia mediante forme di concreta solidarietà con le Chiese più povere, attuate con vari strumenti, tra i quali vanno ricordati i « gemellaggi » tra le comunità.
47. In particolare, viene sottolineato come, per una corretta visione ed esperienza di Chiesa come realtà di comunione, sia centrale il ruolo della parrocchia, come realtà nella quale, pur con tutte le sue fragilità, si può vivere in modo tangibile e senza esclusioni il valore della comunione e della corresponsabilità.
Si tratta, però, di una parrocchia da interpretare e da vivere come luogo privilegiato della pastorale ordinaria ( nel quale la fede può diventare accessibile a tutti entro le condizioni della vita quotidiana ), della corresponsabilità pastorale e della dinamica missionaria.
La parrocchia, infatti, resta il luogo « in cui fedeli dalle diverse sensibilità comunicano nella stessa liturgia, in cui i movimenti specializzati si incontrano, in cui le attività di catechesi, di formazione, di preparazione ai sacramenti, di apostolato o di reciproco aiuto si coordinano senza divisioni ».68
C'è chi, sottolinea, a tale riguardo, l'importanza di realizzare un corretto rapporto di coordinamento e di buona integrazione tra la comunità parrocchiale e i diversi movimenti ecclesiali: a queste condizioni, infatti, questi ultimi possono apportare un prezioso impulso alla missione, contribuire a far maturare la vita spirituale, a formare i giovani, a condividere la preoccupazione apostolica nei diversi ambiti della vita, a rendere efficaci e costanti l'accoglienza e il servizio ai più bisognosi.69
C'è pure chi notando come i rapporti esistenti entro le concrete comunità cristiane sono tuttora contrassegnati, dove più dove meno, da atteggiamenti e comportamenti che vanno dall'accettazione sincera o dalla semplice tolleranza, alla mutua presa di distanza, alla contrapposizione polemica e perfino al rifiuto mette in risalto la valenza comunionale di tutte quelle iniziative che, a livello parrocchiale o interparrocchiale, mirano a proporre itinerari attenti alle condizioni di vita e alle situazioni reali dei vari interlocutori.
48. Non mancano neppure sollecitazioni ad affrontare la questione della donna nella società e nella Chiesa, sia sottolineando che nelle varie comunità ecclesiali si sono fatti passi avanti più rilevanti e coraggiosi in alcune, meno avanzati e più timorosi in altre per eliminare visioni unilaterali di non pieno riconoscimento dell'uguale dignità e dei pari diritti e doveri degli uomini e delle donne nei vari settori della vita familiare e sociale, e dello specifico apporto delle cristiane nella vita e nell'azione evangelizzatrice della Chiesa, sia riconoscendo con franchezza che, specialmente in alcune Chiese, c'è ancora molta strada da fare al riguardo.
Un altro ambito nel quale si fa notare la credibilità della Chiesa come promotrice di comunione è messa a dura prova è il suo atteggiamento e comportamento verso le persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare.
Qui la sfida consiste sostanzialmente nel proclamare i valori morali in fedeltà al vangelo e nell'essere, nello stesso tempo, una casa capace di accogliere e sostenere.
C'è, infine, chi sottolinea l'urgenza e l'importanza della comunione tra Chiese europee ed extraeuropee, da realizzare mediante contatti che devono diventare un autentico reciproco « scambio di doni ».
49. Particolare rilievo è dato al tema del rapporto e della collaborazione tra presbiteri e laici.
A tale riguardo, ci si trova di fronte a situazioni diversificate e, a volte, di segno contrario, anche se abbastanza unanime sembra l'auspicio che si abbia a realizzare una buona cooperazione.
Essa si nota non deve solo far fronte alla situazione di emergenza dovuta alla mancanza di sacerdoti, ma deve fondarsi sempre di più sulla convinzione che il ministero ordinato e il sacerdozio comune, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, completandosi a vicenda.70
Tra quanti vivono una convinta e fattiva partecipazione nella vita della comunità ecclesiale, grazie anche all'esistenza dei vari consigli e organismi di partecipazione a livello parrocchiale e sovraparrocchiale, si assiste a un positivo sviluppo della collaborazione, e spesso della corresponsabilità, sul piano di una riconosciuta parità, pur nel rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno.
Ciò, oltre che nella vita parrocchiale, appare anche nell'ambito dei nuovi movimenti e nelle comunità di vita consacrata.
Continuano, tuttavia, a sussistere numerose situazioni nelle quali i preti mantengono una mentalità piuttosto dominatrice e autoritaria, che non consente adeguatamente né il rispetto della maturità dei fedeli laici e della loro condizione di persone adulte e responsabili in tanti settori del vivere familiare e sociale, né di valorizzare il prezioso contributo che essi possono offrire alla comunità ecclesiale.
Anche se tale situazione sta progressivamente cambiando, spesso una effettiva collaborazione nella comune missione resta distante dalla realtà.
Non mancano neppure Chiese nelle quali la collaborazione sacerdoti-laici non viene avvertita come una priorità da perseguire.
Con riferimento all'Europa centrale e orientale, poi, si nota, per un verso, come il permanere di qualche fatica a vivere una collaborazione precisa e formalizzata tra sacerdoti e laici sia, a volte, dovuta anche al fatto che, durante i regimi comunisti, l'assunzione di responsabilità e di iniziativa, oltre a non essere né educata né favorita, era spesso vietata e repressa.
Per altro verso, però, non si può tacere il fatto che, proprio durante gli anni della dittatura, da parte di non pochi laici, si è vissuta una reale, anche se nascosta ed esteriormente mortificata, corresponsabilità ecclesiale, giunta spesso a forme di eroica testimonianza di fede e di amore alla Chiesa, presupposti essenziali e preziosi per la realizzazione di modalità anche più puntuali e strutturali di collaborazione con i presbiteri.
In ogni caso e nelle più diverse situazioni laicali, ciò che è necessario è un profondo cambiamento di mentalità, che va realizzato e che richiede tempo, pazienza e formazione da parte di tutti gli interessati.
50. Un altro ambito particolare di comunione che interpella le Chiese è quello che riguarda l'attenzione e la sollecitudine per coloro che vivono ai margini della comunità cristiana e, in particolare, per i « lontani », senza dare a quest'ultima terminologia alcun tipo di valutazione morale.
Generalmente si sottolinea che tra i modi con cui si esprime anche a tale riguardo il volto comunionale della Chiesa vanno ricordate anzitutto quelle forme di rapporto che si riesce a realizzare in alcune occasioni particolari e di tipo spesso episodico, quali:
la preparazione e la celebrazione dei sacramenti per i figli,
il momento della celebrazione di un matrimonio o di un funerale;
momenti di crisi esistenziale;
certe feste liturgiche o popolari;
occasioni di turismo religioso o di pellegrinaggio;
l'annuale benedizione delle famiglie;
le missioni popolari.
Non mancano neppure iniziative specifiche promosse da alcune Chiese come:
cattedre di incontro di sostenitori di diversi umanesimi con testimoni qualificati in ambito cattolico;
confronti culturali tramite servizi radiofonici e televisivi;
inserimento del pensiero cattolico nella stampa di ispirazione « laica » e ospitalità del pensiero di autori laici nella stampa cattolica;
luoghi di ascolto e di confronto a vari livelli.
Molto apprezzate sono anche le possibilità aperte da azioni pastorali di categoria, per esempio nella cura pastorale dei militari.
Si mette pure in rilievo il ruolo che può essere svolto sia dalle scuole cattoliche, sovente ricercate anche da chi non è particolarmente vicino alla Chiesa sia dall'insegnamento della religione nello scuole dello Stato.
Un altro spazio prezioso è offerto dal patrimonio artistico e culturale, che può diventare punto di incontro per quanti si sono « allontanati dalla Chiesa ».
Né va sottovalutata, anche se è difficilmente rilevabile, la fitta rete di rapporti capillari che si creano in famiglia, nell'ambiente di lavoro, nei rapporti sociali, nel tempo libero, tra cristiani e cristiane cosiddetti praticanti e attivi o comunque sensibili alla religione e credenti che sono annoverati in quest'area di cristianesimo caratterizzato da un'appartenenza parziale e altalenante alla Chiesa: spazi vitali, tutti questi, nei quali viene comunicato in maniera spontanea e incisiva più un vangelo « vissuto » che un vangelo « proclamato ».
Indice |
54 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, 32 ( 30.XII.1988 ). |
55 | Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Comitato centrale del Grande Giubileo dell'anno 2000 ( 4 giugno 1996, 5 ). |
56 | Giovanni Paolo II, Discorso alla celebrazione dei "Vespri d'Europa" nella Heldenplatz a Vienna [ Austria ] ( 10 settembre 1983, 1 ). |
57 | Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio al 90° Katholikentag di Berlino ( 23 maggio 1990 ). |
58 | Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Bulgaria in visita « ad limina » ( 7 novembre 1998, 3 ). |
59 | Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi spagnoli delle Province ecclesiastiche di Grenada, di Sevilla e di Valencia in visita « ad limina » ( 7 luglio 1998, 8 ). |
60 | Giovanni Paolo II, Discorso all'Angelus ( 14 febbraio 1999, 1 ). |
61 | Cfr. Giovanni Paolo II, Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa ( 16 aprile 1993, 1 ). |
62 | Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi della Conferenza Episcopale della Polonia in visita « ad limina » ( 12 gennaio 1993, 2 ). |
63 | Cfr. ivi. |
64 | Lumen gentium, 1. |
65 | Ivi, 8. |
66 | Giovanni Paolo II, La responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell'attuale momento storico. Appello ad una grande preghiera del popolo italiano ( 6 gennaio 1994, 8 ). |
67 | Giovanni Paolo II, Discorso al IIIº Convegno della Chiesa italiana a Palermo ( 23 novembre 1995, 11 ). |
68 | Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale della regione apostolica Nord della Francia in visita « ad limina » ( 18 gennaio 1992, 5 ) Cfr. Discorso ai Vescovi della regione apostolica Sud-Ovest della Francia, in visita « ad limina » ( 25 gennaio 1997, 3 ). |
69 | Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della regione apostolica Sud-Ovest della Francia, in visita « ad limina » ( 25 gennaio 1997, 5 ). |
70 | Cfr. Lumen gentium, 10. |