Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LXIX

I. A quale anima spetta dire: « Il mio diletto a me … » e perché

1. Il mio diletto a me e io a lui ( Ct 2,16 ).

Nel sermone precedente abbiamo attribuito queste parole alla Chiesa universale a motivo delle promesse fatte ad essa circa la vita presente e quella futura.

Ora la questione da risolvere è se l’anima, poiché non può essa sola arrogarsi ciò che può pretendere l’insieme di tutte, non possa neppure in qualche modo attribuirsi tale prerogativa.

Se non le è lecito dobbiamo dire che queste parole e le altre simili che indicano grandi cose come: Ho aspettato il Signore e si è rivolto a me ( Sal 40,2 ), o altre che abbiamo sopra riferite, vanno riferite alla Chiesa e in nessun modo a una singola persona.

Se qualcuno, al contrario, dice che questo è lecito, e io non dico di no, bisogna vedere di chi si tratta; non è infatti certamente lecito a chiunque.

La Chiesa di Dio ha senz’altro i suoi uomini spirituali, i quali non solo fedelmente, ma con fiducia trattano con lui, parlano con Dio quasi con un amico, e la loro coscienza rende loro testimonianza di questo favore.

Chi siano questi è un segreto di Dio; ma tu ascolta quale devi essere, se desideri essere uno di questi.

Quello che dico non è tanto perché ne abbia fatto esperienza, quanto perché vorrei fare questa esperienza.

Dammi un’anima che nulla ami all’infuori di Dio e di ciò che si deve amare per Dio, per la quale non solo vivere sia Cristo, ma lo sia già stato da molto tempo, che abbia a cura e spenda il suo tempo a tenere presente il Signore sempre, che sia sollecita nel camminare con il Signore suo Dio, non dico con grande, ma con una sola volontà con lui, e non le manchi la capacità di farlo, dammi dico, una tale anima e io non la nego degna della cura dello Sposo, dello sguardo della maestà, del favore del dominatore, della sollecitudine del governatore; e se vorrà gloriarsene non sarà insipiente: purché chi si gloria, si gloria nel Signore.

Così in ciò di cui molti si vantano, si vanterà anche uno solo, ma per un’altra ragione.

2. Infatti, la santa moltitudine è resa fiduciosa dalle cause sopra dette, l’anima santa per una duplice ragione.

Prima di tutto la divinità dello Sposo, per la sua natura semplicissima, può guardare molti come fossero uno solo, e uno solo come fossero molti.

Né si fa molteplice rispetto alla moltitudine, né raro rispetto a pochi; né è diviso di fronte alla diversità, né ristretto rispetto a uno solo; né ansioso nelle cure, né turbato o agitato nelle sollecitudini.

Egli è così intento a uno solo senza rendersene schiavo, e così intento ai più senza esserne diviso.

E poi, cosa soavissima, ma che molto raramente si può provare, tanta è la degnazione del Verbo, tanta la benevolenza del Padre del Verbo verso l’anima ben disposta e ben regolata, il che è effetto del lavoro del Padre e del Verbo, che degnano anche della loro presenza quella che hanno prevenuto con tale loro benedizione e si sono così preparata, e così non solo vengono ad essa, ma pongono in essa la loro dimora.

Non basta, infatti, a loro farsi vedere, ma vogliono darsi con abbondanza.

II. Che cosa è la venuta del Figlio e del Padre nell’anima; il Padre abbassa con la sua ira ardente ogni altezza

Che cosa si vuol dire dicendo che il Verbo viene all’anima? Che la istruisce nella sapienza.

E che viene il Padre? Che le infonde l’amore della sapienza, sicché essa possa dire: Sono divenuta amante della sua bellezza ( Sap 8,2 ).

È proprio del Padre amare, e perciò la venuta del Padre si dimostra dall’amore infuso.

Che cosa gioverebbe l’erudizione senza la dilezione? Gonfierebbe.

Che cosa farebbe l’amore senza l’erudizione? Cadrebbe nell’errore.

Erravano infatti quelli dei quali si diceva: Rendo loro testimonianza che hanno lo zelo di Dio, ma non secondo la scienza ( Rm 10,2 ).

Non è decente che la sposa del Verbo sia stolta; ma il Padre non la sopporterebbe gonfia di superbia.

Il Padre, infatti, ama il Figlio, ed è sempre pronto a scacciare e distruggere ogni altezza che si erge contro la scienza del Verbo, sia dando mano allo zelo, sia volgendosi con affetto, due cose che sono effetto una della misericordia, l’altra della giustizia.

Oh! Si degni di comprimere, anzi di scacciare e ridurre al nulla in me ogni forma di orgoglio, non con l’accendere il suo furore, ma con l’infusione del suo amore!

Possa io imparare a non insuperbirmi piuttosto per effetto della sua bontà che non per il timore del castigo!

Signore, non punirmi nel tuo sdegno ( Sal 6,2 ), come l’Angelo che si innalza nel cielo, non castigarmi nel tuo furore ( Sal 6,2 ) come l’uomo nel paradiso.

Entrambi hanno tramato iniquità, bramando di salire più in alto, il primo con la potenza, il secondo con la scienza.

La donna stolta ha creduto al demonio che prometteva per sedurla: sarete come dèi, conoscitori del bene e del male ( Gen 3,5 ).

Già prima aveva sedotto se stesso, persuadendosi che sarebbe diventato simile all’Altissimo poiché chi si crede di essere qualche cosa, mentre non è niente, seduce se stesso ( Gal 6,3 ).

3. Ma l’una e l’altra altezza fu precipitata giù, ma nell’uomo con più mitezza, così giudicando colui che tutto fa in peso e misura.

Poiché, mentre l’Angelo fu punito nel furore, anzi dannato, l’uomo sentì soltanto l’ira, non il furore.

Nell’ira, infatti, si ricordò della misericordia ( Ab 3,2 ).

Perciò i suoi discendenti sono figli dell’ira e non del furore, fino al giorno d’oggi.

Se non nascessi figlio d’ira non avrei bisogno di rinascere; se fossi nato figlio del furore, non sarei rinato, o non avrebbe giovato rinascere.

Vuoi vedere un figlio del furore?

Se hai veduto Satana precipitare come un fulmine dal cielo, vale a dire precipitato in un impeto di furore; hai avuto un’idea del furore di Dio.

E poi non si è ricordato della sua misericordia, mentre dopo che si è adirato si ricorderà della sua misericordia, non così quando è giunto fino al furore.

Guai ai figli della diffidenza, anche quelli che sono figli di Adamo, i quali, nati figli d’ira, cambiano a se stessi con diabolica ostinazione l’ira in furore, la verga in bastone, anzi, in martello!

Essi accumulano per sé la collera per il giorno dell’ira.

L’ira accumulata che cosa è se non il furore?

Peccarono con il peccato del diavolo, e sono abbattuti con la condanna del diavolo.

Guai anche, seppure con più mitezza, a certi figli d’ira, che nati nell’ira non aspettarono di rinascere nella grazia!

Essi sono morti per il fatto che sono nati e resteranno figli d’ira.

Dico ira, non furore perché, come piissimamente si crede e assai umanamente si compiange, sono assai miti le pene di coloro che traggono tutto il loro capo d’accusa da altri.

4. Dunque, il diavolo è stato giudicato nel furore, perché la sua iniquità è stata degna di odio; quella dell’uomo, invece, è meritevole d’ira, e perciò nell’ira viene punito.

Così ogni elevazione viene stroncata, sia quella che gonfia, sia quella che merita di venire precipitata.

Il Padre, infatti, tela l’onore del Figlio, e l’una e l’altra specie di elevazione fa torto al Figlio, sia perché usurpa la potenza nei riguardi della forza di Dio, che è lui, sia perché presume di una scienza ottenuta per via diversa dalla sapienza di Dio che è pure lui.

O Signore, chi è simile a te? Chi, se non la tua immagine?

Chi, se non lo splendore e la figura della tua sostanza?

Lui solo nella tua forma, lui solo non ritenne come una rapina l’essere uguale a te, Altissimo Figlio dell’Altissimo.

Come non uguale? Siete anzi una cosa sola, tu e lui.

Ha il suo seggio alla tua destra, non sotto i tuoi piedi.

Chi può mai osare di occupare il posto del tuo Unigenito? Sia precipitato.

Pone in alto il suo seggio? Sia rovesciata la cattedra della pestilenza.

Così pure chi insegna all’uomo la scienza? ( Sal 94,10 ).

Non eri forse tu, o chiave di Davide, che apri a chi vuoi e a chi vuoi chiudi?

E come si tentava di non entrare, ma di irrompere nei tesori della sapienza e della scienza?

Chi non entra per la porta è un ladro e un brigante ( Gv 10,1 ).

Entrerà dunque Pietro che ha ricevuto le chiavi, ma non solo, poiché, se vorrà, introdurrà anche me, ed escluderà un altro che forse vorrebbe, per la scienza e la potestà conferitagli dall’alto.

5. E quali sono queste chiavi?

La potestà di aprire e di chiudere, e il discernimento tra quelli che devono essere ammessi e quelli che vanno esclusi, e i tesori non sono nel serpente, ma in Cristo.

E perciò il serpente non poté dare la scienza che non aveva; ma chi l’aveva la diede.

Né il diavolo poté avere la potenza, che non aveva ricevuta, ma l’ebbe chi l’aveva ricevuta.

La diede Cristo, la ricevette Pietro, né si gonfiò per la scienza, né fu precipitato per la presunzione della potenza.

Perché? Perché né nell’una, né nell’altra si innalza contro la scienza di Dio, lui che non ha cercato nessuna delle due cose fuori della scienza di Dio, come ha fatto invece colui che ha agito con inganno al suo cospetto, sicché la sua iniquità è divenuta meritevole di odio.

Come, infine, avrebbe ambito queste cose fuori della scienza di Dio lui che si definisce apostolo di Gesù Cristo secondo la prescienza di Dio Padre ( 1 Pt 1,1-2 )?

Ciò sia detto per quel che riguarda lo zelo di Dio, che lo fece intervenire contro l’Angelo e l’uomo prevaricatori poiché trovò il male in entrambi distruggendo nella sua ira e nel suo furore la loro superbia che si innalzava contro la scienza di Dio.

III. Lo zelo di carità nel quale il Padre e il Figlio vengono; la loro inabitazione e i segni per mezzo dei quali l’anima avverte

6. Ora è tempo che ricorriamo allo zelo della misericordia, cioè non quello che si rivolge contro, ma quello che viene immesso, perché quello che si rivolge contro, come già abbiamo detto, è zelo di giustizia, e ci ha atterriti abbastanza con gli esempi ricordati di coloro che furono così gravemente puniti.

Perciò io me ne andrò al luogo di rifugio per nascondermi dal furore del Signore, a quello zelo cioè di pietà che arde soavemente ed espia efficacemente.

Non espia forse la carità? Molto.

Ho letto che essa copre una moltitudine di peccati.

Ma dico: non è forse idonea, capace cioè di scacciare e umiliare ogni arroganza degli occhi e del cuore?

Certamente, e in massimo grado: poiché la carità non si innalza, non si gonfia.

Se, dunque, il Signore si degnerà di venire a me, o piuttosto in me, non nello zelo del suo furore, e neppure nella sua ira, ma nella carità e nello spirito di mansuetudine, geloso di me della gelosia di Dio che cosa è, infatti, talmente di Dio come la carità?

Dio, infatti, è carità se, dico, verrà in questa, in questo conoscerò anche che non è solo, ma che è venuto con lui anche il Padre suo.

Poiché che cosa è talmente paterno come la carità?

Per questo è stato chiamato non solo Padre del Verbo, ma anche Padre delle misericordie ( 2 Cor 1,3 ), perché gli è innato avere sempre pietà e perdonare.

Se mi accorgerò che mi viene aperta l’intelligenza per comprendere le Scritture, o che un discorso sapiente quasi mi ribolle dall’intimo, o che mi si rivelano i misteri alla luce celeste infusa dall’alto, o se mi sembrerà che mi si apra come un amplissimo grembo del cielo, e discendano nell’animo abbondanti piogge di meditazioni, non dubito che lo Sposo è presente.

Sono, infatti, queste ricchezze del Verbo, e queste abbiamo ricevuto dalla sua pienezza.

Che se verrà parimenti infusa una certa umile, ma pingue devozione a guisa di intima aspersione, di modo che l’amore della verità conosciuta generi necessariamente un certo odio e disprezzo per la vanità, affinché non capiti che la scienza mi gonfi, o la frequenza delle visite mi faccia insuperbire, allora non dubito della presenza del Padre, di cui riconosco in me l’azione paterna.

Se poi avrò perseverato nel corrispondere sempre a questa degnazione con degni affetti ed opere, per quanto sta in me, e la grazia di Dio non sarà stata vana in me, allora anche faranno presso di me la loro dimora sia il Padre che dà il nutrimento, sia il Figlio che dà l’insegnamento.

7. Pensa quanta grazia di familiarità tra l’anima e il Verbo derivi da questa abitazione, e dalla familiarità quanta fiducia.

Una tale anima non ha più da temere di dire: Il mio diletto a me, perché sentendo di amarlo e con ardore, non dubita di essere anch’essa da lui grandemente amata, ed essendo singolarmente applicata a lui con sollecitudine, cura operosa, diligenza e studio, con cui vigila incessantemente e con ardore per piacere a Dio, così riconosce senza esitare tutte queste cose in lui a suo riguardo, ricordando le sue promesse: Con la misura che avrete usato sarà rimisurato a voi ( Mt 7,2 ), se non che la restituzione del favore la sposa prudente ebbe cura di tirarla dalla sua parte, sapendo bene di essere piuttosto prevenuta dal diletto.

Perciò pone in primo luogo l’opera del diletto: Il mio diletto a me, io a lui.

Dunque, dalle proprie disposizioni, che sono note a Dio, riconosce, né dubita di essere amata colei che ama.

È così: l’amore di Dio genera l’amore dell’anima, e rivolgendosi per primo verso di lei, fa sì che anch’essa sia tutta intenta a lui, e la sollecitudine di lui rende sollecita anche lei.

Non so, infatti, per quale vicinanza di natura, una volta che l’anima può a faccia scoperta contemplare la gloria di Dio, subito necessariamente le diviene conforme e si trasforma nella medesima immagine.

Pertanto, quale tu ti preparerai per Dio tale ti apparirà Dio: sarà santo con il santo, e con l’uomo integro sarà integro.

Così, similmente, amante con chi lo ama, si tratterrà con chi si trattiene volentieri con lui, si rivolgerà a chi si rivolge a lui, sollecito con chi è sollecito per lui Infine dice: Amo quelli che mi amano, e quelli che mi cercano mi troveranno ( Pr 8,17 ).

Vedi come non solo ti assicura del suo amore se tu lo ami, ma anche della sua sollecitudine per te, se sentirà che tu sei sollecito nei riguardi di lui.

Vegli tu? Veglia anche lui.

Alzati nella notte al principio delle tue vigilie, anticipa quanto vuoi queste vigilie, lo troverai, non lo preverrai.

Sbagli se in questo pensi di fare tu qualche cosa prima o più di lui: egli ama di più e prima.

Se l’anima sa queste cose, anzi, perché le sa, c’è da meravigliarsi se si gloria che quella maestà, quasi non curando le altre cose si rivolga a lei sola, e lasciando da parte tutte le altre faccende lei intanto si applica con tutta devozione a lui solo?

Il sermone deve finire, ma dico ancora una cosa sola agli spirituali che sono tra di voi, meravigliosa, ma vera: l’anima che vede Dio, lo vede come se essa sola fosse vista da Dio.

Dice dunque con fiducia che Dio è rivolto a lei, e lei a lui, null’altro vedendo tra sé e lui.

Sei buono, o Signore, per l’anima che ti cerca!

Le vieni incontro, l’abbracci, ti mostri Sposo tu che sei Signore, anzi, che sei sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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